L'affidatario di contratto pubblico di appalto divenuto insolvente

Beatrice Armeli
12 Settembre 2022

L'articolo si sofferma sul tema attuale dei contratti pubblici di appalto nell'ipotesi di crisi o insolvenza dell'esecutore e svolge un riepilogo del contesto normativo applicabile, delineato da disposizioni collocate in diversi testi legislativi, per approfondire poi taluni peculiari profili.
Premessa

Il tema della crisi d'impresa si rivela essere, ultimamente, sempre più connaturato a quello degli appalti pubblici, tanto da ricevere, nell'evoluzione legislativa, disciplina propria e speciale, ancorché talvolta lacunosa e non sempre perfettamente coordinata nei diversi testi normativi che espressamente la contemplano. Capita poi che il tema susciti maggiore attenzione, come nel tempo in cui si scrive, con l'entrata in vigore “a pieno regime” del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, alla luce del fatto che la legislazione settoriale regolante i contratti pubblici, compresa quella “emergenziale”, oltre che la prassi, non hanno potuto far a meno -in un qual modo- di contemplare proprio la situazione di difficoltà economico-finanziaria in cui sono caduti numerosi operatori economici. Da ultimo, il parere del Cons. Stato, sez. I, 27 aprile 2022, n. 804, che ha risposto favorevolmente al quesito se possa ritenersi consentito procedere al rilascio dell'attestazione di qualificazione (quale requisito di partecipazione ad una pubblica gara) ad una impresa che presenti un patrimonio netto negativo, cui ha fatto seguito un apposito Comunicato del Presidente ANAC, 18 maggio 2022.

L'attualità del tema induce quindi a riepilogare il contesto normativo applicabile, delineato da disposizioni collocate in diversi testi legislativi, per approfondire poi taluni peculiari profili.

Apertura di fallimento / liquidazione giudiziale a carico dell'affidatario di contratto pubblico

Anzitutto è da premettere che quanto si andrà a illustrare con riferimento alla procedura di fallimento varrà, nei medesimi termini, anche con riguardo alla nuova procedura di liquidazione giudiziale, posto che, per quel che qui rileva, anche nel nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza si ripete, alle stesse condizioni previste dalla legge fallimentare, la possibilità di continuare l'esercizio dell'attività su autorizzazione giudiziale (v. art. 211 d.lgs. 14/2019, parimenti a quanto previsto dall'art. 104 l.fall.).

Chiaro è infatti che la sorte dei contratti pubblici pendenti, ovverosia non ancora compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data di apertura del fallimento (ovvero della liquidazione giudiziale) a carico dell'affidatario di contratto pubblico, è diversa a seconda che sia stato o meno autorizzato l'esercizio dell'impresa. Considerazioni a parte devono poi essere fatte per l'ipotesi in cui l'impresa in questione partecipi a un raggruppamento temporaneo in qualità di mandante o di mandataria.

a) Procedura concorsuale con autorizzazione all'esercizio dell'impresa - In detta ipotesi, viene confermata la specialità dei contratti pubblici pendenti, sottratti alla regola generalizzata della prosecuzione, salvo diversa e autonoma determinazione del curatore. L'art. 211, comma 8, d.lgs. 14/2019 richiama infatti espressamente l'art. 110, comma 3, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), il quale, anche nella sua nuova formulazione, ribadisce la possibilità per il curatore di eseguire i contratti già stipulati dall'impresa ancora in esercizio, all'unica ribadita condizione che l'esecuzione del contratto in corso sia autorizzata dal giudice delegato.

Nulla pertanto muterebbe rispetto alla disciplina sino ad oggi praticata.

b) Procedura concorsuale senza autorizzazione all'esercizio dell'impresa - A seguito dell'apertura del fallimento (ovvero della liquidazione giudiziale) a carico dell'appaltatore, il contratto stipulato con la pubblica amministrazione si scioglie e, come principio generale, in caso di scioglimento, il contraente in bonis ha diritto di far valere nelpassivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.

