Limiti dell'indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo previsti nella legislazione francese: il recente orientamento della Cour de cassation

Ilaria Cendret
14 Settembre 2022

La limitazione dell'indennità risarcitoria applicabile in caso di licenziamento illegittimo è conforme sia all'art. 10 della Convenzione OIL n. 158 del 1982 sia all'articolo 24 della Carta sociale europea: il caso della Francia.
Massime

L'articolo 24 della Carta sociale europea non produce effetti diretti nel diritto nazionale nell'ambito di una controversia tra privati e non rileva pertanto sull'applicazione dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail che fissa i limiti massimi e minimi dell'indennità risarcitoria, a carico del datore di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo.

L'articolo L. 1235-3 del Code du travail è compatibile con l'art. 10 della Convenzione OIL n. 158 del 1982 in quanto garantisce al lavoratore ingiustamente licenziato un ragionevole indennizzo.

Il caso

Con una sentenza dell'11 maggio 2022, la Chambre sociale della Corte di cassazione francese si è pronunciata sul c.d. Barème Macron, ossia sulla norma di legge che pone un limite all'ammontare dell'indennità risarcitoria applicabile in caso di licenziamento illegittimo.

L'ordinamento francese prevede, in caso di accertamento della illegittimità del licenziamento, la reintegra nel posto di lavoro unicamente se accettata da entrambe le parti, lavoratore e datore di lavoro; in caso contrario, fatte salve ipotesi gravi di illiceità (come, ad esempio, il licenziamento discriminatorio), il Code du travail stabilisce dei parametri per la liquidazione di una indennità che - tenuto conto delle dimensioni dell'azienda - combinano i criteri dell'anzianità di servizio del lavoratore ingiustamente licenziato con il livello stipendiale e con la gravità del provvedimento espulsivo, tra un minimo di una mensilità fino ad un massimo di venti mensilità.

Va segnalato che, in caso di licenziamento per motivi economici in un'azienda avente almeno 1000 lavoratori, il datore di lavoro francese è tenuto ad informare ed offrire al lavoratore il congé de reclassement la cui durata è generalmente compresa tra 4 e 12 mesi.

Il congé de reclassement è un ammortizzatore sociale che consente al lavoratore di beneficiare di corsi di formazione e dell'assistenza di un'unità di collocamento per la ricerca di altro posto di lavoro. Durante il periodo di congedo, corrispondente al periodo di preavviso di licenziamento, il datore di lavoro paga la retribuzione abituale al lavoratore; se il periodo di congedo supera il periodo di preavviso, il lavoratore riceverà un'indennità mensile pari ad almeno il 65% della retribuzione media lorda degli ultimi 12 mesi precedenti alla notifica del licenziamento.

Il giudice, dunque, dopo aver accertato la sussistenza di un licenziamento ingiustificato, proporrà la reintegrazione del lavoratore nell'azienda alle condizioni preesistenti il licenziamento e, in caso di mancato accordo delle parti, attribuirà un'indennità per licenziamento illegittimo a carico del datore di lavoro. Quest'ultima deve, per l'appunto, essere calcolata tra dei valori minimi e massimi indicati dal Code du travail.

A tal proposito, l'ordonnance n°2017-1387 del 22 settembre 2017 ha introdotto una griglia limitativa del montante di indennizzo del lavoratore nei casi di licenziamento sans cause réelle et sérieuse. Più precisamente, l'articolo L. 1235-3 del Code du travail espone due tabelle - una per le aziende aventi 11 lavoratori o meno, e l'altra per le aziende con più di 11 lavoratori - contenenti i limiti minimi e massimi di indennizzo che variano in funzione degli anni di anzianità del lavoratore e del livello stipendiale percepito.

Detti limiti sono calcolati sulla base della mensilità di salario lordo. Dunque, a titolo esplicativo, in un'azienda con più di 11 lavoratori, l'indennizzo per licenziamento sans cause réelle et sérieuse di un lavoratore avente 6 anni di anzianità potrà variare tra un montante di 3 e 7 mesi di salario lordo.

