Permesso di soggiorno di lungo periodo per stranieri che vogliono fruire del reddito di cittadinanza

Barbara Mandelli
04 Ottobre 2022

A mezzo della sentenza in commento, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma che sancisce che, fra i diversi requisiti necessari per l'ottenimento del reddito di cittadinanza da parte degli stranieri, debba essere contemplato anche il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Massima

In tema di reddito di cittadinanza, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lett. a), numero 1) del d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 convertito con modificazioni dalla l. 28 marzo 2019, n. 26., nella parte in cui prevede che, fra i diversi requisiti necessari per l'ottenimento del reddito di cittadinanza, sia richiesto, per gli stranieri, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Il caso

Una cittadina nigeriana, dal 1996 in Italia e dal 2017 titolare di un permesso di soggiorno per “attesa occupazione”, aveva potuto presentare domanda di reddito di cittadinanza solo in formato cartaceo in quanto il sistema informatico non consentiva di procedere agli stranieri che non dichiarassero la titolarità del permesso di lungo periodo o della protezione internazionale.

Tale domanda era stata ritenuta poi inammissibile dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

La ricorrente chiedeva allora in giudizio l'accertamento del carattere discriminatorio del comportamento tenuto dall'Inps, l'ordine di cessazione della discriminazione e la rimozione degli effetti oltre al pagamento del reddito di cittadinanza e del risarcimento del danno.

La Sezione Lavoro del Tribunale di Bergamo, con ordinanza n. 180/2020, sollevava, in via incidentale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lett. a), numero 1)del D.l. 28 gennaio 2019, n. 4 previsto in tema di reddito di cittadinanza e convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26.

La detta norma sancisce che, fra i diversi requisiti necessari per l'ottenimento del reddito di cittadinanza da parte degli stranieri, debba essere contemplato anche il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

In particolar modo, secondo il rimettente, la legittimità costituzionale avrebbe dovuto essere valutata in riferimento agli artt. 2, 3, 31, 38 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e agli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 ed adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 in tema di principi di eguaglianza e di non discriminazione, «nella parte in cui esclude dalla prestazione del reddito di cittadinanza i titolari di permesso unico lavoro ex art. 5 c. 8.1 d.lgs. 286/1998 o di permesso di soggiorno di almeno un anno ex art. 41 d.lgs. 286/1998».

In ogni caso, secondo il rimettente, anche qualora il reddito di cittadinanza fosse stato considerato «prestazione estranea al nucleo dei diritti essenziali», la limitazione prevista dalla norma censurata sarebbe stata in contrasto con l'art. 3 Cost. per irragionevolezza.

La Corte costituzionale riteneva inammissibili le censure basate sugli artt. 20 e 21 CDFUE in quanto il rimettente non avrebbe illustrato il presupposto di applicabilità della Carta. Riteneva e dichiarava, inoltre, manifestamente inammissibili per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza anche le questioni sollevate per violazione degli artt. 38 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 20 e 21 CDFUE e la questione ex art. 31 Cost. (tutela della famiglia).

Per quello che qui interessa, la Corte costituzionale dichiarava non fondate le questioni di legittimità costituzionali della norma censurata con riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 14 della CEDU.

La questione

Ci si chiede se sia possibile estendere il reddito di cittadinanza ai cittadini di paesi terzi privi di permesso di lungo periodo e se quindi la norma che preveda che uno straniero possa ottenere il reddito di cittadinanza, fermi gli ulteriori requisiti richiesti, solo qualora in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo sia incostituzionale secondo i principi di uguaglianza e non discriminazione sanciti dalla Carta costituzionale e dell'Unione europea.

Le soluzioni giuridiche

Il d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 intitolato “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni” è stato convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26.

L'art. 2 del d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 al comma 1, lett. a), numero 1) prevede che: «Il Rdc è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio, dei seguenti requisiti: a) con riferimento ai requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, il componente richiedente il beneficio deve essere cumulativamente: 1) in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell'Unione europea, ovvero suo familiare, come individuato dall'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; (…)».

La questione di legittimità costituzionale del riportato articolo viene sollevata nella parte in cui prevede che, fra i diversi requisiti necessari per l'ottenimento del reddito di cittadinanza, sia richiesto per gli stranieri il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Per poter affrontare la questione, occorre ripercorrere in sintesi la normativa e la ratio sottesa all'emanazione della stessa.

