È legittima la clausola contrattuale che onera il conduttore delle imposte gravanti sull’immobile locato
22 Settembre 2022
Il caso. La società conduttrice di un complesso immobiliare ad uso commerciale cita in giudizio la società locatrice per la restituzione degli importi versati quali imposte sul bene locato, chiedendo che fosse dichiarata la nullità della clausola contenuta nel contratto di locazione con cui il conduttore si era fatto carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati e al contratto. Il giudice di prime cure ed il giudice di appello respingono la domanda di parte conduttrice. Viene proposto ricorso per Cassazione adducendo, tra gli altri motivi, la nullità della clausola contrattuale per contrasto con gli artt. 53 e 2 Cost., art. 1418 c.c. e artt. 9,41 e 79, l. n. 392/1978 in quanto veniva a riversare l'onere tributario, relativo a ICI e IMU gravanti sull'immobile locato, su un soggetto diverso da quello passivo tenuto per legge. Inoltre, si adduce che la clausola in questione veniva ad addossare al conduttore un onere accessorio violando l'art. 79, l. n. 392/1978, che elenca tassativamente e inderogabilmente gli oneri a carico del conduttore.
La decisione. La Corte esaminati i motivi di ricorso, con l'ordinanza interlocutoria n. 20340/2018, rinvia la trattazione del ricorso a nuovo ruolo avendo rilevato che la questione giuridica principale, sollevata con il primo motivo di ricorso (ovvero se si possa ritenere legittima una clausola contrattuale che, nell'ambito di un contratto di locazione commerciale, preveda la traslazione sul conduttore degli oneri tributari gravanti sull'immobile era stata rimessa) era stata rimessa - in un giudizio avente il medesimo petitum e tra le medesime parti - alla valutazione delle Sezioni Unite della Corte, ritenuta necessaria in quanto sul tema si era sviluppata una giurisprudenza contrastante. Con ordinanza interlocutoria n. 7504/2022, quando ormai le Sezioni Unite si sono pronunciate, è disposta la trattazione della causa. La Corte alla luce dell'identità delle questioni ad essa sottoposte rispetto alla sentenza n. 6882/2019 delle Sezioni Unite (in questa rivesta fasc. 46, 2019, con nota di L.R. Corrado), rigetta il ricorso sottolineando come le Sezioni Unite abbiano ritenuto valida la clausola di un contratto di locazione ad uso commerciale così formulata: «(i) il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati ed al presente contratto. (ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito». La legittimità della pattuizione si fonda essenzialmente: sulla assenza di divieti normativi espressi e sulla causa concreta individuabile nella volontà delle parti di individuare la traslazione degli oneri tributari quale parte integrante del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore.
Le questioni giuridiche affrontate dalle Sezioni Unite, le cui motivazioni sono state fatte proprie dalla Corte nella sentenza in commento, sono da un lato se l'art. 53 Cost., in quanto norma imperativa, rappresenti un limite assoluto ed inderogabile all'autonomia negoziale anche in assenza di norme tributarie specifiche che vietino la traslazione degli oneri tributari. Dall'altro lato la necessità di ribadire i corretti canoni interpretativi cui il giudice si deve attenere quando chiamato a valutare la validità di una clausola contrattuale. Sotto il primo profilo la Corte ritiene che l'art. 53 Cost. che fissa il principio della capacità contributiva secondo cui «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva», ha la finalità di affermare, non solo il principio che tutti coloro i quali siano titolari di una capacità contributiva devono concorrere alle spese pubbliche, ma anche e soprattutto il principio secondo cui il sacrificio economico derivante dal pagamento deve essere sopportato dal soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l'obbligazione, e non da altri (Cass., 5 gennaio 1985 n. 5). Tuttavia, i Giudici di legittimità, richiamando una precedente sentenza delle Sezioni Unite in tema di contratto di mutuo (Cass. Sez. Un. n. 6445/1985) chiariscono come il divieto posto dall'art. 53 Cost. debba essere inteso con riferimento alla sola ipotesi in cui, mediante la pattuizione, si intenda trasferire su altri l'onere dei tributi, determinando una sostituzione del soggetto passivo dell'imposta e quindi che si debbano ritenere nulli, per contrarietà all'ordine pubblico, i patti finalizzati a sottrarre in modo definitivo l'imposta al fisco. Da tale lettura discende, quindi, la legittimità di quelle clausole (come quella in esame nella sentenza in commento) che si pongano quale mera integrazione dell'entità complessiva del corrispettivo, costituendone una componente addizionale, a sua volta, sottoposta a tassazione, senza esonerare il percettore del reddito dall'onere fiscale in assenza di divieti legislativi specifici. Alla luce di tale chiarimento diviene, pertanto, dirimente - quando si valuta una siffatta clausola - indagare la reale intenzione delle parti mediante una lettura complessiva dell'intero contenuto contrattuale il cui accertamento, risolvendosi in una questione di interpretazione della convenzione stessa, è riservato al giudice di merito, ed è sindacabile, in sede di legittimità, solo per violazione di canoni di ermeneutica contrattuale specificamente individuati e per vizio di motivazione. Sotto tale ultimo profilo i Giudici di legittimità (delle Sezioni Unite prima e della sezione terza civile dopo) premettendo che il legislatore (con riferimento alla locazione commerciale) ha limitato l'autonomia negoziale esclusivamente con riferimento alla durata del contratto, della tutela dell'avviamento e della prelazione, lasciando le parti libere di convenire la misura del canone, la cui determinazione potrebbe anche dipendere dalla previsione di oneri accessori, hanno altresì rilevato che egualmente non sussiste alcun motivo per cui parte del canone non possa determinarsi trasferendo in capo al conduttore il peso economico delle imposte derivanti dall'immobile. In conclusione, secondo La Suprema Corte la clausola, oggetto di esame, è pienamente legittima in quanto ha una funzione integrativa rispetto al canone come correttamente ritenuto anche dalle Corti di merito che hanno considerato la ragion pratica dell'accordo o causa concreta e della volontà complessivamente manifestata dalle parti (ex art. 1362 e 1363 c.c.).
Fonte: dirittoegiustizia.it |