Denunzia al Tribunale, assetti organizzativi adeguati e società quotate: alcuni spunti critici

Isabel Costanzi
29 Settembre 2022

Il Codice della crisi d'impresa ha elevato ad obbligo di natura generale l'istituzione di assetti organizzativi “adeguati”, nell'ottica della salvaguardia della continuità aziendale. Il presente contributo si concentra sui rapporti tra la mancata adozione degli adeguati assetti e il rimedio della denuncia al Tribunale per gravi irregolarità, ex art. 2409 c.c., con particolare attenzione alle società quotate.
Introduzione

Nel novero delle “gravi irregolarità” rilevanti ai fini dell'art. 2409 c.c., la giurisprudenza ha annotato la mancata adozione di “adeguati assetti” da parte dell'organo amministrativo (v. da ultimo, Trib. Cagliari Sez. spec. Impresa 19 gennaio 2022; nello stesso senso, Trib. Milano 18 ottobre 2019; Trib. Roma 15 settembre 2020).

Secondo tali pronunce di merito, l'inadeguatezza dell'assetto organizzativo è da ritenersi ancor più grave nel caso in cui l'impresa non si trovi in stato di crisi, dal momento che in tale fase disporrebbe delle risorse utili a predisporre misure idonee a scongiurare il dissesto. In altri termini, è parere dei giudici che gli assetti debbano essere funzionali a far sì che l'organo amministrativo percepisca tempestivamente i segnali che preannunciano la crisi, consentendogli in tal modo di assumere le iniziative opportune.

Si può individuare, in un certo senso, tra i presupposti per la salvaguardia della continuità aziendale anche la capacità di chi riveste funzioni gestorie di approntare un impianto in grado di verificare prospetticamente la solvibilità dell'impresa. Capacità che, alla luce delle sentenze richiamate, potrebbe financo essere posta sotto la lente di un procedimento introdotto ex art. 2409 c.c., essendo peraltro sufficiente il mero “sospetto” – seppur “fondato” – di una falla nel sistema aziendale.

Nondimeno il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, modificando le disposizioni del Codice Civile (si veda il novellato art. 2086, comma 2, c.c.), ha elevato a obbligo di natura generale l'istituzione di assetti organizzativi “adeguati”, proprio in chiave preventiva. Tale “adeguatezza”, invocata dalla giurisprudenza e dal legislatore, è enunciata in termini relativi, in quanto se ne richiede la proporzione rispetto “alla natura e alle dimensioni” dell'ente aziendale. Ciò, se sul piano astratto non genera dubbi, risultando del tutto comprensibile e condivisibile, a livello fattuale solleva interrogativi in ordine al perimetro delle carenze legittimanti la denuncia ex art. 2409 c.c. e, in ipotesi di accertamento delle violazioni denunciate, l'adozione di provvedimenti pervasivi quali la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario.

In tempi di normativa più stringente per le società cd. chiuse - che peraltro negli ultimi anni hanno visto progressivamente estendersi nei loro confronti istituti già consolidati per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio - vale chiedersi quali possano essere le implicazioni soprattutto per quelle imprese che - vuoi per business di riferimento e sistema di rischi, vuoi per dimensioni e complessità strutturale - necessitino di una elaborazione di modelli organizzativi più sofisticati e una regolamentazione efficace dei flussi informativi.

Giova quindi soffermarsi brevemente su alcuni profili fra i quali:

(i) la nozione di “assetto organizzativo” e di “grave irregolarità”;

(ii) il coordinamento tra il rimedio ex art. 2409 c.c. e la disciplina delle società con azioni quotate nei mercati regolamentati: tale ultima indagine, in ipotesi di denunzia avente a oggetto proprio l'inadeguatezza della struttura organizzativa, potrebbe infatti fornire qualche spunto alle imprese collettive complesse in merito ai possibili futuri sviluppi operativi e giurisprudenziali.

Assetti organizzativi adeguati: definizione

L'obbligo di adeguatezza degli assetti organizzativi è clausola generale, espressione del più ampio principio di corretta amministrazione, enunciato in diverse disposizioni del diritto societario azionario. La definizione dell'oggetto di tale obbligo disvela tuttavia alcune criticità.

Se, infatti, è noto che la fattispecie comprenda le regole concernenti la determinazione dell'organizzazione dell'impresa, non è altrettanto pacifico se si allarghi, ad esempio, ai cosiddetti assetti “patrimoniali” e a quelli “societari”.

