Vincoli alla circolazione delle azioni e recesso del socio

07 Ottobre 2022

Nell'ottica di favorire l'accesso delle società al mercato del capitale di rischio, la riforma del diritto societario del 2003 ha ampliato il novero degli strumenti di exit, tra i quali figura il diritto di recesso a favore del socio di una S.p.A. in caso di introduzione/rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni.
Il diritto di recesso nel contesto della riforma del diritto societario

Al fine di approntare un'efficace tutela dei soci di minoranza, la riforma del diritto societario del 2003 ha introdotto (o rafforzato): (i) gli strumenti di voice, i quali consistono nell'esercizio di diritti endosocietari compatibili con la conservazione del rapporto corporativo (e.g. l'azione sociale di responsabilità e l'impugnazione delle delibere assembleari); e (ii) gli strumenti di exit, i quali, per converso, determinano la dismissione - totale o parziale - della partecipazione societaria e lo scioglimento del rapporto corporativo.

Tra gli strumenti di exit spicca il diritto di recesso, i cui presupposti applicativi sono stati significativamente ampliati dal legislatore del 2003 (sulla disciplina del diritto di recesso introdotta dalla riforma del 2003, cfr., ex multis, M. Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012; V. Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm., 2005, I, 291; R. Rordorf, Il recesso del socio di società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, in Soc., 2003, 923) al fine di estendere i canali di finanziamento dell'impresa organizzata in forma di S.p.A. (ciò dal momento che "la propensione all'investimento aumenta quando si è consapevoli dell'esistenza della possibilità di un pronto e rapido disinvestimento" (così L. Delli Priscoli, Delle modificazioni dello statuto. Diritto di recesso, in Commentario Schlesinger, Milano, 2013, 10)).

In tema di exit del socio di S.p.A., il novellato art. 2437 c.c. prevede ipotesi di recesso: (a) inderogabili (art. 2437, comma 1, c.c.); (b) derogabili in via statutaria (art. 2437, comma 2, c.c.); e - per le sole S.p.A. che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio - (c) facoltative (art. 2437, comma 4, c.c.).

Tra le ipotesi di recesso derogabili in via statutaria figura "l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari" (disposizione posta a presidio di una duplice congerie di interessi: (i) da un lato, con riferimento all'ipotesi di introduzione di vincoli alla circolazione delle azioni, l'interesse del socio a "mantenere il preesistente livello di 'liquidità' e facile commerciabilità della partecipazione"; (ii) dall'altro lato, con riferimento all'ipotesi di rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni, l'interesse del socio a "non subire modifiche della compagine azionaria" (così C. Proto, sub art. 2437, in G. Lo Cascio - C. Proto - A.G. Platania - F. Platania, Società per azioni, in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Milano, 2007, 168)), ipotesi che ha (ri)trovato statuto di attualità a seguito:

(i) della sentenza della Corte di Cassazione n. 20546 del 27 giugno 2022 (pubblicata in Guida dir., 2022, 27 e in questo portale con nota di P. Cagliari, Recesso del socio: nuovi chiarimenti dalla Cassazione), che - pronunciandosi su una fattispecie in cui, a seguito della modifica di una clausola statutaria di prelazione, una S.r.l. aveva esercitato il recesso da una S.p.A. della quale era socia di minoranza - ha fornito lo spunto per meglio definire il perimetro applicativo dell'art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c.;

(ii) della massima del Consiglio Notarile di Milano n. 201 del 5 luglio 2022, in tema di clausole statutarie di intrasferibilità parziale delle azioni (o delle quote);

(iii) della massima del Consiglio Notarile di Milano n. 202 del 5 luglio 2022 (tali massime sono entrambe reperibili in www.consiglionotarilemilano.it), in tema di clausole statutarie di "tetto minimo" di azioni (o quote).

Il diritto di recesso ex art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c. I temi affrontati dalla Cassazione: caratteri della modifica statutaria legittimante il recesso

