Prescrizione dei crediti retributivi: l'instabilità del rapporto trova ulteriore conferma a Milano
26 Settembre 2022
Il fatto
I lavoratori chiamavano in giudizio la società datrice affinché fosse dichiarata la nullità di alcune clausole contenute nel contratto aziendale ed incidenti sulla retribuzione.
A sostegno delle proprie pretese essi richiamavano la normativa sovranazionale (art. 7 Direttiva 2003/88/CE e l'art. 31, co.2, CDFUE) nonché la giurisprudenza in materia, secondo la quale la retribuzione in periodo di ferie dovrebbe coincidere con quella ordinaria per le voci intrinsecamente collegate alle mansioni svolte, al fine di non gravare sulla scelta del lavoratore di fruire o meno delle stesse. Conseguentemente, le indennità previste dalle clausole del contratto aziendale avrebbero dovuto essere incluse nel calcolo della retribuzione dei periodi di ferie.
I ricorrenti chiedevano, quindi, l'accertamento dei loro crediti retributivi.
La società-datrice sosteneva la legittimità delle clausole negoziali, eccependo la prescrizione quinquennale per i crediti vantati dai lavoratori. La questione
La retribuzione corrisposta durante le ferie può essere inferiore a quella ordinariamente riconosciuta al lavoratore? Il conseguente credito per le differenze retributive si può prescrivere in costanza di rapporto? La soluzione del Tribunale
Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso.
Con riferimento alla nullità delle clausole negoziali, richiamando la sentenza n. 13425/2019 della Corte di Cassazione, si è chiarito che, in tema di retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie, ai sensi dell'art. 7 Direttiva 203/88/CE – così come interpretata dalla CdgUE – sussiste una nozione europea di “retribuzione” che comprende qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore.
È stata rammentata anche la giurisprudenza europea in materia, in base alla quale, per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione ordinaria, essendo l'obbligo di monetizzare le ferie volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro (vd. causa Z.J.R. Lock, C-539/12, Williams ed altri. C-15510; causa To.He, C-385/17).
Pertanto, qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite importo pecuniario, incluso nel calcolo della retribuzione complessiva, deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell'ammontare che spetta al lavoratore durante le ferie.
Parimenti dovranno essere mantenuti gli emolumenti correlati allo status personale e professionale. Non devono, invece, essere presi in considerazione gli elementi retributivi diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengono in occasione dell'espletamento delle mansioni in ossequio al contratto di lavoro.
Con riferimento alle clausole negoziali contestate dai ricorrenti, il Tribunale ha rilevato che le indennità negozialmente previste costituivano un emolumento intrinsecamente collegato all'esecuzione delle incombenze dei lavoratori, per cui dovevano essere inserite nella retribuzione feriale.
Il giudice meneghino non ha accolto la tesi della resistente, in particolare negando la sussistenza della possibilità per il datore di coltivare un legittimo affidamento circa il rispetto della contrattazione collettiva nella parte in questione, essendo essa chiaramente illegittima per contrasto alla normativa nazionale e sovranazionale.
È stata esclusa anche l'applicabilità dell'art. 1419 co.1 c.c., poiché un'eventuale clausola di inscindibilità non avrebbe potuto ritenersi legittima ove la sua applicazione avesse prodotto l'effetto di determinare una retribuzione non proporzionata e insufficiente nel periodo feriale, in contrasto con l'art. 36 Cost.
Il Tribunale non ha accolto neanche l'eccezione di prescrizione.
A seguito dell'entrata in vigore della L. n. 92/2012, si è affermato, la tutela avverso un licenziamento illegittimo è divenuta ordinariamente indennitaria, senza possibilità di reintegrazione, sicché i lavoratori – pur dipendenti di un'azienda sottoposta alla disciplina dell'art. 18 St. Lav., avrebbero potuto essere soggetti al timore del recesso nel far valere le proprie ragioni, a fronte di una diminuita resistenza della stabilità del rapporto.
Non essendo decorsa la prescrizione quinquennale in corso di rapporto a partire dall'entrata in vigore della L. n. 92/2012, i crediti vantati dai ricorrenti non potevano essere dichiarati prescritti. Osservazioni
Con la decisione in commento il Tribunale di Milano riprende le posizioni assunte dai giudici di legittimità in due recenti sentenze (Cass. n. 20216/2022 e n. 26246/2022) affrontando due questioni di particolare rilievo: il trattamento retributivo percepito dal dipendente durante il periodo feriale; la decorrenza della prescrizione quinquennale dei crediti retributivi vantati dal lavoratore.