Peraltro, il Barème Macron non si applica nei casi di nullità del licenziamento, enumerati all'articolo L. 1235-3-1 del Code du travail, come, ad esempio, i licenziamenti discriminatori, i licenziamenti dovuti a violenze morali o sessuali e i licenziamenti effettuati in violazione dello statuto dei lavoratori c.d. protégés (che necessitano una preventiva autorizzazione da parte dell'Ispettorato del lavoro).

Nel caso deciso a maggio 2022 dalla Cour de Cassation, la lavoratrice - destinataria di un licenziamento (scaturito da un progetto di ristrutturazione e di riduzione dell'organico di una società) reputato ingiustificato - ha contestato la conformità della limitazione dell'indennità posta a carico del datore di lavoro con riferimento alle convenzioni internazionali firmate dalla Francia. La lavoratrice ha impugnato la sentenza della Cour d'appel de Nancy del 15 febbraio 2021 secondo la quale la disposizione invocata, ossia l'articolo 24 della Carta sociale europea, non ha effetti diretti nel diritto nazionale francese.

La questione

La questione in esame è la seguente: la limitazione dell'indennità risarcitoria in caso di licenciement sans cause réelle et sérieuse, introdotta dall'ordinanza n° 2017-1387 del 22 settembre 2017, è conforme all'art. 10 della Convenzione OIL n. 158 del 1982 e all'articolo 24 della Carta sociale europea?

A tal proposito, risulta necessario rispondere dapprima alla questione inerente alla produzione di effetti diretti delle convenzioni internazionali firmate dalla Francia nel suo ordinamento giuridico.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Cour de cassation, una convenzione internazionale ha effetti diretti nell'ordinamento francese quando non necessita di ulteriori misure per renderla applicabile e può essere direttamente invocata dai singoli privati davanti al giudice nazionale.

Il Barème Macron è stato oggetto, all'indomani della sua entrata in vigore, di due controlli esistenti nel sistema giuridico francese, ossia quello di costituzionalità, operato dal Conseil Constitutionnel, e quello di conformità alle convenzioni e trattati internazionali, eseguito dalle giurisdizioni giudiziarie ed amministrative (1).

All'occasione dell'esame della legge di ratifica dell'ordonnance del 22 settembre 2017, il Conseil Constitutionnel si è pronunciato sulla conformità del barème alla Costituzione (2), rilevando che l'articolo 4 della Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789 non impedisce al legislatore di introdurre limitazioni o esclusioni, per motivi di interesse generale, alle condizioni di applicabilità della responsabilità, fatta salva la violazione sproporzionata dei diritti delle vittime di atti illeciti. Fissando un plafond massimo di indennizzo, il legislatore ha inteso rafforzare la prevedibilità delle conseguenze connesse alla risoluzione del rapporto di lavoro, perseguendo, così, un interesse generale.

Inoltre, la non applicazione dei limiti di indennizzo, previsti all'articolo L. 1235-3 in specifici casi di licenziamento nullo sopra menzionati, e la modulazione dell'indennità in base ad alcuni criteri relativi al danno subito dal lavoratore - come il criterio dell'anzianità - non violano il principio di uguaglianza davanti alla legge e pongono una limitazione proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito.

Quindi, nella generalità dei casi (con esclusione – come detto - dei casi specifici ritenuti di estrema gravità), spetterà ai giudici di merito prendere in considerazione gli elementi che determinano, in concreto, il pregiudizio subito dal lavoratore licenziato e fissare l'importo esatto del risarcimento dovuto dal datore di lavoro: il giudice, preso a riferimento il limite minimo e massimo posto dal legislatore (mediante il sistema Barème) con riguardo al quel tipo di azienda (con più o meno di 11 dipendenti) e a quella determinata anzianità nonchè livello stipendiale, sceglierà se condannare al pagamento della somma minima, massima oppure a quella intermedia che riterrà più consona al caso di specie.

