La forma dell'atto di appello nella liquidazione coatta amministrativa

09 Settembre 2022

La Suprema Corte con la decisione in commento si è espressa in merito alla forma dell'atto introduttivo del giudizio di appello avverso alla sentenza pronunciata dal Tribunale in sede di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa.
Massima

Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, l'atto di appello deve essere formulato con atto di citazione che va notificato nel termine di 15 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado del tribunale fallimentare.

La vicenda

Con la decisione in commento la Suprema Corte si è espressa in merito alla forma dell'atto introduttivo del giudizio di appello avverso alla sentenza pronunciata dal Tribunale in sede di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa.

I S. Giudici hanno precisato che, sebbene il giudizio di primo grado debba essere introdotto con la forma del ricorso, il gravame “deve, però, essere formulato con atto di citazione che va notificato nel termine di quindici giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado del Tribunale”.

La pronuncia che si segnala prende le mosse da un giudizio nel quale erano stati riuniti i ricorsi proposti separatamente da tre dipendenti di un Istituto bancario, i quali chiedevano che fosse dichiarata l'invalidità e/o l'inefficacia dei licenziamenti loro intimati, il risarcimento del danno per mancato accesso al Fondo di solidarietà e l'ammissione al passivo con privilegio di ulteriori crediti di lavoro.

I ricorsi venivano rigettati, così i lavoratori ricorrevano dinanzi alla Corte di Appello di Milano, la quale, in accoglimento delle censure di inammissibilità/improcedibilità sollevate dalla Banca convenuta, li rigettava perchè tardivi.

Il Collegio osservava che, stando a quanto disposto dall'art. 88 T.U.B., l'appello contro le sentenze emesse all'esito del giudizio di opposizione allo stato passivo nell'ambito della liquidazione coatta amministrativa deve essere introdotto mediante atto di citazione da notificarsi entro 15 giorni dalla notificazione della sentenza impugnanda (precisamente, il giudice di appello – vista la notificazione delle sentenze di primo grado in data 13 ottobre 2014 – rilevava che gli appelli erano stati proposti mediante ricorsi depositati in cancelleria il 23 ottobre 2014, ma che erano stati poi notificati all'appellata insieme al decreto di fissazione di udienza l'11 novembre 2014, ragion per cui essi erano da ritenersi tardivi per mancato rispetto del suddetto termine quindicinale).

La sentenza di appello veniva, a sua volta, impugnata con ricorso in Cassazione, con cui i ricorrenti deducevano 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 87, comma 2, e 88, comma 1, T.U.B. e 2) la violazione o falsa applicazione dell'art. 121 c.p.c., in quanto la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che lo scopo dell'atto introduttivo del giudizio di gravame era stato raggiunto, ancorché proposto con ricorso, in spregio del generale principio di libertà delle forme.

I ricorrenti sostenevano, quindi, l'illegittimità della sentenza impugnata per avere ritenuto tardivo il ricorso in appello avverso alla sentenza di primo grado, nonostante fosse stato depositato in cancelleria nel rispetto del termine di quindici giorni imposto dall'art. 88 T.U.B.

La questione sottoposta: il quadro normativo di riferimento e la soluzione proposta

Posto il concreto esito del giudizio, conclusosi con una pronuncia di infondatezza di entrambi i motivi di ricorso, la principale questione all'attenzione del Supremo Consesso concerneva la corretta interpretazione delle disposizioni che disciplinano il giudizio di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa (tema su cui la stessa Corte è recentissimamente intervenuta, seppur con particolare riferimento alla impugnabilità del provvedimento che decide della ammissione alla procedura di una società assicuratrice. Cfr. Cass., 3 febbraio 2022, n. 3471. Conf. Cass., 11 giugno 2021, n. 16549. Contra, in un certo senso, Cass., 11 novembre 2019, n. 29052, la quale ha affermato che affermato che, in tema di accertamento del passivo nella liquidazione coatta amministrativa di società di intermediazione mobiliare, nel regime anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 181/2015, è applicabile (ratione temporis) la norma speciale di cui all'art. 88, comma 1, T.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993), la quale postula l'appellabilità - e non la diretta ricorribilità per Cassazione L. Fall., ex art. 99 - della sentenza del tribunale che decida le cause di opposizione al passivo)..

Tale valutazione si riflette inevitabilmente sul giudizio di tempestività (e, quindi, di ammissibilità) del gravame, tanto è vero che, come si è accennato, i ricorsi sono stati tutti rigettati in quanto tardivi, sul presupposto che l'appello era stato soltanto depositato e non notificato entro il termine di legge.