Il novellato art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c. ha avuto il pregio di porre fine alla diatriba relativa alla necessità o meno di prevedere il consenso di tutti i soci per l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni (sul punto, cfr. L. Stanghellini, sub art. 2355-bis, in P. Marchetti - L.A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008, 621-622, secondo il quale "con scelta molto netta, il legislatore del 2003 ha risolto [il problema] della possibilità di introdurre e sopprimere le clausole limitative della circolazione con una delibera non unanime. La scelta è desumibile con chiarezza dall'art. 2437, comma 2, lett. b, che attribuisce un diritto di recesso a coloro che non hanno concorso nelle relative deliberazioni, con ciò evidentemente legittimandole"; in senso conforme, Cons. Not. Milano, massima n. 31 del 19 novembre 2004, in www.consiglionotarilemilano.it. Prima della riforma del 2003: (i) nel senso dell'unanimità dei consensi, cfr. Cass., 26 novembre 1998, n. 12012, in Riv. Not., 1999, 755; Cass., 19 agosto 1996, n. 7614, in Giur. comm., 1997, II, 580; Cass. 9 novembre 1993, n. 11057, in Giur. it., 1995, I, 1, 84; Cass., 15 luglio 1993, n. 7859, in Giur. comm., 1994, II, 644; e (ii) nel senso della maggioranza dei consensi, cfr. (in giurisprudenza) Trib. Milano, 22 giugno 2001, in Giur. it., 2002, 1898; App. Milano, 1° luglio 1998, in Giur. comm., 1999, II, 645 e (in dottrina) D.U. Santosuosso, Il principio di libera trasferibilità delle azioni. Eccesso di potere nelle modifiche della circolazione, Milano, 1993, 333; C. Angelici, La circolazione della partecipazione azionaria, in Trattato delle società per azioni, Torino, 1991, II, 1, 203; V. Meli, La clausola di prelazione negli statuti delle società per azioni, Napoli, 1991, 260): la legge ora ammette l'operatività del principio di maggioranza (rectius, delle maggioranze richieste per le modificazioni dello statuto), riconoscendo il diritto di recesso a favore del socio assente, astenuto o dissenziente (per completezza, si segnala che, in materia di clausole di drag along, Trib. Milano, 24 marzo 2011, in Not., 2011, 395 ha affermato che l'attribuzione al socio di maggioranza del potere di "trascinamento" può essere introdotta nello statuto solo con il consenso di tutti i soci, e in particolare del socio "forzabile", altrimenti venendosi a rimettere nelle mani solo di alcuni membri della compagine sociale la radicale alterazione della stessa struttura societaria).

Anche il perimetro applicativo dell'art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c. sembra essere ormai definito: oltre alle ipotesi di "introduzione" e "rimozione" di vincoli alla circolazione dei titoli azionari, lo stesso ricomprenderebbe anche quelle di "modificazione" di tali vincoli (sul tema, cfr. M. Ventoruzzo, cit., 35, orientatosi verso l'estendibilità dell'art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c. anche a mere "modificazioni" di clausole limitative della circolazione delle azioni "in quanto, a rigore, pressoché ogni modifica di tali pattuizioni avrà l'effetto di ampliarne o restringerne la portata e, quindi, potrà essere considerata un'introduzione o rimozione di vincoli". In senso conforme, cfr. D. Galletti, sub art. 2437, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2007).

La novella legislativa, tuttavia, non ha chiarito se sia sufficiente una mera modifica, indipendentemente dalla portata della stessa, o se la modifica legittimante il recesso debba quanto meno raggiungere la soglia di "sostanzialità".

Sul punto, la Corte di Cassazione - adottando una lettura diametralmente opposta rispetto a quella dei giudici di merito (cfr. Trib. Firenze, 11 gennaio 2018, n. 77, in Red. Giuffrè, 2019, secondo cui "l'interpretazione restrittiva di tale norma [dell'art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c.] attribuisce rilevanza non ad ogni ipotesi di trasferimento, in senso formale, della titolarità della quota, bensì nel solo caso in cui si realizzi un mutamento in senso sostanziale della compagine societaria"; in senso conforme, cfr. App. Firenze, 29 luglio 2019, n. 1897, (per quanto consta) inedita) - ha ritenuto sufficiente una mera modifica dei vincoli statutari ("Al fine di accertare la legittimità del recesso […] è sufficiente verificare se la modifica statutaria abbia rimosso un limite alla circolazione delle azioni prima esistente, indipendentemente dal fatto se tale modifica abbia o meno una rilevanza sostanziale rispetto alla precedente disciplina" (così Cass., 27 giugno 2022, n. 20546, cit., § 5), sulla scorta del seguente percorso argomentativo:

(i) in primo luogo, la Suprema Corte valorizza il dato letterale ricavabile dall'art. 2437, comma 1, lett. (a), c.c., disposizione in forza della quale il recesso può essere esercitato in presenza di una modifica dell'oggetto sociale che determini "un cambiamento significativo dell'attività della società".

