Crediti prelatizi di natura tributaria e contributiva nel concordato preventivo: la Cassazione fa il punto su presupposti e limiti

05 Ottobre 2022

La Suprema Corte con la pronuncia in essame ha affermato l'applicabilità della c.d. “relative priority rule” ai fini del pagamento dei crediti fiscali nell'ambito di un concordato preventivo, in deroga alla regola opposta, nota come “absolute priority rule” che trova, invece, applicazione in ordine al soddisfacimento di tutti gli altri crediti.
Massima

Il trattamento dei crediti prelatizi di natura tributaria e contributiva, previsto dal vigente art. 182 ter L. Fall., segue la regola della relative priority rule, in quanto contempla la possibilità che essi siano soddisfatti parzialmente, purché in misura superiore o anche solo pari a quella riservata ai crediti prelatizi di grado inferiore, fermo restando il limite del soddisfacimento minimo nella misura che essi ritrarrebbero dalla liquidazione, a valori di mercato, dei beni gravati dalla prelazione.

Il caso

Con la Cass. 26 maggio 2022 n. 17155, la Suprema Corte ha affermato l'applicabilità della c.d. “relative priority rule” (d'ora innanzi RPR) ai fini del pagamento dei crediti fiscali nell'ambito di un concordato preventivo, in deroga alla regola opposta, nota come “absolute priority rule” (d'ora innanzi APR) che trova, invece, applicazione in ordine al soddisfacimento di tutti gli altri crediti.

Per meglio comprendere la portata della pronuncia in commento, è opportuno ripercorrere brevemente la vicenda processuale da cui trae origine.

Una Società a responsabilità limitata ha proposto reclamo ex art. 18 l.fall., avverso la sentenza dichiarativa di fallimento del Tribunale di Firenze e il coevo decreto di inammissibilità della domanda di concordato preventivo da essa stessa presentata ai sensi dell'art. 161, comma 6, l.fall., seguita dal deposito della proposta e del piano liquidatorio, con declassamento al rango chirografario dei crediti tributari e previdenziali, ai sensi dell'art. 182 ter l.fall.

La Corte d'Appello di Firenze ha rigettato il suddetto reclamo, negando che l'art. 182 ter l.fall. consenta di derogare al principio generale di cui all'art. 160 l.fall. e, quindi, di “falcidiare il credito erariale al di sotto della somma ottenibile in sede di liquidazione fallimentare”.

La Corte di merito ha ritenuto, altresì, dirimente che "i crediti di cui all' art. 182 ter L.Fall., degradati nella proposta concordataria al chirografo, godrebbero, nell'alternativa ipotesi liquidatoria fallimentare, comunque del privilegio ex artt. 2752 e 2753 c.c. e verrebbero, quindi, pagati, in via sussidiaria, con il ricavato della liquidazione del patrimonio immobiliare, donde la violazione del principio del divieto di trattamento deteriore rispetto all'alternativa ipotesi liquidatoria fallimentare e del principio del divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione".

La Società reclamante ha, dunque, proposto ricorso per cassazione avverso la Sentenza dichiarativa di fallimento e il decreto di inammissibilità della domanda di concordato preventivo.

La Sentenza della S. Corte in commento ha fugato ogni dubbio sul rapporto tra l'art. 182 ter, comma 1, l.fall. e l'art. 160, comma 2, l.fall. che, nonostante siano identici nella prima parte, si differenziano nella seconda, in quanto l'art.182 ter l.fall. ammette che i creditori di rango inferiore possano essere soddisfatti prescindendo dall'integrale soddisfacimento di quelli di rango poziore.

I Giudici della S. Corte ammettono, dunque, l'applicazione della RPR in una forma diversa e più favorevole rispetto a quanto previsto dall'art. 11 par. 1 lett. c) Dir. UE/2019/1023, che “consente solo un trattamento più favorevole delle classi di rango poziore, mentre l'art. 182 ter l.fall. consente un trattamento almeno pari a quello previsto per le classi inferiori”.


Questioni giuridiche

Il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento in relazione alle fattispecie in esame - La pronuncia in commento, come anticipato, affronta la questione inerente all'applicabilità della APR (c.d. “regola della priorità assoluta”, ossia dell'illegittimità del pagamento parziale dei creditori privilegiati, in favore di un creditore di grado successivo, prima di avere integralmente soddisfatto quelli di grado precedente) e della RPR (c.d. “regola della priorità relativa”, ossia della possibilità generale di soddisfare un creditore di grado successivo anche senza aver integralmente soddisfatto quelli di grado precedente, a patto che questi ultimi ricevano un migliore soddisfacimento), calandosi nello storico conflitto tra la tutela degli interessi dei creditori, da un lato, e gli interessi delle imprese, dall'altro, questi ultimi tesi alla salvaguardia della continuità aziendale.