La materia risulta disciplinata – in maniera non proprio esaustiva – dall'art. 88 T.U.B.. Tale disposizione, nella versione applicabile ratione temporis (ossia prima della modifica operata dal D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 181, che ne ha abrogato i commi 1, 2, 4), prevedeva la possibilità di proporre appello contro la sentenza del Tribunale, “anche dai commissari, entro il termine di quindici giorni dalla data di notificazione della stessa” e rinviava all'art. 87, commi 4 (oggi abrogato), “in quanto compatibile, e 5” per la disciplina del relativo giudizio.

A differenza del previgente art. 79, comma 3, legge bancaria 7 marzo 1938, n. 41, l'art. 88 T.U.B. non risultava altrettanto esplicito a proposito della forma dell'atto di appello, sebbene dal rinvio all'art. 87 potrebbe desumersi che anch'esso dovrebbe assumere la forma del ricorso richiesta per il giudizio di primo grado.

Non è stata tuttavia questa la soluzione offerta dalla Suprema Corte: a tale risultato congiura, nell'opinione della Corte, l'esplicito richiamo dell'art. 88 T.U.B. ai soli commi 4 e 5 dell'art. 87. Corroborando la decisione dei giudici di appello, la Corte di Cassazione ha, infatti, osservato che il previgente art. 88 T.U.B., nel rinviare ai commi 4 e 5 dell'art. 87, escluderebbe implicitamente l'applicabilità al giudizio di appello del comma 2 della disposizione, ossia proprio quella parte della norma che individua nel ricorso la forma dell'atto introduttivo del giudizio di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa (tesi in precedenza già sostenuta da Cass., 11 luglio 1964, n. 1851).

Entrambi i giudici, di merito e di legittimità, giungono, quindi, alla conclusione secondo la quale l'atto introduttivo del gravame dovrebbe assumere la forma dell'atto di citazione e ciò non solo in ragione dell'implicita inapplicabilità a tale giudizio del comma 2 dell'art. 87 T.U.B. Si giunge invero a tale conclusione anche in considerazione del richiamo dell'art. 88, comma 4, T.U.B. “per quanto non espressamente previsto” ai principi generali del codice di rito sul processo di cognizione, richiamo comprensivo anche dell'art. 342 c.p.c., a mente del quale, espressamente, “l'appello si propone con citazione” (sono di questo avviso, in dottrina, Ragusa Maggiore, Passivo (accertamento), in Enc. dir., Milano, 1982, 218; Capolino, Coscia, Galanti, La crisi delle banche e delle imprese finanziarie, in Galanti (a cura di), Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Padova, 2008, 967. In generale, sul tema, si segnala, ex plurimis, Bonfatti, Liquidazione coatta amministrativa, in Commentario al TUB, Firenze, 2000, 973; Lerner, L'accertamento dello stato passivo: la fase amministrativa, in Ferro, Luzzi, Castaldi (a cura di), La nuova legge bancaria, Milano, 1995, 1409).

Il rinvio residuale alle disposizioni del codice di rito viene cioè interpretato dalla Corte nel senso che, non risultando espressamente prevista dalle norme del Testo Unico – ossia da una norma speciale, che, in quanto tale, sarebbe da preferire alla disciplina generale – la forma dell'atto di appello deve essere determinata sulla scorta della disciplina generale.

Da tale circostanza discenderebbe, infatti, che anche l'appello sull'opposizione alla liquidazione coatta amministrativa sarebbe soggetto alla disciplina dettata dagli artt. 339 ss. c.p.c. per l'appello ordinario, con la conseguenza che, quando non espressamente derogata, resta ferma l'applicabilità della disciplina generale dettata dal codice di rito.

La conversione dell'appello introdotto con ricorso

Così individuata la forma dell'appello avverso alla decisione emessa in sede di opposizione allo stato passivo, si trattava di capire se vi fossero margini per fare salvo l'appello eventualmente introdotto con ricorso anziché con citazione, come prevede l'art. 342 c.p.c..

Si trattava, cioè, di verificare se vi fosse spazio per un'interpretazione salvifica dell'art. 88 T.U.B., in applicazione del principio della libertà delle forme di cui all'art. 121 c.p.c. – soluzione che è stata disattesa sia dai giudici di merito che di legittimità.

Con il secondo motivo di ricorso, infatti, i ricorrenti hanno contestato la violazione e falsa applicazione dell'art. 121 c.p.c., sul presupposto che, ancorché proposto nella forma del ricorso, l'atto di appello aveva comunque raggiunto il suo scopo, ossia instaurare il contraddittorio nei confronti della Banca convenuta, effettivamente costituitasi.