Solo se si sostenga che il reddito di cittadinanza possa integrare un rimedio destinato a soddisfare i bisogni primari inerenti alla tutela della persona umana, rimedio costituente un diritto fondamentale, allora ben si potrà giudicare incostituzionale la norma che richiede il permesso di lungo periodo agli stranieri.

In generale, l'art. 1, comma 1, del d.l. n. 4/2019 descrive il reddito di cittadinanza come una misura atta a contrastare la povertà, la disuguaglianza e l'esclusione sociale.

In pratica, il reddito di cittadinanza consiste in un beneficio economico che costituisce un'«integrazione del reddito familiare» fino alla soglia di 6000 euro annui (incrementata a seconda dei componenti del nucleo familiare), alla quale si può aggiungere un'integrazione del reddito dei nuclei familiari locatari di un'abitazione, fino ad un massimo di 3360 euro annui (art. 3, comma 1, d.l. n. 4/2019).

Il detto beneficio è riconosciuto «per un periodo continuativo non superiore a diciotto mesi» e può essere rinnovato, previa sospensione di un mese prima di ciascun rinnovo (art. 3, comma 6, d.l. n. 4/2019).

La sua erogazione «è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, […] nonché all'adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro e all'inclusione sociale» (art. 4, comma 1, d.l. n. 4/2019).

Detto percorso si realizza o con il Patto per il lavoro, stipulato presso un centro per l'impiego con obblighi di ricerca attiva del lavoro e accettazione delle offerte congrue, o con il Patto per l'inclusione sociale, stipulato presso i servizi comunali competenti per il contrasto della povertà e comprendente anche gli «interventi per l'accompagnamento all'inserimento lavorativo» (art. 4, comma 13, d.l. n. 4/2019).

Alla luce delle suesposte argomentazioni si può concludere che il reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, non si esaurisce in una provvidenza assistenziale volta a soddisfare un bisogno primario dell'individuo, ma persegue più ampi obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale.

La questione di legittimità costituzionale sollevata con particolare riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. e al livello minimo di sussistenza, deve pertanto ritenersi non fondata.

Secondo la Corte costituzionale non è fondata neppure la questione sollevata per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.14 CEDU, secondo cui «il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».

Nella pronuncia n. 187 del 2010, la Corte costituzionale aveva già avuto modo di osservare che «ciò che dunque assume valore dirimente» è «accertare se, alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale che è chiamato a svolgere nel sistema, lo specifico “assegno” che viene qui in discorso integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei “bisogni primari” inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto».

Sicché ove «si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al “sostentamento” della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall'art.14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come si è detto, è stata in più circostanze offerta dalla Corte di Strasburgo».

Le conclusioni raggiunte sulle caratteristiche del reddito di cittadinanza – che non si esaurisce in una provvidenza assistenziale volta a soddisfare un bisogno primario dell'individuo, ma persegue più ampi obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale – conducono quindi a ritenere non fondata anche la questione sollevata con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.14 CEDU.

In ultimo, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione sollevata dal rimettente, qualora il reddito di cittadinanza fosse ritenuto «prestazione estranea al nucleo dei diritti essenziali»della persona, di irragionevolezza della norma censurata con riferimento all'art. 3, comma 1 Cost. per la presunta assenza di una ragionevole correlazione tra il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo e le situazioni di bisogno in vista delle quali la prestazione è prevista.

Il permesso di soggiorno di lungo periodo è in realtà concesso qualora ricorra una serie di presupposti che testimoniano della relativa stabilità della presenza sul territorio, e il suo regime si colloca nella logica di una ragionevole prospettiva di integrazione del destinatario nella comunità ospitante.

L'ancora più recente Corte costituzionale, con sentenza n. 22 del 17 febbraio 2022, ha avuto modo di ribadire che: Il permesso di soggiorno di lungo periodo è concesso qualora ricorra una serie di presupposti che testimoniano della relativa stabilità della presenza sul territorio, e il suo regime si colloca nella logica di una ragionevole prospettiva di integrazione del destinatario nella comunità ospitante.

Più precisamente, in base all'art. 9, commi 1 e 2-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), esso può essere chiesto in presenza di quattro requisiti: a) «possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità»; b) «disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale»; c) «alloggio idoneo»; d) «superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana».

Il permesso è a tempo indeterminato (art. 9, comma 2, t.u. immigrazione) e fra le cause della sua revoca non è prevista la perdita dei requisiti di cui sopra (cioè, del reddito e dell'alloggio idoneo).”

