La posizione del terzo offerente non aggiudicatario a causa del tardivo versamento del saldo prezzo
17 Ottobre 2022
Massima
Nell'espropriazione forzata immobiliare, l'offerente non aggiudicatario è abilitato alla proposizione di opposizione agli atti esecutivi avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione, poiché terzo destinatario degli atti della procedura, interessato al regolare svolgimento di essa e, segnatamente, alla rimozione di atti (asseritamente non conformi alla legge) dai quali può subire pregiudizio. In difetto di espressa previsione normativa ad hoc, dall'omesso o tardivo versamento del saldo prezzo non deriva per l'aggiudicatario inadempiente alcun ostacolo alla formulazione di offerte (ed alla partecipazione alla gara) in successivi esperimenti di vendita compiuti anche nel medesimo procedimento espropriativo. Il caso
In una procedura di espropriazione immobiliare che vedeva la partecipazione di più creditori, il giudice dell'esecuzione pronunciava provvedimento di esclusione dall'esperimento di vendita nei confronti dell'offerente (figlia degli esecutati) non avendo quest'ultima corrisposto il saldo prezzo. Il bene veniva successivamente aggiudicato in favore di una società che poi provvedeva al versamento del saldo nel termine fissato. Il provvedimento di esclusione veniva tuttavia impugnato con opposizione agli atti esecutivi e, all'esito del relativo giudizio, il Tribunale adito, dichiarato il diritto della opponente di partecipare al subprocedimento di vendita dell'immobile staggito, revocava gli effetti dell'aggiudicazione nel frattempo disposta. Avverso tale decisione veniva proposto dalla società soccombente ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La questione
Il Collegio, pur rilevato che il ricorrente aveva omesso di convenire in giudizio i debitori esecutati, nonché i creditori intervenuti nella procedura espropriativa, litisconsorti necessari nell'incidentale giudizio di opposizione agli atti esecutivi, ritiene di non dover disporre l'integrazione del contraddittorio, a causa della manifesta infondatezza del ricorso. Ciò premesso, passa ad esaminare la questione relativa alla possibilità di proporre opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione di esclusione dell'offerente dalla gara, nonché quella concernente gli effetti derivanti dalla decadenza dall'aggiudicazione e, in particolare, la possibilità o meno per l'aggiudicatario inadempiente di partecipare ai successivi esperimenti di vendita. Le soluzioni giuridiche
Quanto al primo motivo di ricorso, attinente all'opponibilità del provvedimento di esclusione dell'offerente dalla gara, osserva la Cassazione che sono «impugnabili con il rimedio exart. 617 c.p.c. (o per vizi propri o per nullità derivate, cioè a dire per vizi propagati da atti pregressi) i provvedimenti del giudice dell'esecuzione che abbiano una concreta incidenza sullo svolgimento del processo esecutivo, ovvero un'astratta potenzialità lesiva per coloro che ne vengano a subire gli effetti». Partendo da tale assunto, allora, non pare dubbio che il provvedimento del g.e. di esclusione di un offerente dalla partecipazione ad un esperimento di vendita sia opponibile ex art. 617 c.p.c., in quanto idoneo a ledere il diritto del soggetto estromesso dal concorrere all'aggiudicazione del bene staggito, «quale ne sia la ragione giustificativa (e, quindi, anche in caso di dichiarazione di inammissibilità dell'offerta per vizi formali)». D'altronde, si osserva, l'opposizione agli atti esecutivi è ritenuta da sempre esperibile non solo dalle parti del processo esecutivo, ma anche da tutti i soggetti che, a vario titolo, risultino destinatari degli atti esecutivi o dei loro effetti (c.d. interessati); tra questi è possibile senz'altro annoverare l'offerente non aggiudicatario, trattandosi di un soggetto che, sebbene non rivesta la qualità di parte, deve ritenersi abilitato alla proposizione di opposizione agli atti esecutivi avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione, in qualità di terzo destinatario degli atti della procedura, «interessato al regolare svolgimento di essa e, segnatamente, alla rimozione di atti (asseritamente non conformi alla legge) dai quali può subire pregiudizio». Con riguardo alla doglianza concernente la natura del termine