Quanto all'ambito dell'organizzazione in senso stretto, secondo i criteri tassonomici proposti dall'Economia aziendale, l'assetto organizzativo consiste nella configurazione derivante dalla combinazione (i) da un lato della “struttura organizzativa”, cioè delle modalità di distribuzione e coordinamento delle funzioni, poteri e responsabilità tra i vari organi aziendali, (ii) dall'altro lato dei “sistemi operativi”, cioè dell'insieme delle procedure e dei meccanismi di assegnazione a ciascuna funzione aziendale di obiettivi, risorse e professionalità appropriate (sono compresi ad esempio: i sistemi di pianificazione, programmazione e controllo; i sistemi di selezione, valutazione e retribuzione del personale) (cfr. Airoldi - Brunetti - Coda, 1994).

Più specificamente, come riportato dalle norme di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate (12 gennaio 2021), per assetto organizzativo si intende: “(i) il sistema di funzionigramma e di organigramma e, in particolare, il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità; (ii) il complesso procedurale di controllo” (cfr. Norma 3.5., Principi). Nozione che ricalca quella elaborata nell'aprile 2018 per le quotate, dove l'assetto organizzativo è: (i) definito come il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità (cfr. norma Q.3.4); (ii) ritenuto “adeguato” solo se connotato da una struttura “compatibile” alle dimensioni e alla complessità della società, nonché “congruente” alla natura e alle modalità di perseguimento dell'oggetto sociale. In argomento, merita citare inoltre il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana, che, riferendosi al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, lo identifica come l'insieme delle regole, procedure e strutture organizzative finalizzate ad una “effettiva” ed “efficace” identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi (cfr. Codice Autodisciplina Borsa Italiana, art. 6, principio XVIII). Seguendo tale prospettiva, il dovere di dotarsi di un adeguato assetto organizzativo si traduce quindi, in sintesi, nel dovere di approntare un “sistema” che consenta di individuare e gestire le varie tipologie di rischio attinenti all'attività svolta dalla società, secondo canoni di “compatibilità” e “congruenza” rispetto alla natura dell'impresa interessata.

Controverso è invece se tra gli assetti organizzativi vadano ricompresi, ancorché non espressamente previsti dalle norme, quelli patrimoniali, cioè un insieme di parametri, di carattere qualitativo e quantitativo, atti a fotografare le risorse finanziarie e patrimoniali impiegabili nell'esercizio dell'impresa.

Altrettando discusso è se nella fattispecie in esame possano rientrare gli assetti cd. societari; secondo parte della Dottrina, infatti, il grado di adeguatezza andrebbe misurato anche in relazione alle regole di governance e pertanto, ad esempio: (i) all'applicazione o meno di regolamenti aziendali in tema di conflitti di interesse o di operazioni con parti correlate (v. Cass. civ. Sez. II, 10 luglio 2020, n. 14708; v. anche Trib. Milano Sez. spec. Impresa, 16 luglio 2020, secondo cui il difetto di un regolamento consiliare diretto a conformare ex ante l'attività dell'organo amministrativo alla disciplina ex art. 2391 c.c. integra violazione delle norme sugli assetti adeguati); (ii) alla adozione o meno di eventuali codici di autodisciplina: ciò significherebbe in sostanza imporre alle società chiuse il principio del cd. comply or explain. Così opinando, tuttavia, si finirebbe per attribuire alla nozione di “assetto organizzativo” una valenza molto ampia, forse troppo.

Il tema è delicato, soprattutto se si osservano imprese di grandi dimensioni, per le quali, condividendo tale argomentazione, il dovere di dotarsi di adeguati assetti che incombe sugli amministratori si tradurrebbe nell'obbligo di adozione di procedure affini a quelle previste dalla normativa per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, ivi comprese best practices, codici di autodisciplina e linee guida.

È ragionevole ritenere che un'applicazione analogica tout court della disciplina speciale, sul piano operativo, risulterebbe eccentrica rispetto alle volontà del legislatore, eccessivamente onerosa per l'impresa interessata e oltremodo critica ove la condotta dell'organo amministrativo venga posta al vaglio del controllo giudiziale, ampliando infine anche le ipotesi legittimanti interventi ex art. 2409 c.c..

Gravi irregolarità nella gestione e denunzia al Tribunale tra diritto comune e diritto speciale

La denunzia al Tribunale delle irregolarità commesse dagli amministratori è istituto disciplinato per tutte le società azionarie dall'art. 2409 c.c..

Le società con azioni quotate in mercati regolamentati sono destinatarie, in aggiunta all'istituto di cui all'art. 2409 c.c., di previsioni specifiche contenute nell'art. 152 t.u.f., che ribadisce e puntualizza le ipotesi in cui la denunzia al Tribunale viene presentata dall'organo di controllo.

In estrema sintesi, le irregolarità poste alla base della denuncia debbono: (i) concernere l'azione gestoria degli amministratori e integrare altrettante violazioni dei doveri sui medesimi gravanti; (ii) essere quantomeno supportate da un “fondato sospetto”, cioè gli elementi raccolti devono essere suffragati da fatti e circostanze obiettive e apprezzabili che depongano per la responsabilità degli amministratori.

