Costi indeducibili e presunzione di distribuzione utili extracontabili ai soci

23 Settembre 2022

La recente ordinanza n. 25322 della S.Corte di Cassazione torna ad occuparsi della presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili da parte di società di capitali a ristretta base azionaria.
Massima

La presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili da parte di società di capitali a ristretta base azionaria si applica non solo se il maggior reddito accertato tragga origine da ricavi occultati o da costi fittizi, ma anche nell'ipotesi di costi indeducibili. Infatti i costi costituiscono in tutti i casi un elemento rilevante ai fini della determinazione del reddito d'impresa, sicché, quando essi siano fittizi o indeducibili, scatta comunque la presunzione che il medesimo reddito è maggiore di quanto dichiarato o indicato in bilancio. Anche nel caso in cui il costo sia indeducibile, anche se effettivamente sostenuto, con somme erogate in concreto dalla società, la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 25322 del 25/08/2022, in commento, ha chiarito rilevanti profili in tema di presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base azionaria.

Nel caso di specie, il contribuente, socio al 50% di una S.r.l., proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate, rideterminando il maggiore reddito della società, con conseguente recupero, per l'anno 2012, di Ires, imputava la ripresa fiscale (sotto forma di presunzione di distribuzione pro quota del maggior reddito societario) anche ai soci, al 50%, stante la ristretta base societaria.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso e, su appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale lo accoglieva, rilevando che, nella fattispecie in esame, non trovava applicazione la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, in quanto il maggior reddito della società era stato determinato mediante il disconoscimento di parte delle spese dedotte.

Avverso tale sentenza l'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per Cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, 83 d.P.R. n. 917/1986 e 2606 c.c., e sostenendo che i giudici di secondo grado avevano errato nel non applicare la presunzione di distribuzione del maggior reddito delle società a ristretta base sociale anche al disconoscimento della variazione in diminuzione di cui all'art. 83 Tuir.

La questione

In forza di un principio ribadito in più occasioni dai giudici della Suprema Corte, l'accertamento di utili extracontabili in capo alla società di capitali a ristretta base sociale consente di inferire la loro distribuzione tra i soci in proporzione alle loro quote di partecipazione, salva la facoltà per gli stessi di fornire la prova contraria, costituita dal fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, stati accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (cfr., tra le tante, Cass. 26248/2010, Cass. 8473/2014 e Cass. 27049/2019).

In particolare, si è precisato, che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci, che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (cfr., Cass. 22 aprile 2009, n. 9519).

Ciò premesso, con riferimento alla determinazione del reddito, la Cassazione insegna quindi che «i costi costituiscono un elemento rilevante ai fini della determinazione del reddito d'impresa, sicchè quando essi siano "fittizi" o "indeducibili", scatta la presunzione che il medesimo è maggiore di quanto dichiarato o indicato in bilancio, con la conseguenza che non può riscontrarsi alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l'indeducibilità o inesistenza di costi» (cfr. Cass. 17959/2012 e 17960/2012).

Le soluzioni giuridiche

Tanto premesso, la Commissione Tributaria Regionale, nel caso di specie, nel ritenere che i maggiori utili non contabilizzati della società a ristretta base potevano presumersi distribuiti ai soci solo in presenza di maggiori ricavi, ma non a causa di indebite deduzioni di imposta, non si era uniformata ai principi sopra esposti.

Secondo il più recente orientamento di legittimità, il principio della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili trova infatti applicazione nelle società a ristretta base partecipativa anche quando la società abbia indicato in bilancio dei costi inesistenti, indeducibili perchè non documentati.

In tale ipotesi, infatti, i costi non sono stati sostenuti dalla società, sicchè il reddito di impresa effettivamente conseguito nel corso dell'esercizio è costituito da quello dichiarato con l'aggiunta però dei costi ritenuti appunto inesistenti.

Tale reddito maggiorato, pertanto, si presume distribuito nel corso del medesimo esercizio ai soci.

La situazione è del resto analoga anche nel caso in cui il costo, pur essendo stato effettivamente sostenuto dalla società, sia indeducibile per altre ragioni (magari perchè è stato violato il principio di competenza, sicchè la somma doveva essere versata in altro esercizio, o per mancata inerenza, o per violazione di altre norme fiscali, come l'art. 99 del d.P.R. n. 917 del 1986, art. 99).

