E' malversazione utilizzare per fini personali i finanziamenti garantiti dal Fondo per le PMI

Ciro Santoriello
14 Settembre 2022

La Cassazione Penale, con sentenza n. 28416 depositata il 19 luglio, ha affermato che integra il reato di malversazione l'utilizzo, per fini privati e diversi da quelli previsti dalla normativa, dei finanziamenti destinati ad attività di interesse pubblico, concessi dal Fondo di garanzia per le PMI nell'ambito delle misure di sostegno economico alle imprese nell'emergenza Covid.
Massima

In tema di legislazione emergenziale volta al sostegno delle imprese colpite dalla pandemia da Covid-19, è configurabile il reato di cui all'art. 316-bis c.p., nel caso in cui, successivamente all'erogazione, da parte di un istituto di credito, di un finanziamento assistito dalla garanzia rilasciata dal Fondo per le PMI, ai sensi dell'art. 13, lett. m) del dl. 8 aprile 2020, n. 23 (cd. "Decreto Liquidità"), convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, gli importi erogati non vengano destinati alle finalità cui detto finanziamento è destinato per legge.

Il caso

Il procedimento cui si riferisce la decisione in commento aveva ad oggetto la condotta di un imprenditore il quale era sottoposto a indagine per il delitto di cui all'art. 316-bis c.p., perché, avendo ottenuto dallo Stato, tramite la garanzia fornita dal Fondo di Garanzia per le PMI, un finanziamento destinato allo svolgimento di attività di interesse pubblico, in particolare al sostegno delle piccole e medie imprese colpite dalla crisi economica conseguente alla diffusione del virus Sars- Cov 2, c.d. Covid 19, non lo avrebbe destinato alle predette finalità, acquistando con le somme ottenute un camper adibito a uso privato.

Secondo il giudice delle indagini preliminari, che aveva adottato un decreto di sequestro preventivo in relazione al profitto ottenuto con l'illecito sopra descritto, la condotta menzionata integrava il delitto di indebito utilizzo del danaro percepito dal privato per il soddisfacimento di interesse pubblico, ma il decreto era stato annullato in sede di riesame escludendosi che la condotta dell'indagato fosse riconducibile alla fattispecie di malversazione a danno dello Stato, in quanto, il finanziamento destinato al sostegno delle piccole e medie imprese colpite da crisi economica conseguente alla diffusione della pandemia non è erogato direttamente dall'ente pubblico in favore del privato beneficiato. Le risorse messe a disposizione dell'indagato avrebbero, dunque, carattere privatistico, trattandosi di danaro nella disponibilità della banca, trasferito al privato indagato in conseguenza del mutuo contratto, assistito da garanzia statale.

In particolare, il Tribunale del riesame, richiamando le statuizioni della sentenza della Sesta Sezione penale n. 22119 del 2021, ha sostenuto che nel caso di specie si profila non un rapporto unico, come previsto nella fattispecie di reato di cui all'art. 316-bis c.p., bensì due rapporti giuridici distinti, quello principale di mutuo, che intercorre tra l'istituto di credito e il privato beneficiario, e quello accessorio e di garanzia, che vede coinvolto lo Stato. In questo schema negoziale l'apporto economico statale risulterebbe solo eventuale, in quanto condizionato all'inadempimento del mutuatario, e per altro verso volto esclusivamente a ripianare la sopravvenuta esposizione debitoria, ferma restando la facoltà del Fondo per le piccole e medie imprese di rivalersi nei confronti del contraente inadempiente.

Contro la decisione del Tribunale di riesame ha presentato ricorso per cassazione il pubblico ministero. Nel gravame si sostiene essere errato sostenere che nel caso di specie l'istituto di credito erogante operi secondo parametri imprenditoriali e di concorrenzialità, assumendo i rischi economici della gestione, in quanto, nella disciplina dettata dall'art. 12, lett. m) del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, (c.d. Decreto Liquidità) convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, alla banca viene solo richiesto di verificare la coerenza dei dati autocertificati dall'impresa con i parametri fissati per legge, senza esaminare il merito creditizio del soggetto richiedente il finanziamento. Gli istituti di credito, peraltro, non avrebbero erogato finanziamenti agevolati quali quelli in parola in ordinarie condizioni di mercato, se non vi fosse stata l'espressa attivazione della garanzia dello Stato e, dunque, in questo specifico contesto normativo, le banche diventerebbero longa manus dello Stato per erogare finanziamenti agevolati.

