Il delicato rapporto tra servizi svolti in A.T.O. e la razionalizzazione della società partecipata
04 Ottobre 2022
Introduzione
Il Consiglio di Stato (Sentenza n. 06862/2022 REG.PROV.COLL./n. 08356/2021 REG.RIC, pubblicata il 04 agosto 2022) si è pronunciato con riferimento ad un ricorso avanzato da un Comune avverso una propria Società a totale partecipazione pubblica che svolge attività rientranti nel servizio idrico, ribaltando la pronuncia di primo grado del TAR. La controversia si origina in conseguenza della procedura di valutazione avviata dal Comune diretta a dismettere le quote di partecipazione al capitale sociale della Società predetta in quanto i servizi idrici vengono già svolti da altra Società partecipata dal Comune in qualità di Gestore Unico del servizio idrico integrato nell'ATO provinciale di appartenenza, di recente costituzione: tale circostanza, a detta del Comune appellante, giustificherebbe il procedimento di razionalizzazione delle partecipazioni in conformità con la previsione dell'art. 20, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 175 del 2016. La sentenza del C.d.S. - in contrasto con l'iniziale decisione del Tar che deliberava, nella fattispecie in questione, in favore della Società precludendo al Comune l'alienazione della suddetta quota in quanto ciò avrebbe potuto minare l'unicità della gestione dell'organizzazione del servizio di pubblica utilità - mette in luce aspetti e sfumature interessanti con riferimento ai delicati rapporti tra i gestori unici di servizi nell'ottica dell'ATO e la razionalizzazione delle società partecipate.
L'impianto normativo del D.lgs. n. 175/2016 (c.d. “Legge Madia”) nacque dall'intento del Legislatore di voler assicurare alla Pubblica Amministrazione l'utilizzo di strumenti che consentissero, così come dettato dall'art. 1 della norma citata, l'ottimizzazione della spesa e dell'organizzazione pubblica, soprattutto con riguardo ai seguenti temi: l'efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche; la tutela e promozione della concorrenza e del mercato; la razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica. Con riferimento alla riduzione e gestione della spesa pubblica attinente i servizi pubblici erogati dall'Amministrazione pubblica, la Legge Madia si è subito posta come norma di forte innovazione in quanto diretta a limitare il “portafoglio” di partecipazioni societarie detenibili dalla P.A. secondo limiti ben precisi, quali ad esempio:
Ed è proprio con riferimento alle condizioni di cui al comma 2 dell'art. 20 del TUSPP che il caso in esame rimanda; nello specifico, alla fattispecie di società partecipate che svolgono, nei confronti della stessa P.A. controllante, attività similari e/o identiche per le quali il Legislatore obbliga la P.A. ad adottare opportuni interventi di razionalizzazione allo scopo di massimizzare, e non sprecare, l'allocazione delle risorse necessarie a garantire l'erogazione di attività/servizi pubblici in favore della collettività.
Una raccomandazione molto spesso riscontrabile in numerose deliberazioni delle Sezioni regionali della Corte dei Conti (Cfr. Deliberazione Corte dei conti Abruzzo n. 231/2021 PRSE) riguarda la finalità dell'attività di ricognizione delle società partecipate: i magistrati contabili hanno evidenziato come tale intervento rappresenti un dovere del socio corrispondente ai canoni di buona amministrazione necessario per verificare l'impatto delle partecipate sugli equilibri dell'ente socio e sulla sua capacità di perseguire gli interessi della collettività (anche per il tramite delle stesse partecipate). Fatta tale premessa, l'art. 20 del TUSPP (D.lgs. 175/2016) elenca le fattispecie per le quali viene richiesto obbligatoriamente l'intervento di razionalizzazione da parte dell'Ente locale sugli organismi societari in cui lo stesso detiene partecipazione. In particolare, il comma 2 dell'articolo richiama l'intervento nei casi di: a) Partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie di cui all'articolo 4; b) Società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; c) Partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali; d) Partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro; e) Partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti; f) Necessità di contenimento dei costi di funzionamento; g) Necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all'articolo 4. Fermo restando l'obbligatorietà di intervento nei precedenti casi, è oramai consolidato in Giurisprudenza che, in generale, l'iter amministrativo con cui si procede a valutare la convenienza della partecipazione societaria ricada nella competenza esclusiva dell'Amministrazione pubblica (lo precisa lo stesso art. 20 comma 1 TUSP quando parla di amministrazioni pubbliche che effettuano annualmente con “proprio provvedimento” un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni), la quale, nell'ambito di un ampio potere discrezionale, deve decidere quale sia la misura di razionalizzazione da adottare in concreto; il tutto, chiaramente, a fronte un procedimento valutativo che venga ampiamente motivato e giustificato nelle sue ragioni a fondamento della scelta compiuta (di mantenere o razionalizzare con opportuni e diversi provvedimenti la partecipazione societaria), nel rispetto dei vincoli imposti dalla legge. Su tale tema, la Corte dei Conti del Lazio (deliberazione n. 47/2021 GEST) ricorda, infatti, che tali misure, che rientrano nelle valutazioni discrezionali degli organi di indirizzo dell'ente, devono essere definite nel rispetto dei criteri di ragionevolezza, proporzionalità, logicità e adeguatezza: una raccomandazione che può risultare particolarmente utile in tutti quei casi in cui la posizione delle partecipate non fa emergere situazioni di facile risoluzione, ad esempio quando, pur a fronte di condizioni che richiederebbero l'obbligo di adottare misure di razionalizzazione, il mantenimento della partecipata si rilevasse, comunque e momentaneamente, la risoluzione più efficace per l'ente.