La regola è ribadita anche nel nuovo Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza. L'art. 172 d.lgs. 14/2019, contenente la disciplina dei contratti pendenti in caso di liquidazione giudiziale, riconosce infatti all'ultimo comma (come già faceva l'art. 81, comma 2, della l.fall.) la specialità -si può dire al quadrato- dei contratti di appalti pubblici, che vale a sottrarli non solo alla regola generale prevista dal relativo comma 1, ma altresì alla previsione di cui al nuovo art. 186 (che replica il summenzionato art. 81), specificatamente riguardante il contratto di appalto (tra privati) in corso. Sottrazione che opera chiaramente a favore della normativa dettata dal d.lgs. 50/2016. Ai sensi dell'art. 172, comma 7, d.lgs. 14/2019, infatti, sono fatte salve le norme speciali in materia di contratti pubblici. Del d.lgs. 50/2016, in particolare, trova applicazione il primo comma dell'art. 110, ove si fa salvo quanto previsto per il caso di fallimento (ovvero di liquidazione giudiziale) con esercizio dell'impresa. Si desume pertanto che, in caso di procedura concorsuale senza esercizio, il contratto pubblico pendente non può proseguire.

Pertanto, la stazione appaltante provvede, come atto dovuto scevro di ogni discrezionalità, a interpellare il secondo graduato ed eventualmente, in progressione, gli ulteriori soggetti partecipanti all'originaria procedura di gara, al precipuo fine di stipulare un nuovo contratto di affidamento alle medesime condizioni già proposte dall'aggiudicatario poi sottoposto a fallimento (ovvero a liquidazione giudiziale). Anche in tal caso, dunque, nulla muterebbe rispetto alla disciplina finora conosciuta.

Per la verità, residuerebbe una possibilità affinché, pure in detto secondo caso, il contratto pubblico pendente prosegua. Detta possibilità, infatti, si ritroverebbe nell'art. 106, comma 1, lett. d), d.lgs. 50/2016, il quale ha inteso agevolare la continuazione dell'esecuzione dei contratti pubblici già stipulati, consentendo, al ricorrere di determinati presupposti, una modifica contrattuale ai fini della sostituzione del contraente appaltatore al quale la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l'appalto. In particolare, sub n. 2), si ammette espressamente la possibilità di modifica del contratto in corso qualora all'aggiudicatario iniziale succeda, anche a seguito di insolvenza, un altro operatore che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l'applicazione del Codice dei contratti pubblici.

Previsione perfettamente applicabile al caso de quo. E cioè proprio qualora, nel corso dell'esecuzione di un contratto di appalto, venga aperta, a carico dell'appaltatore, una procedura di fallimento (ovvero di liquidazione giudiziale), basata sull'accertamento giudiziale dello stato (appunto) di insolvenza in cui versa l'appaltatore medesimo. Sarà il curatore della procedura concorsuale a dar conto, nel proprio programma di liquidazione, della cessione del contratto d'appalto, tramite cui si realizza la successione nel rapporto negoziale con l'amministrazione appaltante. Sarebbe pertanto auspicabile che l'applicazione della norma in commento venisse espressamente fatta salva, tanto dalla disciplina concorsuale, quanto dall'art. 110 dello stesso d.lgs. 50/2016.

Del resto, una conferma di detta possibilità si ritrova nella sentenza della Corte di giustizia UE (sez. IV, 3 febbraio 2022, C-461/20), dalla quale è facile inferire che l'insolvenza cui si riferisce la norma in questione, mutuata proprio dal diritto europeo, comprende indubbiamente anche il fallimento sfociante nella liquidazione, non rilevando quindi che vi sia una prosecuzione, perlomeno parziale, ovvero una totale cessazione delle attività dell'aggiudicatario divenuto insolvente.

Pertanto, a seguito dell'apertura del fallimento (ovvero della liquidazione giudiziale) senza continuità aziendale, a carico dell'affidatario, il contratto stipulato con la pubblica amministrazione si scioglie e la stazione appaltante provvede, mediante previo interpello, a stipulare un nuovo contratto di affidamento, a meno che all'aggiudicatario iniziale (poi entrato in fallimento ovvero in liquidazione giudiziale) succeda -in virtù di un contratto di cessione stipulato dal curatore- un altro operatore economico adeguatamente qualificato.

