L'eccessiva durata di una s.r.l. non legittima il socio ad esercitare il diritto di recesso

Andrea Illuminati
14 Ottobre 2022

La Cassazione torna a interrogarsi in merito alla possibilità, per il socio di s.r.l., di recedere ad nutum nel caso in cui la società sia stata costituita con un termine di durata eccessivamente lungo.
Massima

In base a quanto disposto dagli articoli 2437 comma 3 e 2473 comma 2 c.c., rispettivamente in tema di recesso di s.p.a. e s.r.l., il diritto del socio di recedere dalla società a tempo indeterminato in qualsivoglia momento, salvo preavviso (c.d. recesso ad nutum), non trova applicazione qualora la durata della società sia eccessivamente lontana nel tempo.

Il caso

La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d'Appello che, accogliendo il gravame proposto avverso la decisione di primo grado, aveva ritenuto che il socio di una società a responsabilità limitata avesse il diritto di recedere dalla società ove quest'ultima fosse stata costituita con un termine di durata molto lungo.

In particolare, la Corte di Appello aveva ritenuto legittimo e conforme a quanto disposto dall'art. 2473, comma 2, c.c. l'esercizio del diritto di recesso da parte di un socio di una s.r.l. il cui termine statutario di durata (i.e., 2050) era stato giudicato eccessivo ed equiparabile ad una clausola di durata indeterminata.

La Cassazione – aderendo ad una interpretazione letterale e tassativa dell'art. 2473, comma 2, c.c. – ha negato la possibilità di operare la suddetta equiparazione e, sulla base di tali premesse, ha cassato senza rinvio la sentenza della Corte di Appello.

Le questioni e la soluzione giuridica

Il caso in esame ha portato nuovamente all'attenzione della Suprema Corte la questione inerente la corretta interpretazione dell'art. 2473, comma 2, c.c. (come risultante dalle modifiche apportate dalla riforma del diritto societario del 2003) che legittima il socio di s.r.l. all'esercizio del diritto di recesso in qualsiasi momento con un preavviso di almeno 180 giorni, nel caso in cui la società sia “contratta a tempo indeterminato” (l'atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore a un anno).

In particolare, nel caso di specie la questione verteva sulla possibilità, pur in assenza di un'espressa previsione normativa nel caso di una s.r.l., di applicare la disciplina del recesso prevista nel caso di società avente durata indeterminata alla fattispecie relativa al caso in cui la società abbia durata che ecceda la legittima aspettativa di vita del socio, attraverso un richiamo analogico al regime in materia di società di persone.

Con l'ordinanza in nota la Cassazione ha stabilito che, in base a quanto disposto dall'art. 2473 comma 2 c.c. in tema di s.r.l., il diritto del socio di recedere dalla società a tempo indeterminato in qualsivoglia momento, salvo preavviso (c.d. recesso ad nutum), non trova applicazione qualora la durata della società sia eccessivamente lontana nel tempo; e che analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento all'analoga disciplina prevista dall'art. 2437 comma 3 per le società per azioni.

Nella pronuncia de quo si promuove un'esegesi letterale delle disposizioni in commento, facendo leva su eminenti ragioni di tutela del ceto creditorio e di certezza del diritto per sostenere che nelle società di capitali il recesso ad nutum è contemplato solo per i casi di società con durata indeterminata, nulla disponendosi per il caso di durata superiore alla vita umana ovvero proiettata in un orizzonte temporale molto lontano.

La decisione in nota si pone in aperto e consapevole contrasto con l'indirizzo interpretativo inaugurato dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 9662 del 22 aprile 2013 che – mutuando la disciplina in materia di società di persone prevista dall'art. 2285 c.c. – aveva affermato in principio per cui la durata statutaria, nella fattispecie esaminata prevista per il 2100, potesse considerarsi assimilabile ad una durata a tempo indeterminato trattandosi di un'epoca così lontana “da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo”.

Osservazioni

In merito al diritto di recesso del socio da una s.r.l. occorre far riferimento all'art. 2473 c.c. il quale, al co. 1, nello riconoscere l'autonomia statutaria in ordine all'individuazione delle ipotesi di recesso, prevede che – a prescindere dalle previsioni pattizie – il diritto di recesso compete, in ogni caso, ai soci che non hanno consentito a una serie di ipotesi di modifiche della struttura societaria fra cui rientrano, a titolo di mero esempio, “la modifica dell'oggetto sociale quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società”, “la trasformazione della società [2498, 2500, 2500 ter, 2500 sexies, 2500 octies]”, “il trasferimento della sede sociale all'estero” et similia. Il successivo comma 2° stabilisce inoltre che, nel caso di società contratta a tempo indeterminato, il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni (elevabile fino ad un anno dallo Statuto).