Rileva, inoltre, il ricorrente che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità la locuzione «contributi, sovvenzioni o finanziamenti» prevista dall'art. 316-bis c.p. è sovrapponibile a quella di «contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato», che figura nella fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis c.p. Il finanziamento agevolato distratto dall'indagato sarebbe, dunque, ascrivibile alle «altre forme di intervento comunque denominate», aventi natura pubblicistica.

La questione

Sulla configurabilità del reato di cui all'art. 316-bis c.p. in caso di mancata destinazione delle somme ottenute attraverso un mutuo erogato da un Istituto di credito, con la garanzia di SACE S.p.a., alle finalità espressamente previste dall'art. 1 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40 la Cassazione si è già pronunciata in senso negativo (Cass., sez. VI, 4 giugno 2021, n. 22119).

Nella precedente decisione si affermò che, essendo il delitto di malversazione ai danni dello Stato, posta a tutela della corretta gestione e utilizzazione delle risorse pubbliche destinate a fini di incentivazione economica (Cass., sez. VI, 23 maggio 2018, n. 42924), presupposto di tale illecito è necessariamente l'erogazione da parte dello Stato, o di altro ente pubblico, in favore di un soggetto estraneo alla Pubblica Amministrazione, di un contributo, una sovvenzione o un finanziamento destinati alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse (sulle nozioni di contributi e sovvenzioni, Cass., sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 23778), mentre la condotta materiale rimproverata al privato si riferisce, non alla fase di erogazione della prestazione pubblica, bensì a quella successiva consistente nell'elusione del vincolo di destinazione che connota tale prestazione attraverso la distrazione, anche in parte, della somma ottenuta dalla predetta finalità di interesse generale.

Alla luce di queste considerazioni si sostiene che non sussisterebbe il delitto di cui all'art. 316-bis c.p. in caso di finanziamento erogato ai sensi del citato d.l. n. 23/2020 posto che tale corresponsione non è idonea ad integrare il presupposto sopra esaminato ai fini della sussunzione della successiva condotta di sviamento nell'ambito del reato di malversazione ai danni dello Stato. Infatti, tale finanziamento, sebbene connotato da onerosità attenuata e destinato alla realizzazione delle finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico, bensì da un soggetto privato (nel caso concreto, un istituto bancario) e la partecipazione di un siffatto istituto all'operazione di sostegno alle imprese non è idonea, ad incidere sulla sua natura esclusivamente privatistica (in proposito la decisione richiama la definizione di ente pubblico erogatore contenuta nell'art. 3, comma 1, lett. d), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. codice degli appalti) secondo cui per «organismi di diritto pubblico» si intende qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell'allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico).

Si sosteneva, inoltre, che lo schema operativo delineato dalla legge n. 40 del 2020, che ha convertito il d.l. n. 23 citato, consente di individuare due rapporti giuridici: uno tra l'impresa ed il soggetto finanziatore, riconducibile ad un mutuo di scopo legale; ed uno, di carattere accessorio, avente ad oggetto la garanzia a prima richiesta rilasciata da SACE S.p.A. (a sua volta coperta da garanzia dello Stato) al soggetto finanziatore per il caso di mancata restituzione del finanziamento. Solo l'inadempimento di tale obbligazione restitutoria rende, dunque, operativa la garanzia pubblica, cosicché, in assenza di tale presupposto, ogni onere connesso all'erogazione del finanziamento rientra esclusivamente nel rapporto principale tra l'impresa ed il soggetto finanziatore; di contro, la condotta di sviamento delle somme erogate dalla finalità legale cui le stesse sono destinate, ove non accompagnata dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione delle somme erogate, non può comportare l'attivazione della garanzia pubblica. Quanto alla lesione degli interessi connessi allo scopo in ragione del quale era stato erogato il mutuo, la Cassazione ritiene che gli stessi, facenti capo all'istituto erogatore, possano trovare tutela solo in sede civile attraverso i rimedi che consentono la messa in mora del mutuatario ovvero la risoluzione del contratto di mutuo.