(Segue). Il caso dell'impresa insolvente partecipante a un raggruppamento temporaneo

Si deve ora considerare l'ipotesi in cui l'impresa, a carico della quale sia stata aperta una procedura di fallimento (ovvero di liquidazione giudiziale) faccia parte di un raggruppamento temporaneo aggiudicatario di un contratto pubblico che risulti allo stato pendente. In tal caso, trovano applicazione le previsioni contenute ai commi 17 e 18 dell'art. 48 d.lgs. 50/2016 che contemplano, appunto, l'intervenuta procedura concorsuale, rispettivamente, della mandataria ovvero di una delle imprese mandanti del raggruppamento. Previsioni che, nel disporre che il contratto pubblico di appalto -di per sé- non si scioglie al ricorrere dei presupposti di legge, si impongono come prevalenti rispetto al quadro normativo sopra delineato (fatto salvo quanto si dirà per il caso di continuità aziendale). In particolare, si delineano i seguenti scenari.

a) Fallimento / liquidazione giudiziale della mandataria - In tal caso la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario, purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori ancora da eseguire; solo non sussistendo tali condizioni, la stazione appaltante deve recedere dal contratto (art. 48, comma 17, d.lgs. 50/2016);

b) Fallimento / liquidazione giudiziale della mandante - Per detta ipotesi è invece previsto l'onere della mandataria di eseguire il contratto pubblico d'appalto, direttamente o a mezzo delle altre mandanti, purché queste abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori ancora da eseguire (art. 48, comma 18, d.lgs. 50/2016).

Vengono così tipizzate le uniche eccezioni al principio regolatore della materia, sancito in modo espresso dal medesimo art. 48, comma 9, il quale vieta, in via generale, qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta, pena l'annullamento dell'aggiudicazione e la nullità del conseguente contratto stipulato con il soggetto illegittimamente modificato. Le eccezioni, dunque, sono tassative e, come noto, sono oggi legislativamente estese anche alla fase pubblicistica di gara (v. art. 48, comma 19-ter), rimanendo comunque di stretta interpretazione.

Sul tema si è in particolare espressa in più occasioni l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nel senso che le uniche modifiche consentite dal legislatore sono quelle interne allo stesso raggruppamento, con una diversa distribuzione di ruoli e compiti tra mandanti e mandataria.

In particolare, per quel che qui rileva, sono da ricordare le argomentazioni espresse dalla sentenza del Cons. Stato, Ad. Plen., 27 maggio 2021, n. 10, che offrono una lettura funzionale del summenzionato principio di immodificabilità: non viene quindi preclusa una modifica soggettiva in assoluto, ammettendola invece solo laddove questa operi in riduzione, anziché in aggiunta o in sostituzione, e quindi solo internamente e senza innesti dall'esterno del raggruppamento. La sostituzione esterna non è pertanto consentita né per la figura della mandataria né per quella della mandante.

Oggi è quindi chiaro che le modifiche soggettive del raggruppamento temporaneo, ammesse dalle succitate norme, possono avvenire solo “in riduzione”, nel senso che:

i) in caso di fallimento (ovvero di liquidazione giudiziale) della mandataria, è necessario costituire un nuovo rapporto di mandato e la mandataria esclusa, in quanto colpita dall'evento ostativo, dovrà sostituirsi con una delle mandanti, purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati alle prestazioni ancora da eseguire; altrimenti, non sussistendo tali condizioni, così come espressamente previsto dalla legge, la stazione appaltante dovrà recedere dal contratto;

ii) in caso di fallimento (ovvero di liquidazione giudiziale) di una delle mandanti, ove il raggruppamento sia in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge di gara, la quota esecutiva di pertinenza della mandante estromessa dovrà essere assegnata ad altro mandante, già designato dello stesso raggruppamento, se idoneamente qualificato, ovvero assegnata alla medesima mandataria.

Deve poi ricordarsi, sempre in virtù dei principi di diritto espressi dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che l'evento che conduce alla sostituzione meramente interna -nella specie, l'entrata in procedura concorsuale- deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la prosecuzione del rapporto contrattuale.

