I profili processuali dell'adozione in casi particolari
28 Settembre 2022
Premessa
L'adozione in casi particolari, disciplinata dal Titolo IV della l. 184/1983, rappresenta una alternativa all'adozione legittimante e permette di garantire al minore, privo dei genitori, di crescere in un ambiente familiare, valorizzando sia il superiore interesse del minore sia i rapporti, non solo parentali, che legano il minore a persone adulte capaci di prendersene cura (cfr. C. Cost., 7 ottobre 1999, n. 383 e C. Cost., 24 gennaio 1991, n. 27). Tale forma di adozione conferisce al minore adottato lo status di figlio degli adottanti, ma non estingue il rapporto con il nucleo familiare di origine: il nuovo status si aggiunge, a differenza di quanto avviene nell'adozione legittimante, allo stato familiare preesistente.
Pur volendo concentrare l'attenzione sui profili processuali dell'adozione in casi particolari, appare opportuno individuare, seppur sinteticamente, quando è possibile fare ricorso a tale istituto. L'art. 44, comma 1, l. 184/1983 prevede che:
I consensi
L'art. 45, comma 1, l. 184/1983 prevede che l'adozione in casi particolari possa essere pronunciata solo se vi sia il consenso dell'adottante e dell'adottato che abbia compiuto gli anni quattordici.
Il consenso – che deve essere prestato personalmente e deve possedere le caratteristiche dell'attualità e della pienezza (Cass., sez. I, 9666/2021), pur non richiedendo forme particolari (art. 56, comma 2, l. 184/1983) – è l'espressione dell'intento manifestato dalle parti in ordine alla costituzione del rapporto di adozione ed esprime il potere dei soggetti di provocare il provvedimento giudiziale di adozione.
Il consenso dell'adottante risponde all'esigenza di accertare preventivamente il generico intento di procedere all'adozione di un determinato minore. L'inabilitato e l'interdetto legale possono prestare il consenso di cui all'art. 45, comma 1, l. 184/1983. Se l'adozione in casi particolari deve essere disposta ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. c), l. 184/1983, sarà necessario sentire il legale rappresentate del minore solo se la persona con disabilità non può essere sentita o non è in grado di prestare il proprio consenso a causa della sua condizione psico-fisica (art. 45, comma 4, l. 184/1983).
In caso di minore infraquattordicenne, l'adozione può essere disposta dopo che è stato sentito il rappresentante legale del minore, il quale è chiamato ad esprimere un parere obbligatorio, ma non vincolante (cfr. art. 45, comma 3, l. 184/1983). Il rappresentate legale del minore potrà essere l'esercente della responsabilità genitoriale, il tutore o il curatore speciale.
A tal fine occorre distinguere fra tre diverse ipotesi: la rappresentanza del minore spetta ai genitori, o al genitore, esercente la responsabilità genitoriale; la rappresentanza del minore spetta, nel caso di ablazione o limitazione della responsabilità genitoriale, al tutore, se nominato contestualmente o successivamente al provvedimento incidente sulla responsabilità genitoriale. Infine, la rappresentanza spetta al curatore speciale del minore, se non è stato nominato il tutore del minore oppure sussista, al momento dell'apertura del procedimento di adottabilità, un conflitto di interesse tra il minore ed il suo rappresentante (tutore o genitore esercente la responsabilità genitoriale) (Cass., sez. I, 21651/2011; Cass., sez. I, 12962/2016 e Trib. min., Caltanissetta, 6 dicembre 2019).
Nonostante la centralità dei consensi, non è possibile configurare l'adozione in casi particolari come un negozio costitutivo in quanto tale forma di adozione ha titolo esclusivo nel provvedimento del Tribunale per i Minorenni che deve essere qualificato come un atto di concessione giudiziaria dello stato di figlio adottivo. Il consenso rileva come atto autorizzativo e costituisce un presupposto dell'atto giudiziale unitamente agli assensi richiesti dall'art. 46, comma 1, l. 184/1983. Ne consegue che, successivamente alla pronuncia dell'adozione, i consensi espressi non avranno autonoma rilevanza.
Il consenso, ai sensi di quanto dispone l'art. 47, comma 1, l. 184/1983, può essere revocato fino alla sentenza che pronuncia l'adozione e la revoca del consenso impedisce al Tribunale per i Minorenni di dichiarare l'adozione. L'orientamento maggioritario ritiene che la revoca debba assumere la medesima forma prevista per il consenso e, quindi, debba essere resa personalmente. Tuttavia, vi è una diversa linea interpretativa che ritiene applicabile alla revoca del consenso il principio della libertà della forma.