Questa sentenza è, tuttavia, rimasta isolata giacché successive sentenze hanno optato per una lettura dell'operazione di finanziamento assistita dalla garanzia statale in chiave marcatamente pubblicistica, attraendo queste operazioni nell'ambito applicativo del sistema codicistico dedicato al contrasto delle frodi nelle pubbliche erogazioni. Secondo Cass., sez. VI, 24 novembre 2011 n. 2125 rientrerebbe tra le erogazioni pubbliche «comunque denominate» di cui all'art. 316-ter c.p. la concessione, sulla base di un'autodichiarazione mendace, di un finanziamento bancario assistito dalla garanzia del Fondo PMI di cui si è detto, costituendo la garanzia a carico del soggetto pubblico, gratuita per il beneficiario, presupposto determinante l'erogazione del finanziamento da parte del privato, nell'ambito di un rapporto triangolare che lega Fondo garante, banca concedente il finanziamento e imprenditore finanziato; secondo Cass., sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 11246, invece, l'erogazione del prestito a titolo di mutuo garantito dallo Stato attraverso il Fondo centrale di garanzia per le PMI, previsto, per contrastare la crisi derivante dal Covid-19, si caratterizza come una forma di aiuto pubblico realizzato non attraverso l'erogazione diretta del finanziamento da parte dello Stato, ma favorendo l'accesso al credito e quindi l'erogazione del finanziamento da parte degli istituti bancari alle imprese e, più in generale, ai soggetti ammessi al detto beneficio, e rientra tra le «erogazioni» prese in considerazione dall'art. 316-ter citato

Osservazioni

La decisione in esame ha ritenuto fondato il ricorso della pubblica accusa, ritenendo di dover aderire all'orientamento successivo alla prima pronuncia, n. 22119/2021, sostenendo anzi che un tale orientamento deve ritenersi ormai consolidato.

Secondo i giudici di legittimità, la tesi secondo cui nel caso di specie (ed in altri analoghi) la configurabilità del reato di malversazione ai danni dello Stato andrebbe esclusa in ragione della natura integralmente privatistica del contratto di finanziamento, assistito da una garanzia pubblica destinata ad essere attivata solo in via eventuale, in caso di mancato adempimento del soggetto finanziato non considera come il finanziamento di cui si controverte, pur essendo concesso in favore del beneficiario sulla base di un contratto di diritto privato, è inserito in una cogente disciplina pubblica, in quanto è lo stesso legislatore a qualificare espressamente l'operazione di finanziamento agevolato, realizzata mediante l'intervento del Fondo centrale di garanzia PMI, come una forma di intervento pubblico nell'economia vincolata alla realizzazione dello scopo di sostegno per le imprese in crisi di liquidità per effetto della pandemia. Il finanziamento erogato dalla banca, del resto, trova causa proprio nella garanzia prestata gratuitamente e automaticamente dal Fondo PMI, al fine di dare sostegno alla liquidità delle imprese private che versavano in una fase di illiquidità, e per le quali in condizioni ordinarie di mercato, il ricorso al credito bancario sarebbe risultato assai difficile, se non precluso dall'esame del merito di credito; l'ausilio economico deve, dunque, ritenersi «ottenuto» dallo Stato, in quanto è erogato sulla base di una disciplina di diritto pubblico, nel perseguimento di specifiche finalità di pubblico interesse (quale quella del sostegno della liquidità della piccola e media impresa, in seguito allo shock economico determinato dalla diffusione della pandemia), che si pongono come condizione della sua erogazione.