Applicando il brocardo ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit, la Corte di Cassazione ha concluso che l'assenza di un coefficiente di "significatività" o "sostanzialità" nell'ipotesi di recesso di cui all'art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c. - a differenza di quanto espressamente previsto dall'art. 2437, comma 1, lett. (a), c.c. - depone a favore dell'idoneità di una mera modifica statutaria quale presupposto dell'exit ("Se, nell'ipotesi di cui è causa, il legislatore non ha richiesto tale ulteriore requisito [quello della significatività/sostanzialità della modifica statutaria, ndr] vuol dire che ai fini del recesso è sufficiente una qualsiasi modifica statutaria idonea a rimuovere i limiti alla circolazione delle azioni" (così Cass., 27 giugno 2022, n. 20546, cit., § 5);

(ii) in secondo luogo, i giudici di legittimità danno rilievo al dato sistematico ricavabile dalla lettura sinottica dell'art. 2437, comma 1, lett. (a), c.c. e dell'art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c.. Segnatamente, il carattere tassativo ed inderogabile dell'ipotesi di recesso di cui alla prima delle due disposizioni citate imporrebbe la "significatività" del cambiamento dell'oggetto sociale, "per scongiurare che la società sia privata delle fonti del proprio approvvigionamento […] anche a fronte di modifiche solo formali delle proprie clausole", mentre, per converso, in caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni,"non si pone l'esigenza di tale ulteriore cautela, dal momento che il diritto di recesso può comunque essere convenzionalmente escluso" (così Cass., 27 giugno 2022, n. 20546, cit., § 5);

(iii) in terzo luogo, gli ermellini, muovendo dal disposto di cui all'art. 2355-bis, comma 4, c.c., che impone che tutte le limitazioni alla circolazione delle azioni debbano risultare dal titolo azionario, anche quando non si tratta di modifica sostanziale, hanno affermato che risulterebbe incoerente introdurre, per il recesso, tale ulteriore requisito di "sostanzialità".

(Segue) I temi affrontati dal Consiglio Notarile di Milano: diritto di recesso in presenza di clausole statutarie di intrasferibilità parziale e di "tetto minimo"

Come sopra anticipato, il novero delle ipotesi ricadenti nel disposto dell'art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c. è stato arricchito da due recenti massime del Consiglio Notarile di Milano, che hanno affermato la legittimità di clausole statutarie di S.p.A. che:

(i) vietano il trasferimento parziale delle azioni.

In tal caso, la legittimità deriverebbe dal fatto che tali clausole di intrasferibilità parziale non ricadono nel divieto di alienazione ex art. 2355-bis, comma 1, c.c. che, per converso, si applicherebbe solo ad ipotesi di intrasferibilità assoluta (il Consiglio Notarile di Milano giunge a tale conclusione sulla scorta di un parallelismo tra l'art. 2355-bis c.c. e l'art. 2469 c.c., disposizione che "si riferisce nel suo tenore letterale alla sola intrasferibilità assoluta, e cioè al caso di divieto, appunto, assoluto di trasferimento della partecipazione" (così Cons. Not. Milano, massima n. 201 del 5 luglio 2022, cit.)).

Tuttavia, dal momento che l'intrasferibilità parziale rientra nella nozione di vincolo alla circolazione dei titoli azionari, l'inserimento di tali clausole nello statuto determina la possibilità per il socio assente, astenuto o dissenziente di esercitare il diritto di recesso ex art. 2437, comma 1, lett. (b), c.c. ("Per quanto riguarda […] l'introduzione delle clausole di intrasferibilità parziale di azioni o quote, mediante una modifica statutaria deliberata nel corso della vita della società, deve ritenersi che il diritto di recesso competa al socio di società per azioni che non abbia concorso alla deliberazione ai sensi dell'art. 2437 co. lett. b) c.c., in quanto il divieto parziale di cui sopra rientra nella nozione di "vincolo" e salvo che lo statuto disponga diversamente");

e

(ii) impongono un "tetto minimo" di possesso delle azioni.

In tal caso, la legittimità deriverebbe dal fatto che - adottando una lettura sistematica - vi sono alcune norme dell'ordinamento che riconoscono rilevanza al possesso minimo di azioni (o quote) (quali, ad esempio, gli artt. 2367, comma 1 (convocazione dell'assemblea su richiesta dei soci), 2377, comma 3 (impugnazione di delibere annullabili), 2408, comma 2 (denunzia di fatti censurabili al collegio sindacale) e 2409, comma 1 (denunzia di gravi irregolarità gestorie al tribunale) c.c.), nonché dal fatto che la determinazione di una soglia minima di rilevanza della partecipazione sociale rappresenta una scelta a disposizione dell'autonomia negoziale e statutaria ("Deve pertanto riconoscersi l'ammissibilità delle clausole in esame, le quali realizzano, in particolare e salvo altri, l'interesse di non frammentare eccessivamente il capitale sociale, anche al fine di semplificarne la gestione organizzativa, interesse da ritenersi meritevole di tutela" (così Cons. Not. Milano, massima n. 202 del 5 luglio 2022)).