Tra le gravi irregolarità va ricompresa senz'altro la carenza degli adeguati assetti organizzativi, definiti ut supra. Si ricorda infatti che l'art. 149 t.u.f., nel disciplinare i doveri che gravano sui sindaci, prevede proprio la vigilanza in ordine all'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile (e la sua capacità di rappresentare correttamente i fatti di gestione). Va da sé che per le società quotate il rimedio ex art. 152 t.u.f. ha natura residuale, a cui viene fatto ricorso quando siano risultati vani tutti gli strumenti endosocietari messi a disposizione degli organi preposti al controllo.

La portata del concetto di “gravi irregolarità” a norma dell'art. 152 t.u.f. assume sfumature in parte differenti rispetto all'accezione applicabile alle società cd. chiuse. Da un lato la complessità della normativa speciale che informa l'operato delle società quotate, dall'altro la preminenza di principi quali la trasparenza del mercato e il dovere di informazione, finiscono infatti con il circoscrivere il ventaglio di quelle che potrebbero essere le irregolarità passibili di intervento del Tribunale, una volta esauriti gli altri meccanismi normativamente previsti. Si osservi che l'art. 152, comma 1, t.u.f. in realtà nulla aggiunge al disposto dell'art. 2409, comma 7, c.c. che già prevede la possibilità per il collegio sindacale di denuncia, che pare comunque un'ipotesi remota, posto che in caso di sospetto di gravi irregolarità l'organo deputato al controllo è tenuto, a norma dell'art. 149, comma 3, t.u.f., alla segnalazione a Consob di quanto riscontrato nell'esercizio delle proprie funzioni. La disposizione da ultimo richiamata non opera peraltro alcuna distinzione tra irregolarità rientranti propriamente nel campo di competenza e di intervento di Consob (e.g., informazione societaria, corretto governo societario, conflitti di interesse, controlli interni) e quelle che potrebbero riguardare aspetti organizzativi, gestionali o, secondo parte della dottrina, addirittura, decisioni di merito dell'attività imprenditoriale.

Diversamente dalla disciplina delle società cd. chiuse, l'impianto normativo applicabile alle quotate è caratterizzato inoltre da un costante coordinamento tra organo di controllo interno e Autorità di vigilanza, ove il primo rappresenta un avamposto della seconda, che è investita - come noto - di una funzione pubblicistica. Tale interazione del collegio sindacale con Consob è palese ad esempio proprio nella formulazione dell'art. 152, comma 2, t.u.f., ove si prevede che l'Autorità indipendente possa proporre denuncia al Tribunale (il richiamo è evidente all'art. 2409 c.c.) in caso di fondato sospetto di gravi irregolarità “nell'adempimento dei doveri di vigilanza del collegio sindacale” stesso. In sostanza, l'attività del collegio sindacale è sottoposta a sua volta al controllo stringente di Consob, che può estendersi perfino alla denuncia all'Autorità giudiziaria.

Come pure sottolineato dalla Dottrina, il controllo di Consob ex art. 152 t.u.f. sul collegio sindacale si traduce – infine – in un controllo indiretto sull'operato del consiglio di amministrazione, dal momento che è difficile ritenere che gravi irregolarità nell'espletamento dell'incarico dei sindaci non implichino irregolarità proprie dell'organo gestorio. Allo stesso modo è improbabile che gli interventi del Tribunale si limitino all'attività del collegio sindacale e non comportino viceversa verifiche sul complesso dell'amministrazione e dell'organizzazione dell'impresa.

L'iniziativa di Consob assume dunque i tratti di una denuncia ex art. 2409 c.c. a tutto tondo, nel cui procedimento sarà ulteriormente coinvolto, in via di intervento, il pubblico ministero, il quale dispone di un potere autonomo di denuncia ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2409 c.c.. Quindi, la denuncia ex art. 152 t.u.f. nei confronti dei sindaci potrebbe condurre a provvedimenti di portata maggiore che coinvolgano anche gli amministratori, fino alla loro revoca.

Il rischio, sollevato dalla Dottrina, è che il sindacato sull'operato del collegio sindacale da parte di Consob assuma le vesti di un giudizio sull'organo gestorio e che l'iniziativa dell'Autorità di vigilanza si intrecci con quella del pubblico ministero.

Il discorso meriterebbe di essere approfondito, sia quanto al ruolo dei soggetti legittimati e alle finalità concrete del procedimento ex art. 2409 c.c. nelle società quotate, sia in punto di coordinamento con la disciplina prevista per le società bancarie quotate, che sono escluse dal campo di applicazione dell'art. 2409 c.c. in virtù dell'art. 70 t.u.b..