Al ricorrere quindi delle condizioni prescritte, così come interpretate dall'Adunanza Plenaria, il contratto pendente non si scioglie, realizzandosi in sostanza una delle peculiari ipotesi di variante soggettiva, alla stregua di quanto previsto, in via generale, dal sopra citato art. 106, comma 1, lett. d), n. 2) del d.lgs. 50/2016.

Si badi inoltre come, in entrambe le fattispecie individuate, il legislatore non contempli l'ipotesi di autorizzazione alla continuità aziendale dell'impresa entrata in fallimento (ovvero in liquidazione giudiziale). Pertanto, coerentemente con quanto sopra delineato proprio per il caso in cui venga disposto l'esercizio dell'impresa, deve ritenersi che, qualora a carico di un componente del raggruppamento temporaneo, mandatario o mandante, sia aperta una procedura di fallimento (ovvero di liquidazione giudiziale) con esercizio dell'impresa, il contratto in corso prosegue con la parte originaria previa autorizzazione del giudice delegato. In caso contrario, trovano applicazione le previsioni dei summenzionati commi 17 e 18 dell'art. 48 del Codice dei contratti pubblici. De iure condendo sarebbe opportuna un'esplicitazione normativa in tal senso.

Si prospetta di seguito un quadro di sintesi della disciplina finora illustrata (per un quadro più completo che abbracci anche le ipotesi di apertura di fallimento / liquidazione giudiziale, ovvero di concordato preventivo, in fase di gara, sia consentito rinviare a: B. Armeli, Le novità introdotte dal Codice della crisi e le modifiche previste dal Decreto “Sblocca-cantieri”, in questo portale, 22 luglio 2019).

FALLIMENTO / LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE

Fase esecutiva

Fallimento aperto / Liquidazione giudiziale aperta

OE singolo

OE in RTI

Con esercizio dell'impresa

Prosecuzione del contratto pubblico pendente in caso di autorizzazione del giudice delegato.

Prosecuzione del contratto pubblico pendente, con RTI in composizione originaria, in caso di autorizzazione del giudice delegato.

Senza esercizio dell'impresa

Scioglimento del contratto pubblico pendente: la stazione appaltante interpella progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara al fine di stipulare un nuovo contratto.

Salva la possibilità di variante soggettiva (in virtù di un contratto di cessione stipulato dal curatore con un altro operatore economico adeguatamente qualificato).

Sostituzione in riduzione del RTI (con una diversa distribuzione di ruoli e compiti tra mandanti e mandataria).

Al fine di meglio comprendere quanto sopra delineato, oltreché per maggior completezza espositiva, si osserva inoltre che:

i) il fallimento (ovvero la liquidazione giudiziale) della mandataria determina ex lege lo scioglimento del rapporto di mandato (art. 78, comma 2, l.fall., replicato nell'art. 183, comma 2, d.lgs. 14/2019) -eccezion fatta per il caso di continuità aziendale (art. 104, comma 7, l.fall., replicato nell'art. 211, comma 8, d.lgs. 14/2019)- sicché l'impresa mandante è legittimata ad agire direttamente nei confronti del committente pubblico per la riscossione della quota dei crediti nascenti dall'appalto ad essa imputabile e la curatela è legittimata a riscuotere dall'amministrazione appaltatrice il corrispettivo per l'esecuzione dell'appalto solo per la quota corrispondente a quella parte di lavori o servizi appaltati la cui realizzazione, in base all'accordo di associazione temporanea, era di spettanza dell'ex mandataria (Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2017, n. 973); infatti, qualora a seguito del fallimento dell'impresa capogruppo si verificasse, oltre allo scioglimento del rapporto di mandato, anche lo scioglimento del contratto d'appalto (per assenza delle condizioni legittimanti il proseguo ex art. 48, comma 17, d.lgs. 50/2016), quest'ultimo scioglimento non determinerebbe comunque la successione alla mandataria insolvente della mandante, la cui responsabilità resta limitata alle obbligazioni originate dal suo apporto esclusivo in relazione alle prestazioni di sua spettanza (Cass. civ., sez. I, 22 agosto 2018, n. 20943);

