Risarcibile in re ipsa il danno da usura psico-fisica al lavoratore stacanovista
30 Settembre 2022
Il caso
La sentenza in esame tratta la vicenda di un lavoratore che aveva svolto ininterrottamente, dal lunedì alla domenica per circa otto mesi, le mansioni di commesso di un minimarket per ben 13 ore giornaliere (91 settimanali), senza aver mai avuto la possibilità di fruire né di riposi settimanali né di ferie.
Il caso parrebbe, all'apparenza, rientrare nel “classico” genus del superlavoro, ovverosia dell'esposizione a ritmi lavorativi insostenibili ed eccedenti “la normale tollerabilità” (cfr. Cass., 1° settembre 1997, n. 8267, prima pronuncia in materia; si rimanda a D. Tambasco, Il danno da superlavoro e da usura psico-fisica nella giurisprudenza, in questa Rivista, 9 giugno 2022).
Il surmenage lavorativo era infatti duplice, essendosi estrinsecato sia nella sottoposizione al lavoro straordinario ben oltre il limite massimo stabilito dalla legge e dal CCNL (13 ore giornaliere e 91 ore settimanali, pari a 3458 ore in soli otto mesi, a fronte di un limite massimo di 48 ore settimanali ex art. 4 comma 3 d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 e di 250 ore annue di straordinario previsto dal CCNL Commercio e Terziario) sia nella mancata fruizione dei riposi settimanali e delle ferie garantite ex lege (con protezione di rango costituzionale, ex art. 36 terzo comma Cost.).
Il lavoratore tuttavia, in assenza di una concreta lesione all'integrità psico-fisica accertabile sul piano medico-legale (dovuta probabilmente al periodo lavorativo relativamente breve), richiedeva unicamente il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali derivanti dal mancato riposo settimanale.
La pronuncia del giudice milanese, in accoglimento delle domande del lavoratore, accertava -per ciò che interessa l'oggetto del presente contributo- la responsabilità del datore di lavoro per la mancata fruizione del riposo settimanale da parte del lavoratore, condannandolo al risarcimento del danno liquidato in via equitativa nella misura di 2.000 euro lordi. Danno da superlavoro e danno da usura psico-fisica: due fattispecie a confronto
L'analisi della sentenza necessita, in via preliminare, di riprendere brevemente la descrizione dei contorni che ha assunto la fattispecie del superlavoro (detto anche “surmenage”, cfr. Cass., 8 giugno 2017, n. 14313) nella giurisprudenza italiana.
Si tratta di una vera e propria fattispecie di “diritto vivente”, estratta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità dal tronco dell'art. 2087 c.c. e formata da tre elementi costitutivi:
a) l'esistenza di un ambiente o di condizioni lavorative nocive, consistenti nello svolgimento della prestazione lavorativa oltre la normale tollerabilità, ovverosia protratta per diverso tempo ed esorbitante rispetto ai limiti orari massimi previsti dalla legge (artt. 3 e ss. d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66) o dalla contrattazione collettiva per il lavoro straordinario (ex multis, Cass. 10 maggio 2019, n. 12540; Cass. 8 giugno 2017, n. 14313; Cass. 24 ottobre 2011, n. 18211; nel merito, Trib. La Spezia, sez. lav., 26 giugno 2019, n. 199; contra, App. Venezia, 4 febbraio 2022, n. 608) o svolta secondo turni di lavoro eccessivamente pesanti (ex multis, Cass. 23 maggio 2003, n. 8230; Cass. 14 febbraio 2006, n. 3209; Cass., 8 maggio 2014, n. 9945) o senza la fruizione delle pause e dei riposi giornalieri, di quelli settimanali o delle ferie annuali (ex multis Cass., 14 luglio 2015, n. 14710) o, comunque, “in condizioni di particolare gravosità” (cfr. Cass., 4 gennaio 2018, n. 93; Trib. Roma, sez. lav., 6 ottobre 2021, n. 8009);
b) l'effettiva lesione dell'integrità psico-fisica (danno alla salute o biologico) del lavoratore o della lavoratrice, rilevante sia in termini di danno evento (ovverosia di integrazione della fattispecie di responsabilità attraverso l'evento lesivo contra ius, connesso alla condotta in termini di causalità materiale), sia in termini di danno–conseguenza (pregiudizio economicamente rilevante legato alla fattispecie lesiva in termini di causalità giuridica), ex multis, cfr. Trib. Milano, 17 settembre 2018, n. 2276;
c) il nesso eziologico tra lo svolgimento delle prestazioni lavorative in condizioni nocive e la produzione del danno alla salute (ex multis, App. Catanzaro, 13 marzo 2018, n. 34).