Rilevanza delle irregolarità

La rilevanza delle irregolarità è valutata in relazione alla dimensione, alla complessità e alle altre caratteristiche della società, nonché in rapporto agli effetti delle violazioni conseguenti sia agli atti che alle omissioni ascrivibili agli amministratori.

Le fattispecie integranti gravi irregolarità devono essere idonee a produrre un danno patrimoniale alla società o alle sue controllate, anche potenziale.

La connotazione di fondatezza e gravità che determina il ricorso all'art. 152 t.u.f. implica lo svolgimento da parte dell'organo di controllo interno di una preliminare attenta attività di approfondimento e verifica e, se del caso, l'adozione di iniziative dirette a stimolare l'assunzione di idonei provvedimenti da parte degli organi competenti, fra le quali ad esempio: sollecitare la convocazione del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, ovvero dell'assemblea dei soci e, in caso di inerzia, convocare direttamente gli organi sociali; procedere alla comunicazione a Consob ai sensi dell'art. 149, comma 3, t.u.f..

Qualora tali procedure si rivelassero inefficaci e comunque in caso d'urgenza, il collegio sindacale deve procedere senza indugio alla denunzia al Tribunale.

Un ulteriore elemento a rafforzamento dei presupposti di presentazione della denuncia è senza dubbio il fatto che vi sia legittimato il collegio, inteso come organo, e non ciascuno dei suoi componenti. Peraltro, in caso di voto contrario di uno dei membri, tale dissenso dovrebbe essere adeguatamente motivato.

È evidente che, se si traslassero i criteri sopra richiamati alle società chiuse complesse, sarebbe necessario anche un rafforzamento dei requisiti dei componenti dell'organo di controllo interno, posto che un'adeguata preliminare verifica delle potenziali violazioni necessita di un altrettanto adeguato livello di professionalità.

In conclusione

Le brevi note sopra riportate evidenziato alcuni profili problematici delle modalità operative della denuncia al Tribunale attivata ai sensi dell'art. 2409 c.c. - 152 t.u.f..

In primis, le carenze che legittimano la denunzia presentano dei contorni poco definiti, soprattutto ove ci si riferisca al difetto di adeguatezza degli assetti organizzativi. Fattispecie quest'ultima che sconta i limiti propri delle clausole generali e che, nel caso si riferisca a imprese complesse di grandi dimensioni, induce a richiamare schemi e criteri che il legislatore ha voluto per le società aperte, proponendo tuttavia un'estensione impropria della disciplina speciale.

In ipotesi di applicazione degli istituti delle quotate, il rimedio ex art. 2409 c.c. assume carattere eminentemente residuale: in Dottrina si è discusso sulla effettiva portata concreta della denuncia ex art. 2409 c.c.152 t.u.f. in considerazione proprio dell'articolato sistema regolamentare e di controlli endosocietari.

Inoltre lo stesso dettato degli articoli 2409 c.c. e 152 t.u.f. manifesta lacune, in punto sia di coerenza sistematica (chi sono i soggetti legittimati, quali sono i provvedimenti concretamente adottabili dal Tribunale, quali sono i poteri di Consob e se si estendono al controllo sull'operato dell'organo amministrativo), sia di coordinamento ad esempio con la disciplina delle imprese bancarie (cfr. art. 70 t.u.b.).

Dai punti richiamati emerge dunque l'esigenza di un intervento di razionalizzazione del quadro normativo e di miglior definizione del criterio di adeguatezza per restringere lo spazio di discrezionalità in sede giurisdizionale.

Istanze queste oggetto di crescente interesse, che si collocano nell'alveo di quell'orientamento che da tempo invoca, da un lato, una semplificazione della disciplina delle società aperte con l'obiettivo di incentivare l'accesso al mercato del capitale di rischio, dall'altro lato una revisione degli istituti di diritto comune allo scopo di adeguarli ai paradigmi propri delle grandi imprese complesse.

Guida all'approfondimento

Calandra Buonaura, Commentario breve al Testo Unico della Finanza, sub Art. 149 – 152, Padova, 2020

Cera, Le società con azioni quotate nei mercati, Bologna, 2018

Fortunato, Assetti organizzativi e crisi d'impresa: una sintesi, in Orizzonti dir. comm., fasc. 2, 2021, 549 ss.

Ginevra, Tre questioni applicative in tema di assetti adeguati nella s.p.a., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 4, 2021, 552 ss.

Irrera, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005, 214 ss.

Montalenti, Il diritto societario a dieci anni dalla riforma: bilanci, prospettive, proposte di restyling, in Giur. Comm., fasc. 6, 2014, 1068 ss.mm., fasc. 6, 2014, 1068 ss.

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