ii) il fallimento (ovvero la liquidazione giudiziale) della mandante non determina ex lege lo scioglimento del rapporto di mandato (art. 78, comma 2, l.fall., replicato nell'art. 183, comma 2, d.lgs. 14/2019), essendone rimessa la scelta al curatore; scelta, nella specie, dettata a monte dall'autorizzazione, o meno, della continuità aziendale. Per cui, se in costanza di procedura concorsuale non viene proseguito l'esercizio dell'impresa, per la mandante insolvente l'appalto non può proseguire e quindi anche il mandato si scioglie (ex lato impresa in liquidazione), pur non comportando lo scioglimento del contratto d'appalto, alla cui esecuzione resta obbligata la mandataria (salvo un riparto di quote esecutive tra le altre mandanti qualificate ex art. 48, comma 18, d.lgs. 50/2016). In tal caso, i pagamenti per i lavori o i servizi eseguiti in antecedenza vanno effettuati nei confronti della curatela, con obbligo dell'amministrazione committente, che abbia invece pagato alla mandataria, di rinnovare tale adempimento, poiché, con lo scioglimento del rapporto di mandato vengono conseguentemente meno i poteri di gestione e rappresentanza in capo alla mandataria nei confronti dell'ex mandante insolvente (Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2019, n. 34116). Qualora invece si apra a carico della mandante un fallimento (ovvero una liquidazione giudiziale) con continuità aziendale e, quindi, con subentro del curatore nel contratto di mandato, oltre che nel contratto d'appalto, si rimarca che anche l'eventuale credito del mandatario, nei confronti della mandante in procedura, per l'attività compiuta dopo l'apertura della procedura stessa, è soddisfatto in prededuzione (art. 78, comma 3, l.fall., replicato nell'art. 183, comma 3, d.lgs. 14/2019).

La disciplina derogatoria di cui all'art. 5 del Decreto Semplificazioni

L'inquadramento normativo sopra ricostruito non sarebbe tuttavia compiuto se non si tenesse altresì in considerazione quanto previsto dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. Decreto Semplificazioni, conv. con modif. dalla l. 11 settembre 2020, n. 120), il quale ha introdotto una disciplina che in parte e temporaneamente deroga quella del Codice dei contratti pubblici. In particolare, il relativo art. 5 intende prevalere su talune previsioni dettate dall'art. 108 del d.lgs. 50/2016, oltre che dall'art. 107, rispettivamente in tema di risoluzione e di sospensione del contratto pubblico, con esclusivo riguardo agli appalti di lavoridiretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie comunitarie. Le previsioni speciali si applicano fino al 30 giugno 2023.

Ciò che in particolare è dato osservare è che la disposizione in esame, laddove ha inteso occuparsi di “crisi o insolvenza dell'esecutore”, mal si coordina, da un punto di vista sistematico, con il quadro tracciato dalla normativa concorsuale, sulla cui base è stata poi adattata quella dei contratti pubblici per il caso, appunto, di fallimento ovvero liquidazione giudiziale dell'operatore economico.

In sintesi, per quanto qui in rilievo, ricordiamo che, ai sensi del comma 4 della norma in questione, nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo, inclusa l'insolvenza dell'esecutore, anche in caso di autorizzazione all'esercizio provvisorio dell'impresa, non possa procedere con il soggetto designato, né, in caso di esecutore plurisoggettivo, con altra impresa del raggruppamento, ove in possesso dei requisiti adeguati ai lavori ancora da realizzare, la stazione appaltante, previo parere del collegio consultivo tecnico, salvo che per gravi motivi tecnici ed economici sia comunque, anche in base al citato parere, possibile o preferibile proseguire con il medesimo soggetto, dichiara senza indugio, in deroga alla procedura di cui all'art. 108, commi 3 e 4, del d.lgs. 50/2016, la risoluzione del contratto, che opera di diritto, provvedendo secondo una delle modalità alternative tassativamente previste: i) esecuzione in via diretta dei lavori; ii) interpello progressivo dei soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara; iii) indizione di una nuova procedura per l'affidamento del completamento dell'opera; iv) nomina di un commissario straordinario.