Va segnalato che il Conseil Constitutionnel, esaminando il sistema Barème, ha rilevato che il legislatore ha tenuto conto - nel corso dei lavori preparatori - della media delle indennità risarcitorie concesse dai giudici di merito precedentemente all'entrata in vigore dell'ordonnance. Il Barème Macron è stato contestato, poi, con riguardo all'articolo 10 della Convenzione 158 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), il quale prevede il diritto a “un indennizzo adeguato o ogni altra forma di riparazione considerata come appropriata”, e all'articolo 24 della Carta sociale europea, che consacra il diritto dei lavoratori ad un “congruo indennizzo o altra adeguata riparazione” in caso di licenziamento senza un valido motivo.

La Corte di Cassazione, anche richiamando suoi arresti precedenti, ha premesso che l'art. 10 della Convenzione 158 dell'OIL esplica effetti diretti nell'ordinamento francese perché si tratta di disposizione sufficientemente chiara e precisa, enuncia diritti a favore dei lavoratori e rinvia agli organi giudiziari dei singoli paesi quanto alle modalità di applicazione; ha, invece, rilevato che l'art. 24 della Carta sociale europea ha carattere generale e meramente programmatico (che dunque, richiede necessariamente l'adozione di misure nazionali in ragione “dell'importante” margine discrezionale lasciato agli Stati membri), si rivolge agli Stati (e non ai suoi organi giudiziari), prevede un meccanismo di controllo affidato al Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) in materia di meccanismi di applicazione dei principi della Carta che conferma l'esclusione della efficacia diretta della Carta stessa.

Per quanto riguarda la conformità all'articolo 10 della Convenzione 158 dell'OIL, il Conseil d'Etat (3) e, successivamente, la Corte di Cassazione (4) tramite un parere non vincolante, hanno convalidato il barème alla luce del margine di apprezzamento lasciato agli Stati firmatari.

La giurisdizione amministrativa sottolinea che la previsione di importi minimi e massimi dell'indennità in caso di licenziamento ingiustificato, basati sui criteri dell'anzianità di servizio del lavoratore e del numero dei dipendenti dell'azienda, non impedisce al giudice di prendere in considerazione ulteriori criteri relativi alla situazione specifica del dipendente al fine di fissare l'importo esatto dell'indennità (nell'ambito del minimo e del massimo previsti dal legislatore).

La Suprema corte ribadisce che il diritto francese offre la possibilità di proporre la reintegrazione del lavoratore all'interno dell'azienda: solo nel caso in cui la reintegrazione è rifiutata da una delle due parti, allora il giudice assegnerà al lavoratore un'indennità ai sensi dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail, la cui applicazione è esclusanei casi di licenziamenti nulli.

La previsione legale di un limite massimo all'indennità da erogare al lavoratore ingiustamente licenziato non costituisce un ostacolo procedurale all'accesso alla giustizia e il tenore lessicale dell'art. 10 della Convenzione 158 (direttamente applicabile) lascia, comunque, agli Stati membri un margine di apprezzamento che può senz'altro tradursi nella previsione di un plafond massimo.

Si osservi che il parere della Suprema corte non è vincolante per le giurisdizioni di merito: queste ultime si sono successivamente pronunciate su delle ulteriori contestazioni del barème a seguito di domande aventi ad oggetto il controllo di conformità, rispetto ai trattati e convenzioni internazionali, controllo effettuato con riguardo al caso concreto (contrôle de conventionnalité in concreto). Secondo il controllo in concreto, il giudice francese si basa sui fatti presentati dalle parti e su un'analisi concreta della situazione di specie.

La Corte di Cassazione ha, peraltro, colto l'occasione per escludere che un controllo in concreto dei giudici di merito possa portare ad una decisione di diverso avviso rispetto alla compatibilità, seppur valutata in abstracto, dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail con l'art. 10 della Convenzione 158 dell'OIL, posto che ciò comporterebbe una varietà incontrollata di decisioni che si porrebbero in contrasto con il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge sancito dall'art. 6 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e dei cittadini del 1789.