Identiche previsioni sono inoltre stabilite anche in tema di diritto di recesso del socio di società per azioni (v. art. 2437 c.c.), la cui disciplina è del tutto analoga a quella delle società a responsabilità limitata.

La normativa passata in rassegna è, all'evidenza, espressione dello sfavor mostrato dall'ordinamento rispetto ai rapporti a tempo indeterminato ed ha la finalità di consentire al socio di disimpegnare il capitale investito in attività imprenditoriali suscettibili di durare a tempo indefinito.

In difetto di specifica previsione normativa ci si interroga sulla possibilità, pur in difetto di un'espressa previsione normativa nel caso di una s.r.l. (o di s.p.a.), di equiparare la fattispecie del recesso prevista nel caso di società avente durata indeterminata a quella relativa al caso in cui la società abbia durata che ecceda la legittima aspettativa di vita del socio, attraverso un richiamo analogico alla disciplina in materia di società di persone.

Secondo l'orientamento espresso dalla Suprema Corte con la nota sentenza n. 9662 del 22/04/2013, la disciplina sul recesso delle società di capitali a tempo indeterminato troverebbe applicazione anche a quelle con un termine di scadenza particolarmente lungo.

Come osservato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 8962 del 19 marzo 2019; Cass. n. 4716 del 21 febbraio 2020) e di merito (cfr. Trib. Milano, 19 giugno 2019, n. 5972), sulla base di considerazioni fatte proprie dalla ordinanza in nota, il principio di diritto affermato dalla S.C. con la citata sentenza del 2013 (non a caso rimasta isolata nel panorama giurisprudenziale) non risulta condivisibile, essendo questo fondato su di una assimilazione che non risulta ricavabile dal sistema normativo.

Al riguardo va premesso che sono certamente condivisibili le considerazioni espresse da Cass. n. 9962/2013 circa il favor riservato dalla riforma del 2003 all'istituto del recesso nelle società di capitali, in tale sede effettivamente disegnato:

  • come uno strumento per così dire “ordinario” di exit del socio di minoranza dissenziente rispetto a fattispecie di modificazioni statutarie, ben più ampie di quelle previste dal previgente art. 2437 c.c., ovvero rispetto ad altre vicende significative per l'assetto societario (art. 2437, commi 1, 2 e 3, c.c., art. 2437-quinquies c.c., art. 2497-quater c.c., art. 34 d.lgs. n. 5/03, art. 2355-bis, comma 2, c.c.; art. 2473, comma 1, c.c.);
  • come uno strumento negozialmente ampliabile oltre le fattispecie normative (art. 2437, comma 4, c.c.: “Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso”; art. 2473 c.c. primo comma “L'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità”);
  • come un contrappeso alla possibilità (non prevista prima della riforma del 2003) di una durata indeterminata delle società di capitali, in tale ipotesi la facoltà di recesso tutelando l'esigenza di disinvestimento del socio rispetto a un programma sociale non definito nel tempo e quindi passibile di bloccare l'investimento senza limiti temporali.

Tale favor non può peraltro portare ad una estensione dell'applicabilità delle norme in tema di recesso fuori dalle ipotesi specificatamente previste, trattandosi in ogni caso, come sottolineato in motivazione da Cass. n. 13875/17, di un istituto comportante la possibilità di un “depauperamento della società” e rispetto ai presupposti del quale va dunque preferita una “interpretazione restrittiva”, interpretazione da ultimo richiamata come doverosa in tema di recesso, sempre in motivazione, da Cass. n. 13845/19.

L'interpretazione estensiva degli articoli 2437 comma 3 e 2473 comma 2 c.c. seguita in particolare dal precedente di legittimità del 2013, dunque, da un lato si pone in contrasto con la necessità di interpretazione restrittiva in materia di recesso evidenziata dai più recenti orientamenti di legittimità e, dall'altro, si fonda su una ricostruzione sistematica nella quale è centrale il richiamo alla disciplina ex art. 2285 c.c. in materia di società di persone, secondo la quale “ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci”, norma che ad avviso della motivazione di legittimità in esame conforma “le società sul tempo di vita delle persone fisiche”.