Come precisato dalla Relazione illustrativa, per la regolazione dei rapporti tra le parti che conseguono alle risoluzioni di diritto si applica comunque la disciplina dell'art. 108, commi da 5 a 9, del d.lgs. 50/2016, la quale infatti non viene derogata. Pertanto, anche in caso di risoluzione di diritto ex art. 5, comma 4, del d.l. 76/2020 (e diversamente dal caso di scioglimento del contratto per fallimento ovvero liquidazione giudiziale), l'appaltatore ha diritto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto, e, in sede di liquidazione finale dei lavori riferita all'appalto risolto, l'onere da porre a carico dell'appaltatore è determinato anche in relazione alla maggiore spesa sostenuta per affidare ad altra impresa i lavori, ove la stazione appaltante non abbia proceduto ad interpellare i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l'affidamento dell'esecuzione o del completamento dei lavori.

Inoltre, il comma 6 del medesimo art. 5 dispone che, al di fuori dei casi tassativi di sospensione (di cui al comma 1) -tra i quali, peraltro, non figura né l'insolvenza, neppure come mero stato di fatto, né la pendenza del relativo procedimento giudiziale di accertamento- le parti (committente e appaltatore) non possono invocare l'inadempimento della controparte o di altri soggetti (ad esempio un'impresa raggruppata insolvente) per sospendere l'esecuzione dei lavori di realizzazione dell'opera (obbligazione dell'appaltatore) ovvero le prestazioni connesse alla tempestiva realizzazione dell'opera (come il pagamento del corrispettivo, quale obbligazione del committente). Poiché peraltro la norma troverebbe applicazione, in ipotesi, anche in caso di conosciuta insolvenza di fatto dell'appaltatore, l'impossibilità di sospendere il pagamento del corrispettivo, mal si concilierebbe con una eventuale revocatoria conseguente all'apertura del concorso per insolvenza dichiarata giudizialmente. Il legislatore avrebbe dovuto espressamente prevederne un'esenzione. Ad ogni modo, in virtù di quanto prescritto dalla suddetta disposizione, le parti non possono invocare l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. Chiaro è che qui l'impossibilità di sollevare l'eccezione di inadempimento altrui -finalizzata alla sospensione delle proprie obbligazioni contrattuali- viene calata in un contratto d'appalto ancora in corso, non facendo comunque venir meno la possibilità -ammessa dalla più recente Cassazione (v. Armeli, Contratto pubblico di appalto: fallimento dell'appaltatore, richiesta di corrispettivo del curatore ed eccezione di inadempimento dell'appaltante, in questo portale, 5 gennaio 2022)- di eccepire ex art. 1460 c.c. il pregresso inadempimento una volta sciolto il contratto, dopo l'apertura della procedura concorsuale (di fallimento o di liquidazione giudiziale), per assenza delle condizioni legittimanti il proseguo. Condizioni che, invero, appaiono nel contesto de quo di maglie più larghe -e alquanto indefinite- rispetto a quelle che abbiamo sopra esaminato. Viene infatti ulteriormente prescritto che “in ogni caso, l'interesse economico dell'appaltatore ola sua eventuale sottoposizione a procedura concorsuale o di crisi non può essere ritenuto prevalente rispetto all'interesse alla realizzazione dell'opera pubblica”. E quindi, in sostanza, sembrerebbe che anche l'interesse pubblicistico al soddisfacimento dei creditori concorsuali -a cui il fallimento ovvero la liquidazione giudiziale sono da ultimo preordinati- debba cedere il passo all'interesse alla realizzazione dell'opera -interesse del pari pubblicistico, ma ex ante valutato dal legislatore di maggiore pregnanza rispetto agli altri-. Inoltre, come sopra rilevato, anche laddove la prosecuzione del contratto non risulti possibile per insolvenza dell'appaltatore, nondimeno la stazione appaltante, con il solo benestare del parere favorevole collegio consultivo tecnico, potrebbe comunque ritenere preferibile -motivando adeguatamente sulla base di “gravi motivi tecnici ed economici”- proseguire il contratto con il medesimo soggetto esecutore.