Anche in tali casi, infatti, la società matura comunque un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con conseguente presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta.

In tali ipotesi, in sostanza, i costi indeducibili alterano il conto economico, che, una volta emendato da tale errore, comporta dunque, inevitabilmente, ricavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato.

Anche in questo caso si genera pertanto un maggiore reddito, che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione (cfr., Cass. 2224/2021).

Osservazioni

A prescindere dallo specifico caso processuale, giova infine evidenziare le seguenti osservazioni.

Con riferimento alla presunzione di distribuzione di utili extracontabili, tali utili, come visto, possono sicuramente derivare sia da maggiori ricavi che da costi inesistenti o indeducibili.

Ai fini del reddito, le due voci - costi indebitamente detratti ed utili -, infatti, si equivalgono, in quanto il risparmio illecito di imposta si risolve comunque in un indebito arricchimento (della società prima e del socio poi).

Il fondamento logico della costruzione giurisprudenziale (cfr., Cass., Sentenza n. 2224 del 02/02/2021) si rinviene in tal caso nella "complicità" che normalmente avvince un gruppo societario composto da poche persone (in genere da due fino ad un massimo di sei, ma non v'è in realtà alcun dato numerico preciso, trattandosi di una presunzione semplice), sicché vi è la presunzione che gli utili extracontabili siano stati distribuiti ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, salva la prova contraria a carico del contribuente (Cass., 26 maggio 2008, n. 13485).

Né è a tal fine necessaria l'esistenza di un rapporto di parentela, stante appunto l'esiguità del numero dei soci (Cass., 12 novembre 2012, n. 19680).

Sempre in tema di costi fiscalmente non deducibili, del resto, gli stessi costi sono per loro natura neutrali ai fini fiscali, nel senso che di essi non è dato tener conto ai fini della determinazione della base imponibile, la cui quantificazione è quindi da ritenere alterata, con conseguente, inevitabile, ricaduta sulla quantificazione delle imposte effettivamente dovute.

I costi indeducibili, quale che sia la ragione di tale indeducibilità, non possono infatti comunque essere considerati nel passivo del conto economico del bilancio, che, per il principio di derivazione di cui all'art. 83 Tuir, è alla base del bilancio fiscale.

In conclusione, non spetta in tali casi all'Ufficio, ma al socio contribuente, fornire la prova che i maggiori utili non siano stati distribuiti, ma siano stati dalla stessa società accantonati, ovvero reinvestiti.

Non essendo l'utile civilistico equiparabile al reddito imponibile, il fisco può pretendere che venga fornita la prova della corrispondenza fra operazioni contabili e realtà economiche.

E lo stesso Ufficio può quindi non solo valutare, in via presuntiva, ai fini reddituali, le passività dichiarate ma inesistenti, ma anche prescindere, in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio. Salva, naturalmente, la facoltà di prova contraria riconosciuta al contribuente.

L'utile accertato, non riportato nelle scritture contabili ed in ordine al quale la società non fornisca giustificazioni, deve dunque in tali casi comunque presumersi diviso fra i soci in ragione della loro partecipazione azionaria.

La ristretta compagine sociale determina, in sostanza, un'inversione dell'onere della prova a carico dello stesso socio. E ciò in quanto lo scarso numero dei soci si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari e nell'onere, per il socio, di conoscere tali affari, potendo comunque, come detto, fornire la prova dei fatti impeditivi dell'attribuibilità.

I maggiori utili contestati in questi casi ai soci si presumono quindi derivare da utili conseguiti dalla società in evasione di imposta e, dalla parte del socio, costituiscono redditi di capitale che il contribuente non ha fatto concorrere alla determinazione del proprio reddito complessivo.

Tali utili, naturalmente, non vengono neppure peraltro assoggettati ad alcuna ritenuta da parte della società, laddove la sentenza della Corte di Cassazione n. 10982 del 14 maggio 2007 ha per esempio a tal proposito stabilito che “costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale opera la presunzione iuris tantum relativamente alla distribuzione pro quota degli utili extracontabili ai soci di una società di capitali caratterizzata da ristretta compagine partecipativa. Conseguentemente, grava sul soggetto societario l'obbligo di applicare la ritenuta ex art. 27 del D.P.R. n. 600/1973”.

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