relativo al versamento del prezzo, la decisione in commento ne ribadisce il carattere perentorio (senza tuttavia prendere posizione sulla sua natura processuale o sostanziale); ribadisce pertanto la consolidata giurisprudenza secondo cui l'omesso o tardivo versamento del saldo prezzo determina non solo la decadenza dalla pregressa aggiudicazione dell'immobile, ma anche la perdita della cauzione, a titolo di multa, nonché la condanna nei confronti dell'aggiudicatario inadempiente al pagamento «della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita» nel caso in cui, negli esperimenti di vendita successivi a quelli rispetto al quale è stata pronunciata la decadenza, il bene sia aggiudicato per un prezzo inferiore a quello offerto dall'aggiudicatario inadempiente. Sennonché, ad avviso del Supremo Consesso, dall'omesso o tardivo versamento del saldo prezzo non è possibile desumere alcuna conseguenza ulteriore a quelle appena segnalate, con la conseguente possibilità per l'aggiudicatario inadempiente, in mancanza di un divieto specifico ad hoc, di partecipare al subprocedimento di vendita e di effettuare un'ulteriore offerta nei successivi esperimenti di vendita in esso indetti. A tale conclusione può giungersi a causa della «natura eccezionale e di stretta interpretazione delle norme, poste dal codice processuale (artt. 571, 579 cod. proc. civ.) o da disposizioni sostanziali (artt. 323, 378, 1471 c.c.), che sanciscono divieti di offrire o acquistare in vendita forzata», in quanto volte a limitare la libertà negoziale riconosciuta ad ogni individuo. Osservazioni
Come è noto, l'aggiudicatario del bene assoggettato ad espropriazione immobiliare è tenuto a versare il c.d. saldo del prezzo nel termine fissato dal giudice dell'esecuzione. Siffatto termine è ritenuto perentorio dalla giurisprudenza (v. per tutti Cass. Civ. 10 dicembre 2019, n. 32136) e dalla maggioranza della dottrina (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 276; Travi, voce Espropriazione immobiliare, in NN.D.I., VI, Torino, 1957, 914; Rizzi, sub art. 587 c.p.c., in Arieta-De Santis-Didone (a cura di), Codice commentato delle esecuzioni civili, Milano, 2016, 1376; contra Bongiorno, voce Espropriazione immobiliare, in Digesto/civ., VII, Torino, 1992, 58; Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 401), per cui esso non può essere abbreviato né prorogato; inoltre, il deposito ad opera dell'aggiudicatario dell'importo dovuto dopo lo spirare del termine stabilito per il versamento del prezzo ma prima dell'adozione del decreto con il quale il g.e. dichiara la decadenza dell'aggiudicatario non è idoneo a superare la decadenza ormai maturata. Difatti, come limpidamente osservato, «da un lato la parte non può porre rimedio alla decadenza nella quale è incorsa; dall'altro il giudice non può valutare discrezionalmente la condotta del soggetto obbligato dovendo semplicemente accertare se il versamento del prezzo vi sia stato o meno ovvero se sia stato tempestivo o tardivo» (Conforti, La decadenza dell'aggiudicatario nell'espropriazione immobiliare, in REF, 2021, 290 ss.). A seguito della declaratoria di decadenza dall'aggiudicazione, spetta al g.e., ai sensi dell'art. 587 c.p.c., disporre l'esperimento di un nuovo tentativo di vendita, il quale avrà luogo quale prosecuzione dell'esecuzione intrapresa contro il debitore, senza che possa rivivere la precedente aggiudicazione provvisoria. Di fronte a questo stato di cose, all'aggiudicatario inadempiente che intenda contestare il provvedimento declaratorio della decadenza dall'aggiudicazione non resta che proporre opposizione agli atti esecutivi; come da tempo la giurisprudenza afferma, infatti, trattandosi di un provvedimento esecutivo, avverso di esso è esperibile il rimedio di chiusura di cui all'art. 617 c.p.c., così mettendo fuori gioco l'utilizzabilità di altri strumenti impugnatori, quali il ricorso per cassazione (v. Cass. 31 agosto 2011, n. 17861) o il reclamo (Trib. Modena, 18 dicembre 2017). Si tratta invero di una soluzione condivisibile, considerata la tendenza da sempre manifestata in dottrina e in giurisprudenza ad attribuire alla nozione di atto opponibile ex art. 617 c.p.c. il significato più ampio possibile, tanto da ritenere compresi in essa, tendenzialmente, tutti gli atti e i provvedimenti