Tuttavia, quest'ultima previsione, letta in questi termini, appare davvero di impossibile applicazione in quanto totalmente sganciata dall'ordinamento concorsuale. Solo un'interpretazione di stampo sistematico potrebbe coordinarla con la disciplina sulla crisi d'impresa e dell'insolvenza e con i ruoli assegnati a curatore (con riguardo, tra l'altro, al programma di liquidazione) e giudice delegato (la cui autorizzazione al proseguo -anche a valle della scelta amministrativa- pare comunque imprescindibile). Inoltre, per quanto qui la norma attribuisca al collegio consultivo tecnico un mero compito consultivo, sembrerebbe per il vero che scopo dell'intervento del collegio medesimo sia quello di emettere una “determinazione” funzionale all'accertamento di quei gravi motivi tecnici ed economici legittimanti un giudizio di preferenza amministrativa alla prosecuzione dei lavori con l'esecutore insolvente, a prescindere dal fatto -in assenza di alcun distinguo legislativo a riguardo- che lo stesso sia già entrato o meno in procedura concorsuale e, se del caso, che il curatore della relativa procedura sia stato o meno autorizzato all'esercizio dell'impresa. Ancora, non si può far a meno di rilevare la lacuna normativa per quel che concerne l'esenzione da revocatoria dei pagamenti effettuati all'esecutore (di fatto) insolvente.

Ma vieppiù. Perché, se per un verso il contratto può proseguire anche con l'insolvente, nei termini anzidetti, non è così scontato che invece continui quand'anche la procedura concorsuale sia aperta con autorizzazione all'esercizio provvisorio. E, si badi, non già per mancata autorizzazione del giudice delegato ex art. 110, comma 3, d.lgs. 50/2016 (infatti, come sopra visto, il contratto d'appalto pubblico pendente può proseguire solo con l'autorizzazione del giudice delegato), bensì, unicamente, per determinazione della stazione appaltante, ove questa reputi, sempre con l'appoggio del collegio consultivo, che comunque il contratto d'appalto non possa proseguire. Previsione quest'ultima che, nell'andare contro-corrente rispetto ai noti intenti nazionali e sovranazionali di rendere sostenibile il mercato dei contratti pubblici anche alle imprese in crisi, risulta, per quanto opinabile, sicuramente coerente, nell'ambito della disciplina speciale di cui trattasi, con l'esito del bilanciamento, effettuato ex ante dal legislatore, a favore dell'interesse alla -migliore- realizzazione dell'opera, oltre che precipitato del principio dell'intuitus personae, notoriamente caratterizzante qualunque contratto d'appalto, che qui troverebbe diretta e amplificata espressione.

Conclusioni

A parte credere che l'eccezionale previsione di cui all'art. 5, comma 4, d.l. 76/2020, nella parte relativa alla possibile situazione di crisi o insolvenza dell'esecutore, fatichi di gran lunga a trovare concreta applicazione, non riscontrandosi peraltro -allo stato- alcuna giurisprudenza a riguardo, alla luce della disamina effettuata, pur senza alcuna pretesa di completezza, ciò che balza allo sguardo è una permanente difficoltà di coordinamento tra la disciplina dei contratti pubblici e quella concorsuale, per quanto, rispetto al passato, si possa registrare un maggior dialogo. Eppure la realtà degli operatori economici “in crisi” impone proprio un rafforzamento di tale confronto, rischiandosi altrimenti una produzione normativa sterile con impasse applicativa. Occorre quindi ricostruire, step by step, la normativa di riferimento, attingendo a diversi testi normativi, proprio laddove i diversi interessi pubblici in gioco esigerebbero chiarezza e semplicità nella loro regolazione, ovvero la tanto invocata “certezza del diritto”.

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza ha già fatto la “sua” parte, quantomeno aggiornando le previsioni del d.lgs. 50/2016 oggetto di espressi richiami, ma l'atteso nuovo Codice dei contratti pubblici farà la “sua”, dettando disposizioni ad hoc, senza lacunosi rinvii, quanto piuttosto colmando i vacua normativi attuali?

Ci limitiamo ad osservare che il Disegno di legge di delega al Governo in materia di contratti pubblici (A.S. 2330-B), approvato in via definitiva al Senato lo scorso 14 giugno, nulla contempla a riguardo.

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