Un controllo di compatibilità demandato, in concreto, ai giudici di merito in materia di indennità di licenziamento comporterebbe una tale varietà di soluzioni che comprometterebbe non solo il principio di sicurezza giuridica ma anche la volontà legislativa che, con l'introduzione di un barème, ha ritenuto di offrire alle parti un meccanismo di agevole prevedibilità delle decisioni. Si sostituirebbe, inaccettabilmente, il barème del legislatore con un barème dei giudici reso in funzione del singolo caso concreto, con grave perdita di certezza del diritto.

Osservazioni

Con la recente pronuncia della Corte di cassazione francese, l'assenza di effetti diretti dell'articolo 24 della Carta sociale europea, in una controversia tra privati, è confermata.

Infatti, a differenza delle disposizioni dell'articolo 10 della Convenzione n. 158 dell'OIL, che sono sufficientemente “chiare e incondizionate”, l'articolo 24 enuncia solamente l'obbligazione degli Stati contrattanti, attraverso la loro legislazione o tramite la negoziazione collettiva, di garantire l'esercizio effettivo del diritto a una protezione in caso di licenziamento illegittimo.

Questo presupposto comporta che le disposizioni dell'articolo 24 hanno un carattere generale e programmatico e necessitano, per la loro applicazione, di essere completate con delle misure nazionali: la Sezione Lavoro enuncia, dunque, i criteri che sono indice di effetti diretti di una Convenzione internazionale.

Con un ragionamento simile a quello effettuato dal Conseil d'Etat nella storica pronuncia Gisti et Fapil (5), la Corte di Cassazione individua i criteri in base ai quali le disposizioni di un Trattato internazionale - introdotte nel diritto interno in virtù dell'articolo 55 della Costituzione (6) - hanno effetto diretto nell'ordinamento degli Stati membri: 1) l'assenza di una incidenza esclusiva sui rapporti tra gli Stati; 2) la compiutezza della disciplina tale da consentire la produzione di effetti direttamente nei confronti dell'individuo (ossia la disciplina internazionale non richiede l'intervento di un atto complementare per produrre i suoi effetti nei confronti dei privati).

Secondo questi due criteri - il primo oggettivo e il secondo soggettivo - il giudice francese (7) dovrà analizzare la struttura generale del trattato, così come il suo contenuto e i suoi termini, e l'intenzione delle parti per determinare l'esistenza, o meno, di effetti diretti nel diritto nazionale.

Conseguentemente, non avendo l'articolo 24 della Carta sociale europea effetti diretti sul diritto nazionale, il giudice francese non può escludere l'applicazione del Barème Macron, che viene ritenuta conforme alla citata Convenzione dell'OIL.

È da sottolineare che la Corte di Cassazione fa riferimento, nella notice explicative della sentenza, al meccanismo di controllo esercitato dal Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) - organo preposto alla verifica della conformità delle situazioni nazionali alla Carta sociale europea - come ulteriore giustificazione all'esclusione di effetti diretti della Carta nel diritto nazionale (8).

Il Comitato, infatti, non ha mai imposto ai giudici nazionali francesi il riconoscimento della diretta applicabilità della Carta facendo, anzi riferimento alla giurisprudenza del Conseil d'Etat che respinge qualsiasi applicazione diretta della Carta (9).

Con riguardo all'ordinamento italiano - dotata di un sistema di indennizzo a favore dei lavoratori ingiustamente licenziati molto simile al barème francese - la recente decisione del CEDS (CGIL c. Italia) (10) sulla violazione dell'articolo 24 della Carta e la pronuncia di incostituzionalità dell'articolo 3, comma 1 del d. lgs. n. 23/2015 (11), hanno, invece, posto la questione del valore giuridico dell'articolo 24 della Carta sociale europea nel sistema delle fonti del diritto nazionale italiano.