Gli assensi
L'adozione in casi particolari, in forza di quanto dispone l'art. 46, comma 1, l. 184/1983, può essere disposta se vi è l'assenso dei genitori e del coniuge dell'adottando. La ratio è quella di tutelare l'effettività dei rapporti esistenti e degni di considerazione che potrebbero essere lesi o pregiudicati dalla costituzione del nuovo rapporto adottivo.
L'assenso si configura come un atto di autorizzazione privata reso da parte di soggetti estranei al rapporto di adozione. Esso deve essere prestato personalmente o a mezzo di una persona munita di procura speciale (art. 56, comma 3, l. 184/1983). Il consenso espresso dal genitore nell'ambito del procedimento di adozione legittimante può essere utilizzato, senza violazione del diritto di difesa, anche nel caso in cui il predetto procedimento muti in quello di adozione in casi particolari (Cass., sez. I, 260/2010).
I genitori dell'adottando potrebbero, dunque, esprimere sia consenso ex art. 45, comma 1, l. 184/1983, in qualità di rappresentati legali del minore, sia l'assenso di cui all'art. 46, comma 1, l. 184/1983: tuttavia, le dichiarazioni di volontà devono essere tenute distinte, anche perché se il minore è ultraquattordicenne il legale rappresentante non viene interpellato ai fini della prestazione del consenso e, se l'adottando non ha ancora compiuto i quattordici anni, il legale rappresentate potrà esprimere solo un parere non vincolante.
La presenza del coniuge dell'adottando, chiamato ad esprimere l'assenso, sarà possibile, trattandosi pur sempre di adozione di minori, solo nel caso in cui il matrimonio sia stato autorizzato dal Tribunale per i Minorenni ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 84 c.c.
La sussistenza e la genuinità degli assensi richiesti dall'art. 46, comma 1, l. 184/1983, deve essere verificata dal Tribunale per i Minorenni che si pronuncia sull'adozione. Successivamente alla sentenza che dispone l'adozione in casi particolari, gli assensi espressi perdono lo loro autonoma rilevanza.
Nel caso in cui l'assenso venga negato, il Tribunale per i Minorenni, sentiti gli interessati, può pronunciare, su istanza dell'adottante, l'adozione se valuta il rifiuto come ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando. Tale possibilità non è concessa nel caso in cui siano gli esercenti la responsabilità genitoriale o il coniuge convivente dell'adottando a rifiutare l'assenso (Cass., sez. I, 11604/1992; Cass., sez. I, 9795/2000; Cass., sez. I, 10265/2011; Cass., sez. I, 18575/2015 e Cass., sez. I, 18827/2018) con la conseguente possibilità di poter superare solo il mancato assenso dei genitori non esercenti la responsabilità genitoriale e del coniuge separato (Trib. min., Potenza, 19 ottobre 2018).
Si dovrà procedere in modo analogo nel caso in cui l'assenso non può essere espresso per incapacità (sia legale sia naturale) o irreperibilità dei legittimati ad esprimerlo. Tuttavia, si ritiene che l'interdetto non possa esprimere il proprio assenso, mentre potrebbe esprimerlo l'inabilitato. All'ipotesi di irreperibilità deve essere equiparata quella in cui la persona, nonostante sia stata ritualmente e tempestivamente invitata ad esprimere l'assenso, non si presenti senza giustificato motivo.
L'art. 47, comma 1, l. 184/1983 non prevede la possibilità di revocare l'assenso, ma si ritiene che esso sia revocabile fino alla pronuncia della sentenza che dispone l'adozione. Tale conclusione interpretativa è giustificata dalla rilevanza che la normativa sull'adozione in casi particolare accorda ai soggetti che, pur non essendo parti, risentono degli effetti del rapporto di adozione. Il Tribunale per i Minorenni, nel cui distretto si trova la residenza abituale del minore (cfr. Cass., SS.UU., 8847/2020), è competente per il procedimento di adozione in casi particolari.