Tali clausole, laddove siano qualificate come regole di circolazione delle azioni - con conseguente inefficacia del trasferimento nei confronti della società laddove, per effetto del trasferimento stesso, il cessionario non consegua il possesso minimo ovvero il cedente lo perda - danno luogo ad una causa di recesso ex art. 2437, comma 2, lett. (b), c.c. (per completezza, si segnala che tali clausole possono essere qualificate anche come regole che subordinano la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali alla titolarità di un numero di azioni almeno pari al possesso minimo. In tal caso, il diritto di recesso sarà esercitabile in virtù di una disposizione tassativa ed inderogabile, vale a dire l'art. 2437, comma 1, lett. (g), c.c., che disciplina il recesso in caso di "modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione").

In conclusione

La pronuncia della Corte di Cassazione e le massime del Consiglio Notarile di Milano sopra riportate sembrano aver aderito a quella che è parte della ratio ispiratrice della riforma del diritto societario del 2003 in tema di recesso.

L'art. 4, comma 9, lett. (d) della Legge n. 366/2001, infatti, prevedeva che - in tema di modifiche statutarie - la riforma dovesse "rivedere la disciplina del recesso" introducendo "ulteriori fattispecie di recesso a tutela del socio dissenziente", principio richiamato anche al § 9 (Della disciplina del recesso) della Relazione al D. Lgs. 6/2003, che evidenzia una concezione del recesso "come estremo, ma efficace mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell'operazione cui partecipa".

La pronuncia e le massime in questione ben si inseriscono nel rinnovato tessuto concettuale in tema di recesso, strumento che - assicurando al socio finanziatore il disinvestimento - è atto ad attrarre capitale di rischio, così incentivando la competitività delle imprese, principio cardine della legge delega (l'art. 2, comma 1, lett. (a) della Legge 366/2001 prevedeva che la riforma del diritto societario dovesse essere ispirata - tra gli altri - al perseguimento dell'obiettivo di "favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali").

Fermo quanto sopra, pare tuttavia necessario ricordare che, tra i principi ispiratori della riforma del diritto societario in tema di recesso, figurava anche quello di "salvaguard[are] l'integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori sociali" (cfr. art. 9, comma 4, lett. (d) della Legge 366/2001. Sul tema, cfr. B. Libonati, L'impresa e la società. Lezioni di diritto commerciale. Le società di persone. La S.p.A., Milano, 2004, 104; P. Spada, C'era una volta la società…, in Riv. Not., 2004, 13; U. Tombari, La nuova struttura finanziaria della S.p.A. (Corporate Governance e categorie rappresentative del fenomeno societario), in Riv. soc., 2004, 1083).

In aderenza a tale principio, sarebbe forse opportuno fissare un coefficiente minimo di "sostanzialità" / "significatività" della modifica statutaria legittimante il recesso, onde evitare che, ad esempio, marginali modifiche di carattere procedimentale in tema di diritto di prelazione legittimino l'esercizio del diritto di recesso e, di conseguenza, la depatrimonializzazione della società. In altre parole, sarebbe opportuno scongiurare il rischio che un eccessivo allargamento delle maglie dell'exit pregiudichi l'equilibrio finanziario delle società e indebolisca il principio di integrità del capitale sociale (principio in linea con quanto espresso da Cass., 21 febbraio 2020, n. 4716, in Giur. comm., 2021, 2, II, 304, secondo cui "è da preferire un'interpretazione restrittiva delle norme che prevedono le ipotesi di recesso del socio di società per azioni, al fine di non incrementare a dismisura le cause che legittimano l'uscita dalla società"). Solo così facendo, la scelta "liberista" operata dal legislatore del 2003 - i.e. "iniettare liquidità nel sistema societario […] corre[ndo] il rischio di perderne ancora di più" (così L. Delli Priscoli, cit., 17, secondo il quale "sembra dunque che il legislatore abbia scommesso su un incremento del livello complessivo di fiducia nel sistema per favorire la società nella raccolta di finanziamenti, analogamente a quanto avviene per certe scelte di politica monetaria che, per aumentare la liquidità del sistema economico, diminuiscono le riserve necessarie delle banche contando sul fatto che i risparmiatori non ritirino tutti insieme i loro risparmi". Sul tema, cfr. V. Buonocore, Conclusioni riassuntive, in V. Santoro (a cura di), La nuova disciplina della S.r.l., Milano, 2003, 335; R. Weigmann, Luci ed ombre del nuovo diritto azionario, in Soc., 2003, 282) - potrebbe rivelarsi una scommessa vinta.

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