Rigide condizioni per riconoscere la legittimità del cash pooling nei gruppi di imprese

Ciro Santoriello
18 Ottobre 2022

La Cassazione Penale esamina il tema del c.d. cash pooling, nell'ambito di un procedimento per bancarotta fraudolenta patrimoniale, a carico dell'amministratore di una società fallita facente parte di un gruppo.
Massima

Nella valutazione dei trasferimenti di ricchezza infragruppo, giustificata mediante il richiamo alla pratica del cash pooling, intanto può accedersi ad una visione unitaria dei rapporti e dei saldi in quanto, sul piano formale, esista una precostituita e trasparente gestione finanziaria accentrata, e, sul versante sostanziale, sia esplicitata la vocazione funzionale di siffatta modalità di gestione alla massimizzazione, quantomeno in chiave proiettiva, della competitività delle società del gruppo. Ciò impone, da un lato, che se i trasferimenti infragruppo di denaro costituiscono modalità esecutive di un contratto, di tale negozio giuridico deve esservi adeguata traccia documentale e dall'altro che siffatto accordo si inscriva all'interno della logica dei c.d. vantaggi compensativi, propria dell'operatività di un gruppo di imprese.

Il caso

In sede di merito, l'amministratore di una società fallita era condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad operazioni distrattive disposte da quest'ultime e consistite nella cessione di crediti e trasferimenti di somme di denaro senza alcun titolo ad altre società riferibili sempre al medesimo imputato.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa lamentava che si trattava di società, compresa quella fallita, facenti parte di un medesimo gruppo di imprese e quindi quelli contestati a titolo di bancarotta erano leciti trasferimenti infragruppo, come risultante dai documenti prodotti dalla difesa dimostrativi - in tesi difensiva - dell'unitaria gestione dei rapporti finanziari e del saldo attivo finale che ne è conseguito.

Le questioni giuridiche

La decisione in commento esamina il tema del cd. cash pooling, espressione che indica un particolare tipo di accordo negoziale - che la dottrina ritiene integrare un contratto di conto corrente (in particolare, la dottrina prevalente riconduce lo stesso ad una particolare modalità di conto corrente non bancario, con elementi propri dei contratti di finanziamento, ove la causa mista e unitaria viene individuata specificatamente nella gestione della tesoreria di gruppo. Infatti, mentre il contratto di conto corrente segue lo schema di uno strumento per la gestione di crediti originati da un rapporto sottostante, distinto da quello di conto corrente, il cui oggetto, pertanto, è costituito dalla disciplina dei rapporti futuri ed eventuali, che potranno sorgere tra le parti, in virtù di altri atti giuridici, al contratto di cash pooling si aggiungono anche gli elementi tipici di un prestito in denaro, che viene attuato tramite il trasferimento di risorse finanziarie dai singoli conti periferici al conto corrente accentrato, gestito dal pooler. Ne consegue che il fondamento causale del negozio non è più solo la gestione dei rapporti che potranno sorgere tra le parti in virtù di altri atti giuridici, ma anche la gestione della tesoreria, secondo modalità tali da compensare, sebbene temporaneamente, le carenze di liquidità di taluni partecipanti con le disponibilità degli altri, al fine di evitare o ridurre il ricorso all'indebitamento bancario, il che costituisce, senza dubbio, la caratteristica di un negozio di finanziamento. Sul punto, cfr. MAUGERI, I finanziamenti "anomali" endogruppo, in Banca Borsa Tit. Cr., 2014, 1, 726; BALP, I finanziamenti infragruppo: direzione e coordinamento e postergazione, in Riv. Dir. Civ., 2012, 2, 329; RUGGERI, Brevi note circa il cash pooling, in N. Giur. Civ. Comm., 2011, 1, 206) - intercorrente fra diverse società (partecipants) appartenenti ad un medesimo gruppo societario ed in esecuzione del quale le suddette persone giuridiche si accordano e si impegnano nell'accorpare in capo ad un unico soggetto giuridico – detta società pooler e di regola individuato nella holding o nella finanziaria del gruppo di appartenenza - la gestione delle loro disponibilità finanziarie ed in particolare la loro liquidità ed i loro pagamenti