Ora, se è vero che, ai sensi dell'art. 121 c.p.c., gli atti di parte possono assumere ogni forma utile al raggiungimento del loro scopo, tuttavia, è noto che, nel rispetto della stessa disciplina processuale alla quale l'art. 88, comma 4 rinvia(va), in tanto il principio della libertà della forme può essere garantito (specie nella sua accezione di principio di conversione dell'atto e di conservazione degli effetti), in quanto l'atto in cui si vorrebbe convertire l'atto viziato sia tempestivo rispetto al giudizio.

Sul punto, le Sezioni Unite di recente hanno avuto modo di ricordare il consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale la domanda giudiziale avanzata in forma non corretta (citazione anziché ricorso e viceversa) produce i suoi effetti propri se proposta tempestivamente secondo il modello concretamente seguito, seppur difforme da quello legale, ferme restando “le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento” (cfr. Cass., Sez. Un., 12 gennaio 2022, n. 758, la quale, in una fattispecie avente ad oggetto i compensi professionali non riscossi da parte di un avvocato, ha affermato che il giudizio “è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte”; Conf., Id., 13 gennaio 2022, n. 927).

Ciò è tanto vero, che la questione della tardività dell'impugnazione è stata determinante nell'orientare la posizione dei giudici di appello (quanto all'ambito di applicazione dell'art. 88 T.U.B. è utile segnalare Corte App. Palermo, 3 dicembre 2013, n. 1800).

Avallando anche in tal caso la posizione del giudice del gravame, la Cassazione ha invero spiegato come, ferma restando l'erroneità della forma dell'atto (ricorso), tuttavia, il problema stava nel fatto che soltanto il deposito e non anche la notificazione del ricorso e del decreto era stata effettuata nel termine di 15 giorni dalla notificazione della sentenza.

Ad orientare la Corte nel senso dell'inammissibilità del ricorso, dunque, è stato, sì, l'errore nella forma dell'atto prescelta, ma non “in sé”, bensì soprattutto in quanto causa di una impugnazione tardiva.

Così stando le cose, è chiaro che non avrebbe potuto esservi margine per “salvare” il gravame, atteso che, anche ricorrendo al principio della libertà delle forme – quindi anche volendo considerare ammissibile l'appello proposto con ricorso anziché con citazione –comunque, esso era stato notificato oltre il termine di 15 giorni di cui all'art. 88 T.U.B.

In altre parole, lo scopo era, sì, stato raggiunto, ma fuori tempo massimo, essendo stato l'atto di appello “solo depositato nel citato termine di quindici giorni ma notificato alla parte appellata oltre il decorso dello stesso termine (come verificatosi nel caso esaminato), senza, quindi, che – a fronte della maturazione di siffatta decadenza processuale – possa venire in rilievo l'applicabilità del principio generale (evocato con il secondo motivo) del raggiungimento dello scopo”.

Conclusioni

La soluzione offerta dalla Suprema Corte merita di essere salutata con favore, mostrandosi ragionevole ed equilibrata.

Essa ha cercato di offrire la corretta interpretazione delle norme speciali che disciplinano la materia riportandole “a sistema”, vale a dire valorizzando l'interpretazione che se ne potrebbe dare sulla scorta dei principi generali.

La possibilità di colmare la lacuna normativa sulla forma dell'atto introduttivo del gravame sull'opposizione alla liquidazione coatta amministrativa in applicazione della disciplina generale, del resto, è fatta salva dallo stesso art. 88, comma 4 T.U.B., che, con il rinvio residuale alle disposizioni del codice di rito, invita a guardare alla disciplina generale come la sola applicabile in mancanza di diverse e più specifiche indicazioni.

Del resto, quando la lex specialis non derogat generali non vi sarebbero ragioni per discostarsene.

Milita a favore della soluzione offerta dalla Corte anche la circostanza che il previgente art. 79, comma 3, Legge bancaria del '38 prevedesse espressamente la forma dell'atto di citazione per l'introduzione del giudizio di appello in questione e che tale disposizione non sia stata espressamente superata da una norma di segno contrario.

L'opzione ermeneutica offerta dalla Corte pare dunque in linea con quanto desumibile dal combinato disposto delle norme speciali, previgente ed attuale (nella versione ratione temporis applicabile alla fattispecie) e generale, con l'ulteriore conseguenza – cui la decisione in commento non ha però fatto cenno – di dover ritenere tempestivo un appello proposto entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di primo grado, in caso di mancata notifica della stessa, stante evidentemente l'applicabilità anche i tal caso della regola generale di cui all'art. 327 c.p.c.

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