Con riferimento al primo punto, sembra sufficiente rammentare che l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione si pone in linea con la normativa europea, così come interpretata dalla Corte di Lussemburgo (sent.9 dicembre 2021, Staatssecretaris van Financiën, C-217/20; sent. 13 gennaio 2022, C-514/20, Koch; sent. 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, EU:C:2016:576; sent. 8 novembre 2012, Heimann e Toltschin, C-229/11 e C-230/11, EU:C:2012:693; sent. 29 novembre 2017, King, C-214/16, EU:C:2017:914; sent. 4 ottobre 2018, Dicu, C-12/17, EU:C:2018:799).
L'accento è posto sull'esigenza di garantire il riposo annuale al lavoratore, tenuto conto dell'incidenza delle ferie sul recupero psico-fisico e, quindi, sulla tutela della persona.
La CdgUE ha precisato che l'espressione «ferie annuali retribuite», di cui all'articolo 7, § 1, precitato sta ad indicare che, per la durata delle «ferie annuali», la retribuzione deve essere mantenuta, sicché il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo. (sent. 16 marzo 2006, Robinson-Steele e a., C-131/04 e C-257/04, EU:C:2006:177; sent. 15 settembre 2011, Williams e a., C-155/10, EU:C:2011:588) Tale previsione è giustificata dall'esigenza di mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle ferie, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro. Sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto di godere, nel corso del periodo di riposo, di condizioni economiche paragonabili a quelle applicate durante l'esercizio dell'attività lavorativa.
La precipua funzione del periodo feriale verrebbe, infatti, ad essere indirettamente frustrata da una previsione negoziale (CCNL e/o contratto aziendale) che prevedesse una retribuzione inferiore a quella ordinariamente percepita dal lavoratore.
Quest'ultimo potrebbe esserne condizionato negativamente, rinunciando alle ferie, o ad una parte di esse, proprio in ragione della retribuzione inferiore.
La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, delineato – in linea con la posizione assunta dalla CdgUE- i confini entro i quali le parti sociali possono ricalcolare la retribuzione durante il periodo del riposo annuale: le voci di retribuzione le quali siano intrinsecamente connesse alla natura delle mansioni svolte dall'interessato, corrisposte per compensare uno specifico disagio derivante dall'espletamento di dette mansioni, ovvero correlate al peculiare status professionale o personale del lavoratore, devono essere a quest'ultimo riconosciute anche durante le ferie; diversamente per gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni.
Come sottolineato dalla stessa Corte di Cassazione, in mancanza di una previsione legale in ordine all'ammontare della retribuzione feriale, l'autonomia collettiva può stabilire che una certa voce retributiva venga esclusa, senza tuttavia contrastare l'art. 36 Cost. e la normativa europea (direttiva 2003/88/CE e art. 31 CDFUE).
La CdgUE, d'altronde, ha ritenuto che il lavoratore in ferie debba percepire una retribuzione “paragonabile a quella dei periodi di lavoro”, ma non ha richiesto che essa sia esattamente identica, né ha provveduto ad indicare le soglie quantitative di legittimo scostamento, dimostrando così di voler dare un'indicazione improntata al canone della flessibilità valutativa, rimessa al singolo Stato membro.
La seconda questione riguarda la decorrenza del termine prescrizionale dei crediti dei lavoratori-ricorrenti che, durante le ferie, avevano percepito una retribuzione inferiore a quella ordinaria.
Il giudice meneghino si è posto sul medesimo percorso ermeneutico seguito dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 26246/2022, senza tuttavia prodigarsi particolarmente nel motivare tale adesione.
Si assiste, quindi, al primo avallo della tesi sulla (rinnovata) instabilità dei rapporti di lavoro ai quali è applicata la disciplina dell'art. 18 St. Lav., così come modificato dalla L. n. 92/2012.
L'eccezionalità della tutela reale – ampliata con il D.lgs. n. 23/2015 – ha posto nuovamente in discussione l'individuazione del dies a quo del termine prescrizionale dei crediti retributivi vantati dal dipendente. Proprio il rischio di perdere il posto di lavoro ingenererebbe una situazione psicologica di metus nel lavoratore, tale da condurre ad una “rinuncia per inerzia” del credito stesso.