L'obiettivo di tale accordo è di realizzare una miglior gestione della tesoriera aziendale in relazione ai rapporti in essere tra le società aderenti al gruppo e gli istituti di credito, razionalizzando la gestione della liquidità del gruppo societario ed evitando le diseconomie, rappresentate specialmente da un disomogeneo rapporto delle singole società collegate con i diversi istituti bancari. Nell'ambito della gestione di società riunite in un gruppo infatti è possibile che, nel medesimo lasso temporale, mentre una di queste disponga di liquidità (sia in cash, secondo il gergo economico/finanziario) ed ottenga, dalla banca presso la quale detiene tali somme, una remunerazione per il deposito del proprio contante, un'altra società del gruppo si trovi nella situazione diametralmente opposta e debba essere dunque costretta ad attingere alle linee di credito concesse dalle banche, pagando quindi un tasso di interesse che di regola risulta più elevato rispetto al tasso di interesse di cui gode l'altra società del gruppo in cash; in questi casi, quindi, il gruppo nel suo complesso subisce le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla circostanza che il saldo economico e finanziario corrente fra tutte le società collegate e il “mondo bancario” è negativo: il ricorso al meccanismo di cash pooling è per l'appunto diretto a porre rimedio a tale situazione, consentendo il trasferimento dell'eccesso di liquidità della società in cash alla società pooler che potrà quindi disporne a favore della impresa che versa in una condizione di tensione finanziaria, evitando a quest'ultima il ricorso all'utilizzo delle linee di credito con il conseguente maggior costo.

Il cash pooling peraltro può assumere due forme assai diverse, dovendosi distinguere fra virtual cash pooling e effective cash pooling. Nel primo caso non si ha una effettiva movimentazione delle masse finanziarie, ma si realizza solo un accentramento virtuale della liquidità delle diverse azienda collegate per il tramite del ricorso ad un apposito software in grado di accentrare e compensare virtualmente i saldi dei vari conti delle participans su di un unico conto, anch'esso meramente virtuale; su tale conto unico si pongono in essere le registrazioni di compensazione ed il calcolo degli interessi in capo alla società pooler.

Nell'effective cash pooling, al contrario, si ha l'effettiva movimentazione del denaro dai conti periferici (detti participants) al conto di accentramento (master) in capo alla società pooler; quest'ultima poi provvederà a tutte le registrazioni di compensazione e al calcolo degli interessi. Nell'ambito di tale strutturazione aziendale è poi possibile (dando vita al cd. zero balance cash pooling, che rappresenta la modalità più nota e diffusa di cash pooling) che i diversi conti periferici vengano azzerati alla fine di ogni giornata lavorativa; in questo modo, da un lato all'inizio di ciascun giorno tutti i conti presentano un saldo effettivo di conto corrente pari a zero, e dall'altro, durante la giornata, in forza delle operazioni poste in essere dalle singole società, ogni conto corrente periferico potrà presentare un saldo positivo o negativo che alla fine della giornata verrà nuovamente trasferito al conto di compensazione.

Quali siano i rischi conseguenti all'adozione di una prassi di questo tipo è evidente. A prescindere dalle conseguenze fiscali derivanti da una tale strutturazione societaria (su cui, ex multis, MACCI – SCAPPINI, La gestione di tesoreria tramite il contratto di cash pooling, in Fisco, 2013, 1282) e le responsabilità civilistiche (peraltro escluse dalla dottrina - MAUGERI, I finanziamenti "anomali", cit., 726; BALP, I finanziamenti infragruppo, cit., 329 – e da alcune decisioni di merito - Trib. Milano sentenza n. 13179 del 2014), è sul piano penale che la pratica del pooling presenta forti criticità.