Per effetto dell'intervento della garanzia pubblica, del resto, il rischio di credito ricade integralmente sullo Stato, che ha previamente accantonato un apposito fondo. Il Fondo PMI, nel caso di specie, dunque, non garantisce condizioni economiche di maggior favore, bensì consente la stessa realizzabilità dell'operazione economica di finanziamento, esonerando con la propria prestazione di garanzia la banca dall'esame del merito di credito e assumendo l'onere patrimoniale della mancata restituzione del finanziamento bancario: senza la garanzia il prestito non sarebbe stato concesso, mentre la stessa conferisce al prestito una funzione propriamente pubblicistica insita nella necessità di assolvere alle finalità proprie dell'ente pubblico che agisce tramite l'istituto bancario. La conclusione, dunque, è nel senso che le disponibilità economiche oggetto del finanziamento assistito da garanzia del Fondo PMI derivano non già dal puro ricorso al mercato finanziario quanto all'intervento indiretto posto in essere dallo Stato e si è quindi in presenza di un ausilio economico «ottenuto dallo Stato», ancorché il finanziamento sia direttamente erogato dalle banche consorziate nel Fondo PMI.

La decisione ha preso anche in esame il profilo relativo alla presunta impossibilità di ricondurre la prestazione di una garanzia alle categorie evocate dal legislatore nell'art. 316-bis c.p. di «contributi, sovvenzioni o finanziamenti», in quanto si sostiene che le somme messe a disposizione dell'imprenditore finanziato avrebbe hanno carattere integralmente privatistico essendo erogate dell'istituto di credito e non già dallo Stato o da altro ente pubblico, nel contesto di un rapporto di mutuo cui accede una garanzia pubblica, destinata ad essere attivata in via solo eventuale, e, dunque, non vi sarebbe un diretto coinvolgimento di risorse pubbliche. La tesi è ritenuta infondata in quanto la garanzia in parola sarebbe “riconducibile, senza alcuna violazione del canone costituzionale di necessaria tassatività della legge penale, alle categorie espressamente evocate dall'art. 316-bis c.p. dei «contributi, sovvenzioni o finanziamenti», quale oggetto esclusivo delle condotte di malversazione ai danni dello Stato”, operazione ermeneutica non ostacolata dalla circostanza che nell'ipotesi di cui all'art. 316 bis c.p. non siano richiamati – diversamente dalle ipotesi delittuose relative alla truffa aggravata ex art. 640-bis c.p. e di indebita percezione di cui all'art. 316-ter c.p. – i mutui agevolati nonché, quale previsione di chiusura, altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate.

Infatti, secondo la Cassazione, “la formulazione adottata dall'art. 316-bis c.p. solo apparentemente restringe l'ambito di applicabilità della norma, quanto alla serie delle erogazioni pubbliche, rispetto all'elencazione degli incentivi evocata per la truffa aggravata e per l'indebita percezione, in quanto le categorie dei finanziamenti, sovvenzioni e contributi esauriscono i modelli generali delle erogazioni di denaro e beni di provenienza pubblica; dovrebbe, dunque, rifuggirsi da un approccio esasperatamente classificatorio, anche in ragione delle oscillazioni definitorie presenti nella normativa amministrativa di settore, in quanto sarebbe palese l'intento del legislatore di prescindere da ogni criterio puramente nominalistico nell'individuazione delle sovvenzioni rilevanti”. Ciò che rileva per l'operare della previsione di cui all'art. 316-bis c.p. – al pari di quanto necessario per il delitto di cui all'art. 640-bis dello stesso codice - è l'esistenza di condizioni di favore - fino all'assoluta gratuità - nella prestazione venendo sanzionati tutti i casi in cui, essendo erogato danaro per pubbliche finalità, questo sia distratto dallo scopo dell'erogazione.

In effetti, in questo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità che, nel delineare l'ambito applicativo dell'art. 316-bis c.p., ha più volte affermato che i finanziamenti evocati dalla fattispecie della malversazione a danno dello Stato sono «una sottofamiglia dei contratti di credito e/o di garanzia... [che] si caratterizzano per ...l'esistenza di un'onerosità attenuata rispetto a quanto sarebbe comportato dalle regole economiche di mercato» (Cass., sez. VI, 28 settembre 1992, n. 3362) ed anche la dottrina penalistica ha rilevato che, nel testo dell'art. 316-bis c.p., la nozione di «finanziamento pubblico» ricomprende tutti quei rapporti in cui la temporanea creazione di disponibilità finanziarie avviene per intervento diretto o indiretto -mediante prestazione di garanzia- dei pubblici poteri e in cui l'utilizzazione per il fine convenuto corrisponde a uno specifico interesse pubblico.

