La fuoriuscita di grandi imprese dalla Borsa italiana e l'istituto del delisting

Girolamo Lazoppina
13 Ottobre 2022

Il contributo si concentra sul ritiro, sia volontario che obbligatorio, dei titoli quotati nei mercati regolamentati. L'Autore si sofferma sul crescente fenomeno del delisting che nel 2022 sta assumendo, in Italia, contorni preoccupanti.
Introduzione: la fuga dalla Borsa

L'allontanamento volontario delle imprese dalla Borsa italiana, sebbene sia un fenomeno non nuovo, ha assunto nell'ultimo anno una consistenza rilevante. A far certamente notizia sono state le decisioni di Tod's S.p.A., il Gruppo di Diego Della Valle, e di Exor, la cosiddetta cassaforte della famiglia Agnelli, di lasciare Piazza Affari: la prima, con un'OPA volontaria finalizzata proprio al delisting, e la seconda per quotarsi nella Borsa di Amsterdam.

Tale fenomeno, però, come abbiamo anticipato, ha assunto dimensioni rilevanti nel 2022. Si pensi, solo per citare le società più rilevanti che hanno già lasciato la Borsa di Milano, alla Cerved, a La Doria, ad Assiteca, oppure società che hanno annunciato di voler lasciare Piazza Affari quali Atlantia, Autogrill, A.S. Roma.

Ciò, unitamente alla sottoposizione di importanti imprese ad ordinamenti stranieri - strada, questa, già da tempo percorsa dalla Exor - comporta certamente una perdita di valore del mercato, con una ovvia perdita di capitalizzazione della Borsa italiana anche perché la quotazione di nuove imprese, che pure vi è stata, riguarda principalmente realtà imprenditoriali medie o piccole.

Il delisting

L'istituto del delisting comporta la cancellazione di un titolo da un listino di borsa e di conseguenza il suo ritiro dalle negoziazioni in un mercato regolamentato.

Il delisting può essere volontario oppure obbligatorio. E' volontario, ai sensi dell'art. 133 del T.U.F., quando sono le stesse società italiane con azioni quotate nei mercati regolamentati italiani a richiedere, previa deliberazione dell'assemblea straordinaria, l'esclusione dalle negoziazioni dei propri strumenti finanziari, secondo quanto previsto dal regolamento del mercato, se ottengono l'ammissione su altro mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione Europea, purché sia garantita una tutela equivalente degli investitori, secondo i criteri stabiliti dalla CONSOB con regolamento.

E' invece obbligatorio quando è la stessa Borsa a disporne la revoca del titolo per il venir meno dei requisiti previsti dalla legge italiana per la sua permanenza nel listino. In particolare, il Regolamento di Borsa Italiana S.p.A. prevede, all'art. 2.5.1, che Borsa italiana possa disporre la revoca dalla quotazione e dalle negoziazioni di uno strumento finanziario, in caso di prolungata carenza di negoziazione ovvero se reputa che, a causa di circostanze particolari, non sia possibile mantenere un mercato normale e regolare per tale strumento. Ai fini della revoca della quotazione e dalle negoziazioni Borsa Italiana (art. 2.5.1 comma 5) fa prevalentemente riferimento ai seguenti elementi:

a) controvalore medio giornaliero delle negoziazioni eseguite nel mercato e numero medio di titoli scambiati, rilevati in un periodo di almeno diciotto mesi;

b) frequenza degli scambi registrati nel medesimo periodo;

c) grado di diffusione tra il pubblico degli strumenti finanziari in termini di controvalore e di numero dei soggetti detentori;

d) ammissione dell'emittente a procedure concorsuali;

e) giudizio negativo del revisore legale o della società di revisione legale, ovvero impossibilità per il revisore legale o la società di revisione legale di esprimere un giudizio, per due esercizi consecutivi;

f) scioglimento dell'emittente;

g) sospensione dalle negoziazioni per una durata superiore a 18 mesi.

Considerazioni conclusive

La fuoriuscita di grandi imprese, addirittura multinazionali, dal mercato italiano è un fenomeno che fa riflettere. E' vero che in passato fenomeni di tal genere si sono sempre verificati ed è anche vero che il delisting è ormai diventato un fenomeno mondiale, soprattutto a causa del sempre crescente settore del private equity. Ma la velocità con la quale il fenomeno si sta verificando e la grande concentrazione di capitali che attraverso il delisting, o anche attraverso l'assoggettamento delle imprese di casa nostra a normative straniere, escono dal mercato italiano lasciano evidenti tracce non solo sul valore complessivo del mercato ma anche sull'economia nostrana in termini di impoverimento reale. Basti pensare all'indotto dei mercati finanziari ed al suo coinvolgimento di un numero considerevole di famiglie.

Una soluzione al problema potrebbe essere data dal completamento del mercato comune dei capitali, che avrebbe un significativo effetto sulla fuga dei capitali, se non altro verso il mercato europeo, o da incisivi interventi dell'UE contro l'arbitraggio fiscale e regolamentare, come suggerito da Piergaetano Marchetti e Marco Ventoruzzo (L'Economia - Corriere della Sera, 29 agosto 2022). La mia impressione è che il fenomeno sia alquanto sottovalutato e che non si scorga fino in fondo il suo reale impatto sulla vita di tutti i giorni. E' importante, a mio parere, rendere edotta l'opinione pubblica anche di fenomeni come quello testé trattato i quali, a ben vedere, la riguardano direttamente.

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