attraverso i quali si snoda il processo esecutivo, con la sola salvezza dei c.d. atti prodromici o preparatori. Quanto a quest'ultimi, si tratta all'evidenza di atti incapaci di incidere sulla sfera dei soggetti interessati al regolare svolgimento della procedura, quali ad esempio il decreto di nomina di un ausiliario o il decreto di convocazione delle parti (per l'illustrazione dell'ampia casistica dei diversi atti opponibili in relazione alle diverse tipologie di esecuzione forzata, sia consentito rinviare a Metafora, Gli atti impugnabili con l'opposizione agli atti esecutivi ed i relativi vizi, in REF, 2019, 678 ss.). A questo progressivo allargamento dell'oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi ha fatto seguito nel corso degli anni l'ampliamento dei soggetti ad essa legittimati (sul punto, si vedano le fondamentali pagine di Oriani, L'opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 273 ss.). Pertanto, possono agire con il rimedio in discorso non solo le parti del processo esecutivo, ma anche qualunque soggetto destinatario di un atto o di un provvedimento esecutivo che abbia interesse a richiederne la rimozione (Vullo, sub art. 617, in Codice dell'esecuzione forzata, cura di Vullo, Piacenza, 2015, 900). L'accoglimento dell'opposizione in discorso pertanto condurrà alla caducazione dell'eventuale aggiudicazione eventualmente disposta; pertanto, il primo aggiudicatario resosi poi inadempiente potrà partecipare alle successive aste. Invero, il nuovo tentativo di vendita disposto dal giudice costituisce la prosecuzione dell'esecuzione in danno del debitore; è escluso, quindi, che si tratti di una vendita in danno dell'aggiudicatario (Corsaro, Bozzi, Manuale dell'esecuzione forzata, Milano, 1996, 386; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, IV, Il processo di esecuzione, Torino, 2008, 174). Se ciò è vero, in difetto di una norma che espressamente vieti all'aggiudicatario inadempiente di rendersi offerente in un successivo esperimento di vendita, ben potrà costui parteciparvi; d'altronde, recita l'art. 571 c.p.c., che «ognuno, tranne il debitore, è ammesso a offrire per l'acquisto dell'immobile pignorato»; analoga regola è contenuta nell'art. 579 del codice di rito. Insomma, in linea di principio la legittimazione all'atto di offerta ad acquistare in vendita forzata è riconosciuta ad “ognuno”, con la sola eccezione del debitore: dunque, poiché l'esclusione del debitore esecutato dalla legittimazione è eccezione a tale regola, la relativa norma deve considerarsi eccezionale e non applicabile analogicamente ad altri soggetti non espressamente previsti. D'altronde, l'offerente, nel formulare la propria proposta di acquisto, esplica un'attività negoziale, sebbene volta ad incidere sulla situazione processuale in essere nella vendita forzata. L'offerta di acquisto, in altre parole, configura una proposta di contratto non dissimile da quella modellata in sede sostanziale dall'art. 1326 c.c.: se ciò è vero, allora, poiché il divieto di acquisto in vendita forzata determina il sorgere di un limite all'esercizio della libertà negoziale che l'ordinamento attribuisce a ciascun consociato, le norme che limitano la partecipazione alle operazioni di vendita devono ritenersi di stretta interpretazione e, come tali, insuscettibile di interpretazione analogica (sul punto, v. amplius Cass. 13 febbraio 2019, n. 4149, in REF, 2019, 323 ss.). Appare allora più che condivisibile la soluzione offerta dalla decisione in epigrafe, la quale, correttamente, ribadisce il principio secondo cui in mancanza di una norma specifica sul punto è impossibile desumere a carico dell'aggiudicatario inadempiente il divieto di partecipare ai successivi esperimenti di vendita compiuti nel medesimo procedimento espropriativo. Se ciò è vero, va tuttavia ricordato che, come affermato di recente dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 15 novembre 2019, n. 29732, in questa Rivista), non spetta a tale soggetto, diversamente dal debitore esecutato, il diritto di ricevere la notificazione dell'avviso della successiva vendita, sebbene dall'esito della stessa dipenda la misura in cui egli sarà tenuto nei confronti della procedura ai sensi dell'art. 587, comma 2, c.p.c. Riferimenti
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