Nell'ultima parte della decisione, poi, la Cassazione ricorda come sia irrilevante, ad escludere la rilevanza penale della vicenda, la regolare restituzione delle rate del finanziamento da parte del beneficiario. Secondo un costante orientamento, infatti, il delitto di malversazione ai danni dello Stato è reato istantaneo che si consuma nel momento in cui le sovvenzioni, i finanziamenti o i contributi pubblici vengono distratti dalla destinazione per cui sono erogati, anche se, quando il contratto o la disciplina legislativa preveda un termine, il delitto di malversazione non può considerarsi perfezionato fino a che tale termine non sia giunto a scadenza, in quanto fintano che residuino spazi per la realizzazione della finalità istituzionale del finanziamento, si può al più ritenere integrato il tentativo del delitto di cui all'art.316 bis cod. pen. (Cass., sez. VI, 6 maggio 2022, n. 19851) e nessun rilievo assume ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 316-bis cod. pen. il regolare assolvimento dell'obbligo di restituzione da parte dell'agente dei ratei del finanziamento, una volta che la distrazione sia stata già consumata (Cass., sez. VI; 9 febbraio 2016, n. 12653) – anche se la restituzione totale o parziale delle somme mutuate potrà rilevare in ordine alla determinazione dell'ammontare del profitto del reato da sottoporre a sequestro preventivo o a confisca.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione lascia perplessi.

I dubbi non riguardano la circostanza che, come ritiene la decisione, la possibilità di ritenere rilevanti ai sensi dell'art. 316-ter c.p. comportamenti – analoghi a quelli contestati nella vicenda in parola – connotati dalla finalità di ottenere indebitamente vantaggi economici mediante una menzognera rappresentazione della propria situazione economica (sul punto, PELISSERO, Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1991, 923; ROMANO, Abusi di finanziamenti comunitari ed indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato, in Dir. Pen. Proc., 2009, 269; SEMERARO, Osservazioni in tema di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in Cass. Pen., 2001, 2568; VALENTI, Sovvenzioni pubbliche (frodi nelle), in Digesto pen., XIII, Torino, 1997, 523), quanto il fatto che con riferimento all'erogazioni previste dal d.l. n. 23 del 2020 è ravvisabile solo un finanziamento erogato da una banca privata, e non dallo Stato, assistito dalla garanzia "a prima richiesta, esplicita e irrevocabile" di SACE S.p.a., che, a sua volta, fruisce per la medesima obbligazione della garanzia dello Stato, "accordata di diritto, esplicita, irrevocabile".

Va considerato, infatti, come il Decreto Liquidità non preveda l'erogazione dei prestiti a vantaggio di imprenditori messi in difficoltà dalla pandemia da parte di enti pubblici o UE (nonostante tale nozione sia intesa in senso assai ampio, come sostenuto da come sostenuto da Cass., sez. un., 19 aprile 2007, n. 16568. A commento, si vedano PICCIALLI, Truffa ed indebita percezione di finanziamenti, in Corr. Merito, 2007, 787; VALENTINI, Le Sezioni unite consacrano la primazia dell'art. 316-ter c.p.: un epilogo consapevole?, in Cass. Pen., 2007, 4526), bensì disciplini la concessione di garanzie (che coprono peraltro solo parte dell'importo) da parte dello Stato su prestiti concessi da privati: in questo caso, dunque, il beneficio che il privato riceve dalla pubblica amministrazione è elemento accessorio rispetto al rapporto che il privato che usufruisce della garanzia statuale instaura con un soggetto esterno alla pubblica amministrazione. In secondo luogo, a rendere non applicabile la disposizione di cui all'art. 316-ter c.p. al caso di specie è la già evidenziata natura non pubblicistica dell'ente creditizio che eroga la prestazione.