In termini astratti, è evidente che il trasferimento di liquidità dalle società in condizioni di floridità economica al pooler affinché questi destini il denaro così conferito al conto corrente accentrato a beneficio delle società del gruppo in situazione di tensione finanziaria, può assumere da un lato la connotazione di bancarotta fraudolenta per distrazione e, dall'altro, quando la società originariamente beneficiata dal sistema di cash pooling, saldi, per mezzo della gestione della tesoreria unica, il suo debito nei confronti delle consociate restituendo quando in precedenza ottenuto, si aprono gli spazi per una possibile contestazione di bancarotta fraudolenta preferenziale. Sono proprio queste le conclusioni che ha assunto la Cassazione nelle (non molte) occasioni in cui il sistema del cash pooling è venuto all'attenzione del giudice penale.

La Corte di legittimità, infatti, nelle cinque decisioni che hanno preceduto quella in commento ha sempre ritenuto che, in caso di fallimento di alcune delle società del gruppo interessate e coinvolte nella gestione unitaria della tesoreria, il conferimento della liquidità alla pooler non meritasse altra qualifica che quella di condotta distrattiva ingiustificata di parte del patrimonio aziendale (assoluta chiusura è espressa da Cass., sez. V, 1 marzo 2019, n. 22860, secondo cuiintegra distrazione rilevante il trasferimento di fondi alla capogruppo invocando l'attuazione di un sistema di tesoreria accentrata, atteso che nessun "sistema", comunque denominato o qualificato, giustifica il passaggio di risorse da una società ad un'altra, anche facenti parte dello stesso gruppo, in una situazione di conclamata sofferenza della società deprivata, senza garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, che sia rivolto a superare prioritariamente le problematiche dell'ente in sofferenza, e Cass., sez. V, dep. 30 luglio 2015, n. 33774, in cui è stato ritenuto sussistente il reato di cui agli artt. 216, comma 1 n., 1, 223, comma 1, R.D. n. 267 del 1942, in relazione al versamento da parte della società fallita alla pooler di una somma a titolo di fondo per la ristrutturazione, venendo poi tale contante trasferito nel patrimonio della controllante e utilizzato per costi della controllata solo per un importo minimo) ovvero, quando il trasferimento della liquidità in cash pooling non potesse assumere immediatamente una tale valenza di illecito “distacco” del denaro dal patrimonio aziendale, la partecipazione al sistema di gestione accentrata della tesoreria era qualificato quale “operazione dolosa” idonea a determinare il dissesto dell'impresa e dunque penalmente rilevante ai sensi dell'art. 223, comma 2 n. 2, R.D. n. 267 del 1942 (Cass., sez. V, dep. 25 marzo 2014, n. 14046. In senso parzialmente analogo, Cass., sez. V, dep. 2 luglio 2013, n. 28508).

Una qualche apertura si è registrata con Cass., sez. V, 5 aprile 2018, n. 34457 che, pur sottolineando la tendenziale rilevanza penale delle condotte che circondano la pratica in discorso, ha ritenuto che i pagamenti in favore della controllante possono eventualmente essere ricondotti all'operatività del contratto di cash pooling e non integrare quindi il reato di bancarotta preferenziale solo qualora ricorra la formalizzazione di tale contratto di conto corrente intersocietario, con puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo – finendo, tuttavia, per respingere comunque i ricorsi degli imputati volti a ricondurre i pagamenti preferenziali nell'ambito del contratto di cash pooling, rilevando che dai documenti della società fallita non risultava alcun formale contratto di tal genere, ma solo una prassi del gruppo societario tesa alla gestione delle risorse finanziare del gruppo nella maniera più utile per affrontare situazioni di criticità economica comuni).

Osservazioni

Il ricorso è stato giudicato infondata ritenendo che correttamente i giudici di merito avevano escluso l'esistenza di un rapporto organizzativo unitario tra le diverse società coinvolte nel “giro di denaro”.