Si tratta di una fattispecie il cui onere probatorio grava integralmente sul danneggiato (ex multis, Cass. 15 aprile 2014, n. 8804; Cass. 8 maggio 2014, n. 9945, cit.); soltanto una volta assolto tale onere (peraltro molto difficoltoso, soprattutto con riguardo alla prova del nesso eziologico, cfr. ex multis, Cass., 14 gennaio 2022, n. 1096; Cass., 31 agosto 2020, n. 18132; Cass., 23 maggio 2018, n. 12808; nel merito, App. Milano, 15 giugno 2021, n. 430; Trib. Taranto, 25 maggio 2012, n. 3803), spetterà al datore di lavoro il compito di dimostrare l'adozione di tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (ex plurimis, Cass. 27 gennaio 2022, n. 2403; Cass. 5 febbraio 2000, n. 1307).
L'esonero di responsabilità, in questo caso, può essere invocato dal datore solo nel caso in cui comprovi l'abnormità, l'inopinabilità e l'esorbitanza del fatto lesivo rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive impartite, tanto da poter affermare l'interruzione del nesso causale per opera di una condotta del lavoratore talmente imprevedibile da rappresentare essa stessa causa esclusiva dell'evento, o in alternativa la presenza di un rischio elettivo generato da un'attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti (ex multis, Cass., 2 gennaio 2002, n. 5; Cass., 7 giugno 2007, n. 13309; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3786; Cass. 25 febbraio 2011; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127).
Per venire al caso di specie, se il lavoratore –eventualmente a seguito di una specifica consulenza tecnica d'ufficio- avesse dimostrato di aver subito una concreta lesione alla salute (nella forma del danno biologico permanente e/o temporaneo) a causa dello svolgimento della prestazione lavorativa oltre il limite della normale tollerabilità (nella duplice forma, come abbiamo visto, del lavoro straordinario oltre il limite massimo previsto ex lege e della mancata fruizione dei riposi settimanali e delle ferie), il giudice avrebbe conseguentemente accertato la responsabilità datoriale per il danno da superlavoro, liquidando il relativo compendio risarcitorio non patrimoniale secondo i parametri ordinariamente tabellati.
Tuttavia, quid iuris in assenza di un concreto ed effettivo pregiudizio psico-fisico (per fortuna del ricorrente dovuto alla ridotta durata del rapporto lavorativo)?
Ecco che soccorre ancora una volta l'opera “giuspoietica” della giurisprudenza la quale, ben conscia dell'esistenza di un evidente vuoto di tutela, ha apprestato da tempo un differente rimedio. Rimedio, si badi bene, che se da un punto di vista logico-sistematico può considerarsi una species dell'ampio genus “superlavoro”, sul piano cronologico è di gran lunga più risalente rispetto a quest'ultimo (cfr. Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1607).
Stiamo parlando della categoria del danno da “usura psicofisica”, ovverosia di quella fattispecie rilevabile ipso iure nel caso di violazione del diritto al riposo settimanale (definito anche “lavoro nel settimo giorno”) e alle ferie annuali, entrambi oggetto di tutela costituzionale ed indisponibili a norma dell'art. 36, terzo comma, Cost.
In particolare, nel caso di “lavoro nel settimo giorno”, oltre alla retribuzione giornaliera spetta una maggiorazione per l'ulteriore penosità del lavoro domenicale, considerata la pesante incidenza sulla vita personale, familiare e sociale, maggiorazione riconosciuta a tutti i lavoratori costretti a prestare la propria attività di domenica, anche se beneficiari di riposo compensativo nell'arco della settimana (conf. Cass. 23 gennaio 1988 n. 543; Cass. 14 gennaio 1988 n. 221; Cass. 22 dicembre 1987 n. 9603).
Nell'ipotesi tuttavia di lavoro nel settimo giorno senza fruizione del riposo compensativo in altro giorno della settimana, spetta al lavoratore una somma ulteriore, avente titolo e natura autonomamente risarcitoria, volta a compensare il sacrificio del mancato riposo settimanale e l'usura psico-fisica che esso comporta (cfr. Cass. 29 dicembre 2021, n. 41889, sulla necessità, per il sorgere della responsabilità risarcitoria, che il riposo settimanale sia totalmente soppresso e non già semplicemente spostato temporalmente).
Ciò che rileva maggiormente, in quest'ultima ipotesi, è che tale danno sussiste in re ipsa, sulla base della semplice violazione della norma costituzionale relativa al diritto al riposo settimanale e alle ferie (danno-evento), e deve essere liquidato dal giudice in via equitativa, quantificandolo in concreto avendo in considerazione la gravosità delle prestazioni lavorative e potendo utilizzare, a tal fine, anche gli strumenti e gli istituti affini previsti dalla contrattazione collettiva (cfr., Cass. 25 luglio 1986 n. 4785; Cass. 27 maggio 1980 n. 3470; Cass. 22 maggio 1985 n. 3105; Cass. 19 novembre 1987 n. 8514).