Ciò nonostante, non può sostenersi che escludere l'applicazione dell'art. 316 ter c.p. nel caso in esame impedisca di sanzionare comportamenti di tale fatta, posto che in proposito altre fattispecie criminali possono essere richiamate. Viene in rilievo innanzitutto la fattispecie di falso di cui agli artt. 483 c.p. e 76 comma 3 d.P.R. 445/2000 posto che nell'ambito del decreto Liquidità le dichiarazioni dei privati godono in effetti di una presunzione “privilegiata” di veridicità come ricavabile dall'art. 13 che per l'appunto con riferimento alla concessione del Fondo centrale di garanzia PMI richiede il rilascio di attestazioni dei privati inerenti ad alcune circostanze dell'impresa, anche se deve riconoscersi come l'applicazione di tale disposizione incriminatrice sarà assai sporadica in ragione della difficoltà di definire con certezza e sicurezza quando le dichiarazioni in ordine ai fabbisogni finanziari ed alle ragioni della crisi della singola azienda risultino effettivamente mendaci (del reato in parola, infatti, si risponde a titolo di dolo, rappresentato dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, mentre l'illecito non sussiste quando la falsità sia dovuta a negligenza o a una leggerezza nella condotta dell'agente ovvero ad una colposa omissione di indagine: Cass., sez. V, 22 gennaio 2020, n. 2496; Cass., sez. V, 24 ottobre 2018, n. 48604).

In secondo luogo, nelle ipotesi che stiamo esaminando potrebbe rinvenirsi un'ipotesi di mendacio bancario, di cui all'art. 137, comma 1 bis, T.U.B., che incrimina chiunque (anche se l'ipotesi più frequente è che la condotta attiva sia posta in essere dall'amministratore dell'azienda beneficiaria dell'eventuale concessione di credito, mentre non risponderanno dell'illecito eventuali garanti o terzi cui la banca si rivolga per ricevere informazioni in ordine alla posizione economica del possibile destinatario del credito) fornisce dati “aziendali” non veritieri all'istituto di credito richiesto dell'eventuale concessione del credito. Posto che ai fini della configurabilità della fattispecie è sufficiente che la banca risulti destinataria - anche in via mediata - della richiesta, mentre per il perfezionamento di tale delitto non occorre l'effettiva concessione del credito né, quindi, l'aver arrecato un danno patrimoniale alla banca erogatrice, essendo appunto sufficiente la richiesta ad una banca di erogazione di credito (in qualsiasi forma) ex novo, ovvero di modifica delle condizioni in essere rispetto ad un credito già concesso (MANGANO, Il reato di mendacio bancario, Milano, 1981, 38; BATTAGLINI, Sanzioni amministrative, disciplinari e penali nella nuova legge bancaria, in Banca e borsa Tit. credito, 1938, I, 20; FOFFANI, Reati bancari, in PEDRAZZI, ALESSANDRI, FOFFANI, SEMINARA, SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell'impresa, II edizione, Bologna 2000, 500), nulla parrebbe impedire di contestare tale reato in caso di ricorso al beneficio economico previsto dal Decreto Liquidità manifestando falsamente la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge – va ricordato, tuttavia, che il reato di mendacio bancario è diretto a tutelare la sfera patrimoniale dell'istituto di credito, il quale viene posto in pericolo dai dati falsi comunicatagli dal richiedente il prestito e di conseguenza la sussistenza del delitto in esame sarà riscontrabile solo con riferimento alla parte di mutuo non coperta dalla garanzia statale.