L'art. 57, comma 1, l. 184/1983, prevede che il Tribunale per i Minorenni debba verificare la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 44 l. 184/1983 e se l'adozione risponda al preminente interesse del minore. Per compiere tali verifiche il Tribunale per i Minorenni dovrà, da un lato, procedere all'audizione dei genitori dell'adottato – la cui mancanza non determina la nullità insanabile, se i genitori sono stati regolarmente convocati per la prestazione dell'assenso – e, dall'altro lato, disporre le opportune indagini da effettuarsi sull'adottante, sul minore e sulla famiglia del minore. In particolare, in forza di quanto dispone l'art. 57, comma 3, l. 184/1983, l'indagine dovrà riguardare l'idoneità affettiva e la capacità di educare ed istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute e l'ambiente familiare degli adottanti; i motivi per i quali l'adottante desidera adottare il minore; la personalità del minore e la possibilità di idonea convivenza, tenuto conto della personalità dell'adottante e del minore.
Gli assensi e i consensi all'adozione devono essere prestati successivamente alle predette indagini.
Pertanto l'iter procedimentale potrebbe essere così sintetizzato: audizioni, indagini, consensi e assensi, sentenza.
Acquisite le informazioni necessarie e sentito il Pubblico Ministero, il Tribunale per i Minorenni – in forza di quanto dispone l'art. 313 c.c. richiamato dall'art. 56, comma 4, l. 184/1983 – decide, con sentenza, di far luogo o di non far luogo all'adozione, all'esito di un procedimento in camera di consiglio, omessa ogni formalità.
La sentenza di adozione in casi particolari è sottoposta alle forme di pubblicità di cui all'art. 314 c.c.: la sentenza dovrà essere trascritta a cura del cancelliere e il Tribunale per i Minorenni potrebbe, ove lo ritenga necessario, ordinare la pubblicazione della sentenza nei modi ritenuti più opportuni.
L'adozione produce i suoi effetti – personali e patrimoniali – a partire dal momento in cui la sentenza che dispone il farsi luogo all'adozione diviene definitiva (art. 47, comma 1, l. 184/1983).
L'art. 47, comma 2 e 3, l. 184/1983 prevede una deroga all'individuazione del dies a quo della decorrenza degli effetti dell'adozione in casi particolari nel caso in cui si proceda all'adozione nonostante la morte di uno degli adottanti. Infatti, se uno dei coniugi muore, successivamente alla prestazione del consenso, ma prima dell'emanazione della sentenza, il coniuge superstite può chiedere al Tribunale per i Minorenni di procedere al compimento degli atti necessari per l'adozione. Se il Tribunale per i Minorenni pronuncia sentenza di adozione, gli effetti di questa decorrono dal momento della morte dell'adottante (art. 47, comma 3, l. 184/1983), salvo il caso in cui muoia il coniuge che aveva domandato l'adozione del figlio dell'altro coniuge ex art. 44, comma 1, lett. b), l. 184/1983.
La ratio della retroattività degli effetti deve essere individuata, da un lato, nell'esigenza di tutelare e mantenere la situazione familiare che il rapporto adottivo avrebbe creato in assenza del decesso di uno degli adottanti e, dall'altro lato, nell'opportunità di non pregiudicare i diritti successori dell'adottato posto che quest'ultimo potrà succedere all'adottante premorto solo se gli effetti dell'adozione si producono a partire dal giorno del decesso.
La medesima disciplina si applica anche nel caso in cui il coniuge dell'adottante diventi incapace successivamente alla prestazione del consenso, ma prima dell'emanazione della sentenza. La revoca
L'adozione in casi particolari può essere revocata per fatti imputabili all'adottante e all'adottando. La revoca è ammissibile solo in casi tassativamente previsti dalla l. 184/1983 alla presenza dei quali, stante la gravità della situazione, non appare opportuno conservare il rapporto adottivo che, alla luce di quanto accaduto tra adottante e adottato, non ha dato buona prova e che non appare più idoneo a raggiungere lo scopo per cui è stato posto in essere.
L'art. 51, comma 1, l. 184/1983 disciplina le ipotesi di revoca dell'adozione per fatti imputabili all'adottato. In particolare, l'adottante potrà chiedere la revoca solo se l'adottato, maggiore di quattordici anni, ha attentato alla vita dell'adottante o del coniuge, dei discendenti o degli ascendenti dell'adottante ovvero nel caso in cui l'adottato si sia reso colpevole verso i medesimi soggetti di un delitto punibile con una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni.
L'art. 52, comma 1, l. 184/1983 prevede la revoca dell'adozione per fatti imputabili all'adottante. In particolare, l'adottato – o il Pubblico Ministero, la cui legittimazione non sarebbe concorrente con quella dell'adottato, ma sussisterebbe solo ove l'adottato sia un minore o sussista un suo impedimento – può chiedere la revoca dell'adozione se l'adottante ha attentato alla vita dell'adottato o del coniuge, dei discendenti o degli ascendenti dell'adottato ovvero nel caso in cui l'adottante si sia reso colpevole verso i medesimi soggetti di un delitto punibile con una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni.