Tale richiamo sistematico pare tuttavia di per sé non calzante, posta la profonda differenza strutturale tra le società di persone e società di capitali, in particolare quanto a rilevanza delle persone fisiche dei soci e dei creditori sociali del capitale sociale; differenza che non legittima l'utilizzabilità nel settore delle società di capitali di principi ricavabili dalla disciplina delle società di persone e ciò tanto più laddove il legislatore abbia dettato per i due tipi di enti norme diverse sulla stessa materia, come si verifica nel caso in discussione, nel quale il legislatore del 2003, pur dovendo avere ben presente la preesistente disciplina del recesso da società di persone contratte a tempo indeterminato o per tempo coincidente (o superiore) alla vita umana, ha specificatamente previsto per le spa e per le s.r.l. la facoltà di recesso dal socio solo nel caso di società contratte a tempo indeterminato, nulla disponendo per il caso di durata superiore alla vita umana ovvero a durata proiettata in un orizzonte molto lontano.

L'ulteriore argomentazione spesa da Cass. 9962/13 è poi basata sul carattere ritenuto “elusivo della disciplina ex artt. 2437 comma 3 e 2473 comma 2 c.c. di previsioni recanti una data di durata dell'ente “oltremodo lontana nel tempo”, previsione che avrebbe “l'effetto di far perdere qualsiasi possibilità di ricostruire l'effettiva volontà delle parti circa l'opzione fra una durata a tempo determinato o indeterminato della società. Cosicché tale indicazione si risolve o in un mero esercizio delimitativo che equivale nella sostanza al significato della mancata determinazione del tempo di durata della società ovvero in un sostanziale intento elusivo degli effetti che si produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato. Evidente in quest'ultimo caso la necessità di un intervento correttivo dell'interprete che garantisca il riconoscimento della tutela accordata dal legislatore al socio in una società che non preveda una determinazione del tempo della sua durata”. Il carattere elusivo, sempre secondo la motivazione in esame, potrebbe poi essere escluso solo “in presenza di un chiaro indicatore della riferibilità del termine finale di vita della società ad un orizzonte razionalmente collegato al progetto imprenditoriale che ne costituisce l'oggetto”.

Ebbene, anche a voler seguire, per mera ipotesi argomentativa, la ricostruzione per la quale la previsione di una durata “estremamente lunga” sia elusiva della disciplina in tema di recesso da società a tempo indeterminato, ci si scontra con la mancanza di un parametro oggettivo e predeterminato cui fare ricorso per valutare l'elusività.

Infatti, la valutazione della ragionevolezza del termine di durata rispetto ad un oggetto sociale che si riferisca – come accade nella quasi totalità dei casi – allo svolgimento di una data attività economica si risolve in un apprezzamento del tutto discrezionale dell'interprete, suscettibile di esiti contrastanti a seconda che la valutazione sia condotta rispetto alla tipologia dell'attività considerata in astratto ovvero rispetto alla ricostruzione della volontà dei soci nel dar vita all'ente e nel parteciparvi.

Si aggiunga che tale apprezzamento discrezionale (se non arbitrario) appare di per sé incompatibile con le esigenze di interpretazione oggettiva delle clausole statutarie, in particolare ricavabile dalla inopponibilità ai terzi di “elementi negoziali e vicende dei relativi rapporti societari che non siano ostensibili tramite l'accesso al Registro delle imprese, e nello specifico, non risultino esplicitati nello statuto” (cfr. Trib. Napoli, 16 maggio 2019).

Va sottolineata, in particolare, la necessità di assicurare carattere di certezza e univocità alle informazioni desumibili dalla consultazione degli atti iscritti nel registro delle imprese, senza imporre ai terzi un'attività di valutazione e interpretazione delle stesse connotata da un margine di opinabilità e, dunque, dall'esito non concludente, ed esporli ai rischi connessi alla indeterminatezza dei relativi dati; i terzi – e i creditori, in particolare – hanno interesse a conoscere in anticipo, al momento in cui contrattano con una società di capitali e per l'intera durata del loro rapporto con la stessa, il catalogo esatto delle ipotesi di recesso dei soci, in relazione alla potenziale distrazione di patrimonio netto dagli scopi dell'iniziativa e alla alterazione della generica garanzia del credito rappresentato dal patrimonio sociale; ancorare il diritto di recesso ad nutum all'aspettativa di vita residua del socio esporrebbe, dunque, il creditore alla necessità di effettuare accertamenti per definizione illiquidi e di monitorare costantemente la composizione della compagine sociale.

Conclusioni

Sulla base delle considerazioni che precedono, deve dunque ritenersi che le previsioni di legge circa il diritto del socio di recedere dalla società di capitali a tempo indeterminato in qualsivoglia momento, salvo preavviso, non trovi applicazione qualora la durata della società sia eccessivamente lontana nel tempo.

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