La pronuncia del CEDS inerente la violazione dell'articolo 24 della Carta fa riferimento all'assenza di previsione di rimedi giuridici alternativi o complementari che, a fronte della previsione di limiti minimi e massimi di risarcimento del danno (dettati dall'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015), permettano di offrire un integrale ristoro di tutti i danni, materiali e morali, subiti dal lavoratore (12); inoltre, il meccanismo di conciliazione previsto dall'art. 6 del d.lgs. n. 23 del 2015 è chiaramente predisposto per evitare le procedure giudiziarie, obiettivo che - seppur non confliggente con l'art. 24 della Carta sociale europea - non può essere perseguito a svantaggio del lavoratore (che riceverebbe, pur se nei tempi più veloci di una conciliazione stragiudiziale, un importo inferiore a quello che potrebbe essere liquidato in sede giudiziale, vista la fissazione di un limite massimo più contenuto di quello vigente per la fase giudiziale).

Né, aggiunge il CEDS, la via giudiziaria appare concretamente dissuasiva, considerato il limite massimo prefissato dell'indennità e la durata del processo (che si risolve a favore del datore di lavoro).

Insomma, le disposizioni esaminate del d.lgs. n. 23 del 2015 non consentono di ottenere un ristoro adeguato e proporzionale al pregiudizio subito, di natura tale da dissuadere il datore di lavoro all'adozione di un licenziamento illegittimo.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 194 del 2018, ha dichiarato illegittimo l'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015 nella misura in cui prevedeva un meccanismo automatico di liquidazione della indennità risarcitoria al lavoratore illegittimamente licenziato (due mensilità dell'ultima retribuzione per ogni anno di servizio).

A differenza della Cour de cassation, la Corte Costituzionale ha espressamente richiamato l'art. 24 della Carta sociale europea (“che si ispira alla Convenzione OIL n. 158 del 1982”) rilevando l'idoneità della Carta stessa a integrare il parametro dell'art. 117, primo comma, Cost. e riconoscendo l'autorevolezza delle decisioni del CEDS, ancorché non vincolanti per i giudici nazionali (13).

Sottolinea, la Corte Costituzionale, che l'art. 24 della Carta sociale europea specifica sul piano internazionale, in armonia con l'art. 35, terzo comma, Cost. e con riguardo al licenziamento ingiustificato, l'obbligo di garantire l'adeguatezza del risarcimento, in linea con quanto già affermato sulla base del parametro costituzionale interno dell'art. 3 Cost., in tal modo realizzandosi un'integrazione tra fonti e - ciò che più rileva - tra le tutele da esse garantite.

Esaminando, dunque, comparativamente, gli approdi della giurisprudenza francese e di quella italiana elaborati con riguardo all'art. 24 della Carta sociale europea, va notato che la Cour de cassation respinge qualsiasi profilo di ingerenza nella legislazione statale, evidenziandone i profili di natura soggettiva (la Carta si rivolge solamente agli Stati sottoscrittori) e oggettiva (il mero carattere generale e programmatico della disposizione); diversamente, la Corte Costituzionale sottolinea l'idoneità della Carta sociale europea ad integrare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (rilevando la violazione dei parametri costituzionale dettati dagli art. 76 e 117, primo comma, per il tramite di questa norma interposta) e la particolare autorevolezza dei pareri espressi dal CEDS.

Ove, poi, ci si sposta a valutare l'impatto dell'art. 10 della Convenzione n. 158 dell'OIL nelle legislazioni nazionali, pur a fronte di meccanismi sostanzialmente simili di tutela indennitaria avverso i licenziamenti illegittimi (il sistema barème francese e l'indennità prevista dall'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015) e salva l'operatività della tutela reintegratoria in caso di licenziamenti discriminatori o posti in violazione dei diritti e delle libertà fondamentali (valevole per entrambi gli ordinamenti), la Cour de cassation ritiene del tutto compatibile il proprio meccanismo con il principio dell' “indennizzo adeguato” e della “riparazione appropriata” dettato dalla fonte internazionale, anche in considerazione dell'effetto, giudicato assolutamente positivo, della prevedibilità dell'ammontare dell'indennizzo, mentre la Corte Costituzionale si limita a dare atto della mancata ratifica dell'Italia della suddetta Convenzione (e, dunque, della insuscettibilità di integrare i parametri costituzionale evocati dal giudice a quo).