La richiesta di revoca può essere proposta dall'adottante – anche se inabilitato; mentre se interdetto, legittimato sarà il suo tutore – e, in caso di decesso dell'adottante in conseguenza della condotta dell'adottato, da coloro ai quali si devolverebbe l'eredità dell'adottante in caso di mancanza dell'adottato e dei di lui discendenti (art. 51, comma 2, l. 184/1983). Gli aventi diritto all'eredità non possono chiedere la revoca qualora la morte dell'adottante sia sopravvenuta dopo un notevole lasso di tempo senza che il de cuius abbia proposto l'azione. La legittimazione degli eredi dell'adottante integra un'ipotesi di legittimazione eccezionale a proporre un'azione che riguarda un rapporto di ordine prettamente personale.
Va precisato che, nonostante sia necessaria una apposita domanda di parte ed il Tribunale per i Minorenni non possa attivarsi d'ufficio, non è possibile attribuire alla revoca una natura negoziale.
L'istanza di revoca deve essere proposta al Tribunale per i Minorenni del luogo di residenza del minore, con atto di citazione. La competenza del Tribunale per i Minorenni permane anche nel caso in cui l'adottato sia divenuto maggiorenne. Esiste una diversa linea interpretativa che ritiene competente il Tribunale per i Minorenni fino al raggiungimento della maggiore età dell'adottato e il Tribunale Ordinario nel caso in cui l'adottato sia ultradiciottenne.
L'adottato dovrà stare in giudizio per il tramite del suo rappresentante legale nei casi in cui non abbia ancora raggiunto la maggiore età. Si ritiene che nelle ipotesi di adozione ex art. 44, comma 1, lett. b), l. 184/1983, se la responsabilità è esercitata congiuntamente con il genitore biologico, la rappresentanza non può essere riconosciuta a quest'ultimo in quanto, a norma di quanto dispone l'art. 320, comma 6, c.c., sussiste un'ipotesi di conflitto d'interessi patrimoniali e, pertanto, sarà necessaria la nomina di un curatore speciale. Ad analoga conclusione si deve giungere nel caso di adozione ex art. 44, comma 1, lett. d), l. 184/1983, per il caso in cui i fatti descritti dall'art. 52 l. 184/1983 siano imputabili a solo uno degli adottanti, la rappresentanza del minore non potrà essere riconosciuta all'altro adottante.
L'Autorità Giudiziaria adita, nell'ambito di un procedimento di natura contenziosa, dovrà assumere le opportune informazioni, compiere gli accertamenti ritenuti necessari e sentire il Pubblico Ministero, l'adottante e l'adottato. Il Tribunale adito, stante la necessità di tutelare il preminente interesse del minore, potrà compiere accertamenti anche d'ufficio, al di là delle richieste formulate delle parti, assumere informazioni a mezzo degli organi di polizia giudiziaria o del servizio sociale ed escutere testi a sommarie informazioni.
Ad esito del procedimento, il Tribunale per i Minorenni si pronuncia con sentenza costitutiva e che, in caso di accoglimento dell'istanza di revoca, determinerà la cessazione ex nunc degli effetti del provvedimento di adozione.
Il provvedimento del Tribunale potrà essere impugnato con gli stessi mezzi con cui può essere impugnata la sentenza che pronuncia l'adozione: reclamo avanti alla Corte d'Appello, sezione minori, persone e famiglia, e ricorso per Cassazione.
Nelle more del procedimento di revoca, il Tribunale adito può – dopo aver sentito il Pubblico Ministero ed il minore – emettere, con decreto pronunciato in camera di consiglio, gli opportuni provvedimenti in ordine alla cura, alla rappresentanza e all'amministrazione del patrimonio del minore. Il Tribunale per i Minorenni dovrà, in tali casi, segnalare la situazione al Giudice Tutelare competente ai fini della nomina del tutore (art. 51, comma 6, l. 184/1983). Tali provvedimenti possono essere assunti solo se l'adottato è ancora minorenne.