Infine, è sicuramente richiamabile nelle ipotesi considerate il delitto di ricorso abusivo al credito di cui all'art. 325 d.lgs. n. 14 del 2019 (Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza). Va considerato, infatti, che la previsione della legge fallimentare intende impedire all'imprenditore di continuare ad operare celando artatamente il proprio stato di dissesto, in danno (oltre che del contraente che eroga il credito, anche e soprattutto) della massa dei creditori che può vedere aggravato il dissesto patrimoniale del debitore proprio a seguito di inopportune erogazioni di prestiti che consentono di continuare nell'esercizio dell'impresa seppure in modo spesso rovinoso (SELVAGGI, In tema di ricorso abusivo al credito, in AA.VV., Crisi dell'impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell'insolvenza. Aspetti problematici, a cura di BORSARI, Padova, 2015, 483, che utilizza una espressione di PIOLETTI, Il ricorso abusivo al credito, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da GHIA, PICCININNI, SEVERINI, vol. VI, I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, Torino 2012, 187), il che per l'appunto è quanto si verifica laddove l'imprenditore faccia ricorso al prestito garantito dal Decreto Liquidità senza averne diritto. Nessun dubbio che l'ottenimento di prestiti garantiti ex D.L. n. 23 del 2020 possa integrare l'elemento materiale del reato di ricorso abusivo al credito, posto che con il termine “credito” si fa riferimento, secondo l'impostazione ampiamente prevalente, “a qualsiasi contratto con il quale l'imprenditore ottiene una prestazione in cambio della promessa di prestazione futura” (MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano 2003, 127), così come pare indiscutibile che uno dei presupposti per accedere alle garanzie di cui fa menzione il D.L. n. 23 del 2020 sia rappresentato dalla circostanza che l'impresa interessata non versi né in stato di insolvenza né in stato di dissesto, tanto è vero che una delle dichiarazioni che vanno in proposito rilasciate deve attestare, in relazione ai nuovi finanziamenti concessi da banche, intermediari finanziari e dagli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in favore di piccole e medie imprese e di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, che l'attività d'impresa di chi necessita il finanziamento è stata danneggiata dall'emergenza COVID-19 e quindi non si tratta di una crisi economica preesistente. Dunque, una mendace dichiarazione circa la solidità economica dell'impresa, con riferimento al fabbisogno patrimoniale, economico e finanziario della stessa ed alle ragioni della crisi economica che la stessa attraversa, integra pienamente quella dissimulazione di cui fa menzione il citato art. 218 R.D. n. 267 del 1942.

Infine, non pare – e la decisione concorda sul punto – praticabile un richiamo alla previsione di cui all'art. 640-bis c.p.. Indubbiamente, qualora, a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione restitutoria da parte dell'impresa mutuataria, venisse escussa la garanzia emessa da SACE S.p.A. con conseguente attivazione della correlata garanzia a prima richiesta dello Stato, vi sarebbe una sorta di subentro dello Stato o di SACE S.p.A. nella posizione dell'istituto finanziario erogatore, una sorta di una surrogazione legale dell'ente pubblico nel diritto di credito del soggetto finanziatore; tuttavia, anche ipotizzando il verificarsi di una tale surrogazione legale, questa non comporterebbe una sostituzione di diritto del garante pubblico nella posizione contrattuale dell'istituto finanziario, ma solo nel suo diritto di credito – come ritenuto dalla dottrina secondo cui la surrogazione comporta il trasferimento del diritto di credito e dei diritti ad esso accessori, ma non dei diritti inerenti alla posizione contrattuale del creditore, cosicché il surrogato non subentra nel rapporto contrattuale tra creditore e debitore, né nelle azioni contrattuali. In sostanza, anche facendo riferimento alla fase patologica del rapporto contrattuale, difficilmente, salvo voler operare una non consentita analogia in malam partem, potrebbe ritenersi che, per effetto dell'avvenuta escussione della garanzia, lo Stato, tramite SACE S.p.A., subentri nella posizione dell'istituto finanziario, con conseguente riconduzione del finanziamento ad una diretta erogazione da parte dello Stato.

Inoltre, come si legge nella decisione in esame, il rilascio della garanzia per il prestito si basa su quanto auto dichiarato dal richiedente, in quanto il soggetto erogatore è chiamato esclusivamente ad operare una presa d'atto dell'esistenza della dichiarazione da parte del privato del possesso dei requisiti autocertificati, e non a compiere un'autonoma attività di accertamento dalla quale possa conseguire una "induzione in errore" tale da consentire di ravvisare il reato di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p..

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