Si tratta di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che –progressivamente evolvendosi- è giunto fino ad oggi (ex multis, Cass. 15 luglio 2019, n. 18884, che ha ricompreso nel danno da usura psico-fisica, oltre al riposo settimanale e alle ferie, anche la violazione del diritto al riposo giornaliero; Cass. 1° dicembre 2016, n. 24563, Cass. 4 agosto 2015, n. 16665; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24180; contra, per la necessità di allegare e provare anche le conseguenze pregiudizievoli concretamente derivate - danno conseguenza -, seppure attraverso l'utilizzo delle presunzioni e del fatto notorio, cfr. ex plurimis, Cass. 28 marzo 2017, n. 7921; Cass. 23 maggio 2014, n. 11581; Cass. 10 febbraio 2014, n. 2886; Cass. 15 maggio 2013, n. 11727; Cass. 28 giugno 2011, n. 14288; Cass. 3 luglio 2001, n. 9009). La soluzione adottata dal giudice milanese
Nel caso in esame il Tribunale di Milano ha adottato una soluzione in linea con la giurisprudenza dominante: essendo incontrovertibilmente provato che il ricorrente non aveva mai fruito né di riposi settimanali né di ferie nel corso degli otto mesi di lavoro, ha applicato il principio di diritto enunciato da Cass. 15 luglio 2019, n. 18884, cit., secondo cui “la mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale, in assenza di previsioni legittimanti la scelta datoriale, è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto, perché l'interesse del lavoratore leso dall'inadempimento del datore ha una diretta copertura costituzionale nell'art. 36 Cost., sicché la lesione del predetto interesse espone direttamente il datore medesimo al risarcimento del danno”.
Del resto la responsabilità datoriale per il danno da usura psico-fisica da mancato riposo settimanale sussiste, secondo la sentenza in commento, a prescindere dalla previsione di una maggiorazione retributiva per l'attività prestata nel giorno festivo (che non incide sul diritto del dipendente alla fruizione del necessario riposo nel settimo giorno) ed è comunque indipendente dal consenso prestato dal lavoratore, trattandosi di diritto indisponibile.
In definitiva la dimostrazione che il ricorrente abbia effettivamente osservato un orario lavorativo di 91 ore settimanali, ininterrottamente per otto mesi dal lunedì alla domenica, vale di per sé ad integrare la violazione del precetto di cui all'art. 36, terzo comma Cost. e, conseguentemente, a configurare in re ipsa la sussistenza del danno da usura psico-fisica. La quantificazione in via equitativa del danno da usura psico-fisica
Passando ai criteri di quantificazione del danno da usura psico-fisica, nel diritto pretorio la discrezionalità è molto ampia: se in linea di principio la giurisprudenza è concorde nel considerare - come accennato - la gravità della prestazione e le indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento in oggetto (cfr. Cass. 29 settembre 2021, n. 26450, cit.; Cass. 10 maggio 2019, n. 12540; Cass. 27 luglio 2015, n. 15699; Cass. 14 luglio 2015, n. 14710, cit.; Cass. 23 maggio 2014, n. 11581), in concreto tuttavia i parametri utilizzati sono molteplici, potendosi annoverare:
- il compenso previsto dalla contrattazione collettiva per l'ipotesi del lavoro straordinario (Cass. 26 agosto 2015, n. 17154);
- la maggiorazione prevista per il lavoro notturno e festivo (Cass., 14 luglio 2015, n. 14710, cit.);
- la retribuzione stabilita per la prestazione lavorativa ordinaria feriale (Trib. Bari, sez. lav., 11 gennaio 2022, n. 31);
- il doppio dell'indennità di reperibilità (App. Milano, sez. lav., 10 novembre 2015, n. 959; conf. Cass. 23 maggio 2022, n. 16582).
Di particolare interesse risulta la recente pronuncia del Tribunale di Firenze, sez. lav., 11 marzo 2022, n. 179, cit., che in un caso del tutto simile a quello in esame ha liquidato il danno da usura psico-fisica derivante dallo svolgimento ininterrotto per sette mesi dell'attività lavorativa, utilizzando quali parametri il numero di giorni di riposo mancati (74 nel caso di specie) e la retribuzione spettante per una giornata di lavoro straordinario festivo (€ 113,11, per un importo complessivo di € 8.300,00).
La sentenza in commento, nel liquidare in via equitativa il danno da usura psicofisica derivante dalla mancata fruizione del riposo, pur rifacendosi alla giurisprudenza prevalente seguendo le indicazioni della disciplina collettiva di riferimento, giunge tuttavia ad un risultato (2000 euro) che non convince sul piano dell'effettività della tutela risarcitoria.
Il giudice ambrosiano, infatti, ha ritenuto equo applicare una percentuale del 16% della retribuzione base ordinaria per i mancati riposi nel corso degli 8 mesi di durata del rapporto di lavoro, prendendo spunto dalla sezione del CCNL Commercio-Terziario relativa alle maggiorazioni per lavoro straordinario e riposi.
Tuttavia, trattandosi principalmente di lavoro nel settimo giorno senza riposo compensativo, sarebbe stato più opportuno far riferimento per la liquidazione del danno alla maggiorazione del 30% prevista dal CCNL nella sezione relativa al lavoro straordinario domenicale.
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