Nello specifico, la sentenza della Suprema Corte fa chiarezza sull'ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sorto sul trattamento dei crediti prelatizi di natura tributaria e contributiva e sul loro soddisfacimento, rispetto a quanto disposto dalla recente Dir. UE/2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019.

A tal fine, la Corte di Cassazione offre una lettura puntuale degli artt. 160 c. 2 L. Fall. e 182 ter L.Fall., ponendoli in relazione e confronto.

In particolare, l'art. 160, comma 2, l.fall. impone che nell'ambito del concordato preventivo il “trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione”, con ciò sancendo il principio della APR - quale criterio di matrice ed estrazione statunitense - secondo cui sarebbe illegittimo pagare un creditore di rango inferiore, prima di aver integralmente soddisfatto quelli di grado superiore.

Diversamente, l'art. 182 ter, comma 1, l. fall. elimina la condizione preclusiva dell'integrale soddisfazione dei crediti di rango superiore ai fini del soddisfacimento di quelli di rango inferiore, prescrivendo che “se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore”.

Il tenore letterale dell'articolo poc'anzi citato non è altro che il riconoscimento dell'applicabilità della RPR nell'ordinamento italiano, addirittura in una forma più favorevole rispetto a quella offerta dall'art. 11 par. 1 lett. C) Dir. UE/2019/1023. Sul punto, valga rammentare che la Direttiva europea offre la possibilità agli stati membri dell'Unione Europea di recepire nel proprio ordinamento la regola di priorità relativa che consente di predisporre piani più flessibili e, dunque, di attribuire “ai creditori interessati un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori”.

Tornando all'ordinamento italiano, l'art. 182 ter, comma 1, l. fall. consente un trattamento dei crediti di natura tributaria e contributiva ancor più favorevole per il debitore, perché riconosce anche un trattamento “semplicemente pari alle classi di rango inferiore”.

Si potrebbe, dunque, giungere alla conclusione che la S. Corte permetta alle imprese debitrici, nel contesto del concordato preventivo in continuità, di destinare una parte del proprio patrimonio al soddisfacimento dei creditori di rango inferiore falcidiando i crediti maturati nei confronti del fisco, seppure nei limiti sopra citati.

È utile precisare, al riguardo, che la stessa previsione non è, invece, riconosciuta a crediti di natura diversa.

Gli orientamenti giurisprudenziali contrari - La pronuncia in esame è giunta a tale conclusione intervenendo in un panorama giurisprudenziale che negli anni ha contribuito ad alimentare un acceso dibattito circa l'applicabilità della regola della priorità assoluta o della priorità relativa, facendo particolare focus sulla transazione fiscale e contributiva. È utile citare due pronunce precedenti rispetto a quella in commento che hanno, di fatto, sostenuto la tesi della priorità assoluta.

Con la Cass. 8 giugno 2012, n. 9373 nell'esaminare la domanda della debitrice che riteneva assolto l'obbligo di legge imposto dall'art. 160, comma 2, l. fall., una volta assicurato al credito privilegiato un riconoscimento superiore a quello che si sarebbe ottenuto in caso di liquidazione, tramite un finanziamento dei soci, è giunta a stabilire che l'apporto di finanza esterna da parte del socio dovesse essere destinato al soddisfacimento dei creditori “secondo le cause legittime di prelazione”, in attuazione ai principi cardine del nostro ordinamento rappresentati dagli artt. 2740 e 2741 c.c.

Parimenti, con la Cass. 8 giugno 2020

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n. 10884 la Suprema Corte ha confermato l'applicabilità del principio dell'absolute priority rule, ancorandolo, questa volta, alla capienza del presumibile realizzo dei beni su cui insiste il diritto di prelazione. La ragione è da ricercare nella consistenza del patrimonio della debitrice che, qualora non consentisse di soddisfare integralmente i creditori privilegiati, a maggior ragione non garantirebbe il soddisfo (neanche parziale) dei creditori chirografari.