Ne conseguirebbe, alla luce della giurisprudenza costituzionale degli anni '60 (sentenza n. 63/1966), l'impossibilità di consentire la decorrenza della prescrizione in corso di rapporto, con instaurazione di un nesso tra regime protettivo (prescrizione decorrente dalla cessazione del rapporto) e metus del lavoratore, nonché equiparazione quoad effectum tra inerzia nell'esercizio del diritto e rinuncia al medesimo.
Rimandando al commento della sopra citata sentenza del giudice di legittimità, si rammenta l'esistenza di un orientamento interpretativo opposto, il quale nega che il venir meno della generalizzata tutela reale a fronte di ogni tipologia di licenziamento - conseguente alla novella dell'art. 18 Stat. Lav. ed ancor più oggi con la disciplina dei contratti c.d. “a tutele crescenti” - abbia provocato il “risorgere” del metus in capo al lavoratore, sicché la novella legislativa non avrebbe determinato un sostanziale effetto sospensivo della prescrizione dei crediti retributivi.
Tale tesi viene corroborata mediante il rinvio alla disciplina del licenziamento nullo ove fondato sull' “esclusivo motivo illecito”, tenendo anche conto che, ai fini della decorrenza della prescrizione, dovrebbe essere considerato rilevante il “timore di essere licenziati” e non anche il “timore di soccombere in giudizio” per la mancata prova del motivo illecito e della sua esclusività.
Un punto di riflessione ulteriore, alla luce di quanto sopra, potrebbe essere la potenzialità dissuasiva, nei confronti del datore, dell'attuale disciplina in materia di licenziamenti. La tutela “crescente”, infatti, ha perso il suo carattere originario a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale del meccanismo di calcolo dell'indennità (Corte Cost. sent. n. 194/2018 e recentemente n. 183/2022). La stabilità, in questo modo, verrebbe ad essere considerata anche dalla prospettiva datoriale.
In ultima analisi sembra opportuno osservare che le scelte politiche in materia di employment protection finiscono per incidere in maniera rilevante su un istituto giuridico – quale quello della prescrizione – ispirato all'esigenza di certezza del diritto, determinando una certa difficoltà per le parti di definire ex ante la disciplina applicabile al rapporto di lavoro, la cui stabilità o instabilità risulta essere stata legata a doppio giro alla maggiore o minore estensione della tutela reintegratoria, in un'ottica esclusivamente “interna” al lavoratore (metus). Per approfondire
T. Zappia, Decorrenza prescrizione crediti retributivi del lavoratore: il ritorno all'instabilità del rapporto di lavoro? in questa Rivista 9 settembre 2022.
F. Avanzi, La disciplina eurounitaria delle “Ferie” e il principio, legale, di “onnicomprensività”, in Labor Il lavoro nel diritto, 23 Agosto 2022.
B. Mandelli, Inclusione dell'indennità di volo integrativa ai fini del calcolo della retribuzione nel periodo minimo feriale di quattro settimane, in questa Rivista, 5 settembre 2022.
A. Levi, L'ammontare della retribuzione feriale dei piloti di aeromobile: previsioni collettive ed attività interpretativa della Corte di Giustizia, in GiustiziaCivile.com, 19 settembre 2022.
A. Fenoglio, Le ferie: il dialogo tra le Corti si fa intenso, in Labour&Law Issues, 2021, n. 2, pp. 83 e ss.
M. D'Aponte, La tutela dei diritti umani nel rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2021, I, pp. 385 ss.
G. Pacchiana Parravicini, La decorrenza della prescrizione e le tutele da licenziamento illegittimo: finché riforma non ci separi?, in Riv. it. dir. lav., 2020, n. 2, II, pp. 279 ss.
M. Persiani, Situazione psicologica di timore, stabilità e prescrizione dei crediti di lavoro, in ADL, 2018, n. 1, I, pp. 20 ss.
M. Meucci, La prescrizione dei crediti retributivi dopo le leggi limitative della cd. stabilità reale, in Lavoro Diritti Europa, 2020, n. 2
D. Fargnoli, Inclusione delle voci variabili nella base di calcolo della retribuzione spettante per ferie, in GiustiziaCivile.com, 8 gennaio 2019.
E. Fiata, Prescrizione e stabilità del rapporto di lavoro dopo le riforme sul regime sanzionatorio dei licenziamenti, in VTDL, 2018, n. 2, pp. 608 ss. |