La liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d'un congiunto in base ad un criterio “a forbice”
20 Settembre 2022
In seguito alla morte di una 69enne, avvenuta per un'infezione da virus HCV, contratta a causa di una emotrasfusione con sangue infetto, i figli della vittima (ormai autonomi ed adulti) ottengono il pagamento di 50.000 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, in base alla c.d. “tabella” diffusa dal Tribunale di Milano.
I congiunti però ricorrono in Cassazione sostenendo che la Corte d'Appello, nel liquidare il suddetto danno, avrebbe erroneamente applicato il criterio noto come “tabella milanese”, violando l'art. 1226 c.c.
La doglianza è fondata. Infatti, «la liquidazione di pregiudizi sine materia come il danno da uccisione d'un prossimo congiunto può dirsi equa – per i fini di cui all'art. cit. - quando sia compiuta con un criterio che rispetti due principi: a) garantisca la parità di trattamento a parità di danni; b) garantisca adeguata flessibilità per tenere conto delle peculiarità del caso concreto. “Uniformità pecuniaria di base” e “flessibilità” della liquidazione sono dunque i due momenti indefettibili di ogni liquidazione dei pregiudizi non patrimoniali» (Cass. n. 5865/2021, n. 18056/2019, n. 7513/2018).
Ne consegue che «quando la liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d'un congiunto avvenga in base ad un criterio “a forbice”, che preveda un importo variabile tra un minimo e un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie. Tali non sono né l'età della vittima, né quella del superstite, né l'assenza di convivenza tra l'una e l'altro, circostanze tutte che possono solo giustificare la quantificazione del risanamento all'interno della fascia di oscillazione tra minimo e massimo tabellare».
(Fonte: dirittoegiustizia.it) |