Un'eventuale violazione del rispetto dell'ordine legittimo delle cause di prelazione sulla medesima massa attiva della Società debitrice porterebbe, sempre secondo la Suprema Corte, al soddisfacimento dei creditori chirografari prima che lo siano quelli di grado poziore per l'intero, in spregio al divieto di alterazione della graduatoria dei privilegi.

Le predette sentenze vengono, poi, richiamate dalla giurisprudenza di merito successiva e, in particolare, dal Tribunale meneghino che, con un articolato provvedimento, emesso in data 25 febbraio 2021, ne valida e conferma i principi ivi richiamati (Trib. Milano 25 febbraio 2021).

La Cass. 26 maggio 2022 n. 17155, invece, sia pure solo con riferimento ai crediti tributari, ha esplicitamente recepito, interpretando l'art. 182 ter L. Fall., l'applicabilità della relative priority rule in una forma più favorevole per il debitore rispetto a quanto previsto dall'art. 11 par. 1 lett. C) Dir. UE/2019/1023, negando però tale trattamento ai crediti di altra natura muniti di privilegio, pegno o ipoteca per i quali permane l'applicazione dell'art. 160 c. 2 L. Fall.

Con particolare riferimento, poi, ai creditori chirografari, è utile precisare che l'art. 182 ter L. Fall. non ammette un trattamento differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari o dei creditori per cui è previsto un trattamento più favorevole.

Uno sguardo al nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza: art. 88 CCII - In un periodo di forte mutamento della disciplina fallimentare e con l'entrata in vigore del Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, non ci si può esimere dal citare l'art. 88 CCII, che ha, in parte, recepito la disciplina già contenuta nell'art. 182 ter l. fall., confermando, dunque, l'apertura rispetto alla RPR, non senza alcune differenze.

L' art. 88 c. 1 CCII, oltre a circoscrivere (in apertura) la disciplina della transazione fiscale al concordato in continuità aziendale, dispone che un debito di natura tributaria o contributiva non possa essere trattato a condizioni inferiori o meno vantaggiose (con riguardo alla percentuale, al tempo di pagamento e alle garanzie), rispetto alle condizioni offerte ai creditori che vantano un grado di privilegio inferiore o uguale a quelli fiscali contributivi.

Non solo: sempre il medesimo comma, stabilisce che il credito tributario degradato non possa subire un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri crediti chirografari, con ciò riconfermando i limiti di cui all'art. 182 ter l. fall. che, come anticipato, non ammette un'imputazione differente rispetto a quella degli altri creditori chirografari o dei creditori per cui ne è prevista una più favorevole.

Il secondo comma, poi, impone all'attestatore del piano concordatario in continuità aziendale di dare evidenza della soluzione proposta e della sussistenza di un trattamento del credito non deteriore, relativamente ai crediti tributari e contributivi.



Osservazioni conclusive

La decisione cui è pervenuta la Suprema Corte traccia, dunque, una chiara apertura alla regola della relative priority rule nel contesto del trattamento dei crediti prelatizi di natura tributaria e contributiva, correggendo l'impostazione, resa precedentemente dalla stessa Sezione e dalla successiva giurisprudenza di merito, che prediligeva per ogni ipotesi l'applicazione della regola della absolute priority rule.

È la prima decisione che va esplicitamente in questo senso, non risultando, allo stato, altre massime conformi.

Partendo dal contenuto dell'art. 11 Dir. UE/1023/2019, la Corte giunge ad affermare che la previsione di cui all'art. 182 ter l. fall., in realtà, consente un trattamento dei crediti fiscali ancor più favorevole per il debitore rispetto alla normativa europea. Nell'ambito, dunque, di un piano concordatario è ammessa per l'azienda debitrice la possibilità che i crediti muniti di privilegio, di natura tributaria e contributiva (e non di altra natura, per i quali permane tuttora la previsione di cui all'art. 160, comma 2, l.fall.), siano soddisfatti in modo parziale, benché in misura superiore o almeno pari rispetto a quelli di rango inferiore.

In buona sostanza, la recente decisione oggetto di commento ripropone l'atavico tema del conflitto tra l'interesse dei creditori (concentrato sul soddisfacimento) e quello dell'azienda (concentrato verso la continuità).

La c.d. priorità relativa riduce la protezione offerta ai creditori e fornisce all'imprenditore un vantaggio nella strategia di risanamento, sì da consentire la distribuzione dei benefici conseguiti dalla continuità (che diviene così più sostenibile per l'imprenditore stesso, in senso sia economico che sociale) su un numero più ampio possibile di portatori di interessi.

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