Da un punto di vista processuale si devono seguire le norme di cui agli artt. 330 ss. c.c. (in forza del richiamo operato dall'art. 51, comma 5, l. 184/1983). Il decreto emesso ai sensi dell'art. 51, comma 4, l. 184/1983 può essere reclamato dalle parti – adottato, adottante e Pubblico Ministero – entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto avanti alla Corte d'Appello, sezione minori, persone e famiglia (artt. 739 ss. c.p.c. e art. 38, comma 3, disp. att. c.c.); mentre, non appare ammissibile ricorso per Cassazione, trattandosi di provvedimenti temporanei.
Vale la pena precisare che i provvedimenti temporanei non vengono automaticamente caducati dalla successiva sentenza del Tribunale per i Minorenni che, definendo il procedimento, non dichiari la revoca dell'adozione. Infatti, potrebbe essere opportuno mantenere validi ed efficaci tali provvedimenti alla luce dei rapporti tra adottante e adottato che potrebbero essersi deteriorati.
Completano la disciplina della revoca l'art. 53 l. 184/1983 in forza del quale il Pubblico Ministero è legittimato a chiedere la revoca dell'adozione in caso di violazione dei doveri incombenti sugli adottanti e l'art. 54 l. 184/1983 che disciplina gli effetti della revoca. Le impugnazioni
L'adottante, l'adottato ed il Pubblico Ministero – presso il giudice a quo e non il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello (C.A. Roma, 23 novembre 2016) – possono impugnare la sentenza del Tribunale per i Minorenni che si è pronunciata decidendo di far luogo o di non far luogo all'adozione in casi particolari, entro trenta giorni dalla comunicazione, avanti alla Corte d'Appello, sezione minori, persone e famiglia (art. 38, comma 3, disp. att. c.c.). L'adottato potrà impugnare per il tramite del suo legale rappresentate.
Il genitore dell'adottato è legittimato ad impugnare il provvedimento di adozione in casi particolari, ancorché decaduto dall'esercizio della responsabilità genitoriale, permanendo la sua qualità di parte nel relativo procedimento. Infatti, non sono desumibili dalla normativa vigente elementi idonei ad escludere la legittimazione attiva del genitore, sia perché l'art. 313 c.c., richiamato dall'art. 56 l. 184/1983, riferendosi all'adozione di maggiorenni, ovviamente non prevede la legittimazione ad impugnare dei “genitori”, sia perché essi, in quanto titolari di un'autonomia valutativa in ordine all'individuazione delle soluzioni di maggior utilità per il minore, hanno una posizione processuale propria, che mal si concilia con limitazioni imposte al potere d'impugnazione (Cass., sez. I, 14554/2011; Cass., sez. I, 6051/2012; Cass., sez. I, 24482/2013 e C. Cost., 29 ottobre 1999, n. 401. Contra Cass., sez. I, 17445/2008 e Cass., sez. I, 9689/2002).
La Corte d'Appello provvederà, in camera di consiglio, sentito il Pubblico Ministero, con sentenza.
Secondo l'opinione prevalente la pronunzia del Giudice di seconde cure è ricorribile per Cassazione in quanto la sentenza della Corte d'Appello deve essere qualificato come un provvedimento non altrimenti impugnabile e di contenuto decisorio, il quale incide con autorità di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, sulle posizioni soggettive del minore e degli altri soggetti interessati (Cass., sez. I, 5592/1987; Cass., sez. I, 4258/1995; Cass, sez. I, 9795/2000 e Cass. sez. I, 4026/2001. Contra Cass., sez. I, 3615/1989; Cass., sez. I, 4527/1991 e Cass., sez. I, 3239/1997).
Il ricorso per Cassazione – che deve essere proposto nel termine perentorio di sessanta giorni che decorrono dalla data di notificazione della sentenza che si intende impugnare (Cass. sez. I, 21651/2011 e Cass. sez. I, 10265/2011) – risulta esperibile per tutti i motivi indicati nell'art. 360 c.p.c. (Cass., sez. I, 10265/2011; Cass., sez. I, 2426/2006; Cass., sez. I, 22350/2004 e Cass., sez. I, 15485/2003).
Deve essere esclusa la legittimazione ad impugnare da parte dei genitori dell'adottante, i quali non sono parti del giudizio – ma solo soggetti chiamati a prestare l'assenso, peraltro non vincolante, all'adozione (Cass., sez. I, 5049/1987) –, salvo il caso in cui siano legali rappresentanti del minore (Cass., sez. I, 260/2010; Cass., sez. I, 9689/2002; Cass., sez. I, 9795/2000 e Cass., sez. I, 401/1999).
Riferimenti
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