In conclusione, rimane una certa perplessità di fondo e un senso di smarrimento nel constatare come formule di carattere generale come “congruo”, “adeguato”, “dissuasivo” lascino, secondo la giurisprudenza francese, ampia discrezionalità al legislatore nazionale di articolare un meccanismo di tutela indennitario fisso e prestabilito, basato su criteri (il livello stipendiale, l'anzianità di servizio, la gravità del licenziamento) selezionati dal legislatore stesso e che ha i pregi (senz'altro di carattere deflattivo) di consentire alle stesse parti coinvolte di determinare l'ammontare del pregiudizio in caso di licenziamento illegittimo e di evitare una varietà incontrollata di decisioni giudiziali, mentre, secondo il giudice delle leggi italiano, costituiscano - queste stesse formule - la conferma della necessità di una valutazione caso per caso, che sia adeguata alla particolarità di ogni fattispecie concreta mediante l'utilizzo di una “pluralità di fattori” che impedisca l'ingiustificata omologazione di situazioni diverse ma che, forse, compromette, in parte, le esigenze di certezza del diritto e di prevedibilità della sanzione che bene hanno sottolineato i giudici francesi (14).

Note

(1) A tal proposito si ricorda la decisione del Conseil Constitutionnel n. 74-54 DC del 15 gennaio 1975 con la quale quest'ultimo non si riconosce competente per esaminare la conformità della legge alle stipulazioni di un trattato o di un accordo internazionale. Successivamente, si sono riconosciute competenti le giurisdizioni civili (Cour de Cassation, chambre mixte, 24 mai 1975, Société des cafés Jacques Vabre) e le giurisdizioni amministrative (Conseil d'Etat, Assemblée, 20 octobre 1989, Nicolo). In entrambi i casi si è trattato di un controllo di una legge posteriore al Trattato di Roma del 1957.

(2) CC, décision n° 2018-761 DC du 21 mars 2018.

(3) Conseil d'État, Juge des référés, 0712/2017, n° 415243, Inédit au recueil Lebon. Si segnala che il référé è una procedura d'urgenza per la risoluzione provvisoria di una controversia e che l'ordonnance de référé non ha, ai sensi dell'articolo 488 del Code de procédure civile, autorità della cosa giudicata sulla domanda principale.

(4) Avis n°15013 del 17 luglio 2019, pourvoi n° 19-70.010.

(5) CE Ass., 11 avril 2012, GISTI et FAPIL, n° 322326.

(6) L'articolo 55 della Costituzione francese riconosce ai trattati e agli accordi internazionali un valore superiore a quello normativo.

(7) L'interpretazione delle disposizioni di un trattato internazionale è operata dal giudice francese a esclusione delle ipotesi di competenza esclusiva della Corte di Giustizia dell'Unione europea.

(8) «Ce mécanisme de contrôle prévu par la Charte, confié au CEDS et au comité des ministres du Conseil de l'Europe écarte ainsi toute possibilité d'effet direct de la Charte ».

(9) CEDS, 1er déc. 2010, Conseil européen des Syndicats de Police (CESP) c. France, réclam. 57/2009, § 23.

(10) CEDS, 11 febbraio 2020, Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil) c. Italia, n. 158/2017.

(11) Corte Cost., 8 novembre 2018, n. 194.

(12) La CEDS richiama altresì sue precedenti decisioni: 2 luglio 2013 nei confronti della Norvegia e 6 e 8 settembre 2016 nei confronti della Finlandia.

(13) Sulla assenza di effetti vincolanti delle decisioni del CEDS per il nostro ordinamento, vedi anche Corte Cost., 13 giugno 2018, n. 120.

(14) Sulla idoneità del parametro del “ristoro adeguato”, adottato dalla sentenza n. 194 del 2018, ad aprire “praterie alla discrezionalità valutativa dei giudici”, cfr. Raffaele De Luca Tamajo, in Diritti lavori mercati, 2018, 634 e ss.

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