Nel caso in esame, come già anticipato, un Comune detiene la partecipazione in due Società con affidamento di servizi di gestione delle attività del Servizio Idrico Integrato, di cui una attinente all'A.T.O. di nuova costituzione che ha definito il proprio ambito di appartenenza. Ora, con riferimento allo specifico Servizio di pubblica utilità – quale il S.I.I. – bisogna ricordare che lo stesso deve essere organizzato all'interno dei c.d. ambiti territoriali ottimali (ATO), che le Regioni devono perimetrare sulla base di regole contenute, oltre che nella disciplina generale in materia di SPL, all'interno Codice dell'Ambiente (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Parte III) il quale detta una serie di criteri per la delimitazione che fanno riferimento a:
Tra le principali deroghe, quella relativa al principio dell'unicità gestionale solo nel caso in cui l'ATO abbia dimensioni regionali e, comunque, l'affidamento a gestore unico del servizio idrico integrato sia riferito a territori di estensione quantomeno provinciali.
Nella fattispecie in esame, a seguito delle modifiche di gestione del servizio idrico integrato nel territorio provinciale in cui ha sede il Comune in esame, il servizio veniva affidato al soggetto individuato come Gestore Unico Provinciale, nel quale il Comune deteneva partecipazione. Tuttavia, ciò ha comportato delle modifiche, chiaramente, al raggio di azione dell'altra Società partecipata dal Comune nello svolgimento delle attività del Servizio Idrico Integrato a livello regionale e provinciale. Di fatto, tra il suddetto Gestore Unico Provinciale e l'altra Società (parte in causa della vicenda) – nella quale il Comune deteneva partecipazione con affidamento di attività del S.I.I. – veniva stipulato un preciso accordo per la gestione del S.I.I. anche nella zona di inter-ambito, di interesse del Comune appellante, con funzioni di grossista. Alla luce di tale novità, il Comune decideva di recedere dalla Società che gestisce non più il proprio ambito. Le disposizioni, di cui si darà in seguito, vengono analizzate dal Consiglio di Stato ai fini del fondamento della decisione di merito presa. Al fine di comprendere la decisione di merito presa dal Consiglio di Stato e, comunque, le ragioni che hanno spinto il Comune a procedere con la valutazione dell'adozione dell'intervento di dismissione delle quote detenute nella società partecipata – a seguito del passaggio in capo al Gestore Unico Provinciale di riferimento della gestione totale delle attività del S.I.I. – è necessario dover analizzare i due seguenti motivi fondanti il procedimento logico seguito dal Consiglio di Stato:
A fronte di tale evidenze, il Consiglio di Stato, ricordando che l'individuazione dell'inter-ambito impone ai due (o più) enti di gestione interessati di accordarsi per agire d'intesa, senza che ciò comporti una qualche alterazione dei territori individuati nei rispettivi ATO, tiene a precisare che i singoli Comuni, in qualunque caso, continueranno ad essere obbligati a partecipare ai soli enti di gestione riferiti all'ATO entro cui il territorio comunale rientra e non ad altri. L'art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006 impone, di fatto, un obbligo di partecipazione all'in-house soltanto in capo agli enti locali ricadenti nel perimetro dell'ambito territoriale ottimale (cd. ATO), laddove nel caso di specie verrebbe in questione il diverso istituto dell'inter-ambito (art. 47, comma 2, l.r. n. 26 del 2006), che non prevede alcuna modifica della perimetrazione degli ATO, ma solo una specifica attività “d'intesa” alla programmazione e tariffazione del servizio. Pertanto, appare sostenibile l'azione di razionalizzazione intrapresa dal Comune appellante per duplicità delle attività del Servizio, a seguito dell'istituzione del Gestore Unico.
Considerazioni conclusive
Alla luce di tutti gli elementi osservati il Consiglio di Stato deduce, in contrasto con la sentenza precedente del TAR, che il mantenimento della partecipazione nella Società in causa non potrebbe essere fatto valere come titolo necessario per l'erogazione del Servizio Idrico né che l'eventuale dismissione della partecipazione in questione da parte del Comune possa costituire azione dannosa rispetto all'organizzazione e all'unicità del servizio, in quanto nella fattispecie in esame non si è di fronte alla gestione del patrimonio idrico bensì alla gestione dell'ampio ciclo di attività del Servizio Idrico Integrato. Alla luce degli accordi inter-ambito definiti tra i soggetti operanti sul territorio a livello di ATO e tenendo conto che l'iter amministrativo adottato dal Comune, fondante la scelta della dismissione della partecipazione, risulta essere ampiamente motivato, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso del Comune ritendo valide le considerazioni da questo mosse circa la ragionevolezza della scelta adottata nel rispetto dell'ipotesi di cui alla lettera c) del comma 2 dell'art. 20 del TUSPP e, quindi, di razionalizzazione della partecipata per attività similare/identica svolta da altra società partecipata.
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