Ciò precisato, occorre verificare se esista una ragionevole correlazione tra il requisito fissato dalla norma censurata e la ratio del reddito di cittadinanza.

Come già ampiamente sottolineato, tale provvidenza non si risolve in un mero sussidio economico, ma costituisce una misura più articolata, comportante anche l'assunzione di precisi impegni dei beneficiari, diretta ad immettere il nucleo familiare beneficiario in un «percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro e all'inclusione sociale» (art. 4, comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito).

Va considerato inoltre che la durata del beneficio economico è di diciotto mesi (permanendo i requisiti), con possibilità di rinnovo (art. 3, comma 6).

L'orizzonte temporale della misura non è dunque di breve periodo, considerando sia la durata del beneficio sia il risultato perseguito.

Gli obiettivi dell'intervento implicano infatti una complessa operazione di inclusione sociale e lavorativa, che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, non irragionevolmente, ha destinato agli stranieri soggiornanti in Italia a tempo indeterminato.

In questa prospettiva di lungo o medio termine del reddito di cittadinanza, la titolarità del diritto di soggiornare stabilmente in Italia non si presenta come un requisito privo di collegamento con la ratio della misura concessa, sicché la scelta di escludere gli stranieri regolarmente soggiornanti, ma pur sempre privi di un consolidato radicamento nel territorio, non può essere giudicata esorbitante nemmeno rispetto ai confini della ragionevolezza.

Osservazioni

Il Giudice del Tribunale di Bergamo mira in sostanza ad “aprire” il riconoscimento del reddito di cittadinanza agli stranieri titolari di permesso unico di lavoro ex art. 5 c. 8.1 d.lgs. n. 286/1998 o di permesso di soggiorno di almeno un anno ex art. 41 d.lgs. n. 286/1998 e quindi non unicamente a coloro che posseggono un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, come invero richiesto dalla norma giustappunto oggetto di censura.

La Corte costituzionale non è dello stesso avviso.

Il reddito di cittadinanza è una misura che tende a mitigare gli effetti della mancanza del reddito a fronte dell'impegno alla ricerca dell'occupazione attraverso percorsi formativi determinati.

Rispetto al reddito di inclusione che lo ha preceduto, il reddito di cittadinanza si caratterizza quindi per una spiccata finalizzazione all'inserimento lavorativo e per un più stringente meccanismo della condizionalità, cioè per un'accentuazione degli impegni assunti dai beneficiari.

La Corte costituzionale aveva già stabilito con altra pronuncia che «la disciplina del reddito di cittadinanza definisce un percorso di reinserimento nel mondo lavorativo che va al di là della pura assistenza economica. Ciò differenzia la misura in questione da altre provvidenze sociali, la cui erogazione si fonda essenzialmente sul solo stato di bisogno, senza prevedere un sistema di rigorosi obblighi e condizionalità».

E ancora, il reddito di cittadinanza «non ha natura meramente assistenziale, proprio perché accompagnato da un percorso formativo e d'inclusione che comporta precisi obblighi, il cui mancato rispetto determina, in varie forme, l'espulsione dal percorso medesimo»(Corte costituzionale, n. 126 del 2021).

In sintesi, il reddito di cittadinanza ha come finalità quella di incentivare la ricerca del lavoro, la formazione e la riqualificazione professionale attraverso un sostegno al reddito.

A questo punto, il permesso di lungo periodo sarebbe lo strumento idoneo per offrire la prova del radicamento dello straniero nell'ordinamento italiano, in mancanza del quale non potrebbe parlarsi di una situazione di povertà che spetti all'ordinamento italiano soccorrere, né vi sarebbe la base per predisporre e attuare nel tempo il suddetto percorso.

Tale approdo non stupisce in quanto la giurisprudenza è da tempo che ritiene legittimo il requisito del soggiorno in Italia a carattere non episodico.

Con la sentenza n. 306/2008, la Corte costituzionale ha affermato che al legislatore è consentito subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata (nello stesso senso le sentenze n. 187/2010 e n. 40/2013).

Resta inteso che la conclusione di non fondatezza raggiunta nella vicenda in esame dalla Corte costituzionale non escluda la possibilità per la Repubblica, in attuazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 38, primo comma, Cost., di garantire, apprestando le necessarie misure, il diritto di ogni individuo alla «sopravvivenza dignitosa» e al «minimo vitale» (sentenza Corte costituzionale n. 137 del 2021).

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