A questa conclusione, la Cassazione perviene ritenendo non corretto richiamare, in relazione al caso di specie, il fenomeno del cd. cash pooling, di cui si è detto in precedenza. Dopo aver ricordato come la giurisprudenza reputi di regola illecite le operazioni di trasferimento di risorse finanziarie dai conti periferici delle società del gruppo a quello accentrato e amministrato dal pooler, che ne dispone a vantaggio della società che versi in stato di difficoltà, integrando siffatte condotte gli estremi della bancarotta fraudolenta per distrazione, ovvero della bancarotta preferenziale, qualora, invece, la società originariamente beneficiata dal suddetto meccanismo, saldi, per mezzo della gestione della tesoreria unica, il suo debito nei confronti delle consociate, restituendo quanto in precedenza ottenuto, la pronuncia evidenza come, nella valutazione dei trasferimenti di ricchezza infragruppo, intanto possa accedersi ad una visione unitaria dei rapporti e dei saldi in quanto, sul piano formale, esista una precostituita e trasparente gestione finanziaria accentrata, e, sul versante sostanziale, sia esplicitata la vocazione funzionale di siffatta modalità di gestione alla massimizzazione, quantomeno in chiave proiettiva, della competitività delle società del gruppo.

Queste conclusioni sono imposte dal principio consolidato secondo cui, al fine di escludere la natura distrattiva di un'operazione di trasferimento di somme da una società ad un'altra, non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo "gruppo", dovendo, invece, l'interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse di un gruppo, ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata. Alla luce di ciò, può ritenersi che, ai fini della valutazione di rilevanza penale delle rimesse sine titulo intercorse tra società collegate, occorre la dimostrazione della previa esistenza di rapporti di gestione unitaria, deliberati nella prospettiva fisiologica dell'attività del gruppo, sicché, quand'anche le operazioni compensative possono sembrare rivestire, se isolatamente considerate ed in relazione alle singole imprese, gli estremi di un fatto penalmente tipizzato, l'intera operazione di cash pooling può ritenersi inoffensiva in ragione dell'esistenza di compensazioni comunque realizzate in conseguenza della partecipazione della singola società apparentemente "depredata" al raggruppamento, secondo la logica dei vantaggi compensativi, essendovi evidenti benefici derivanti dal far parte di un gruppo di imprese legate da un rapporto di natura sinallagmatica.

A tal fine, secondo la Cassazione, s'appalesa necessario il ricorso di una duplice condizione: in primo luogo, i trasferimenti di risorse fra partecipants e pooler devono essere eseguiti in presenza di «una antecedente puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, dovendosi stipulare un contratto con indicazioni relative alle modalità e ai termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché alle modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare, ed anche all'ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto comune, alle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti ed all'eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell'attività di tesoriere». In sostanza, se i trasferimenti infragruppo di denaro costituiscono modalità esecutive di un contratto, di tale negozio giuridico deve esservi adeguata traccia documentale e, inoltre, la struttura e il contenuto negoziale devono essere completi e idonei a regolamentare in maniera ragionevole comportamenti che presentano un significativo grado di rischio per le condizioni economiche e patrimoniali delle società che vi partecipano, avendo cura di approntare un sistema di accordi e prestazioni che non risulti immotivatamente pregiudizievole per alcuna delle società del gruppo.

In secondo luogo, siffatto accordo deve inscriversi all'interno della logica dei c.d. vantaggi compensativi, propria dell'operatività di un gruppo di imprese, e in base alla quale operazioni che, isolatamente considerate, evidenziano margini di rischio per una persona giuridica, possono trovare giustificazione nei vantaggi che la medesima società riceve da scelte gestionali poste in essere a suo beneficio da altri enti del medesimo gruppo o dalla holding che dirige il raggruppamento di imprese. Più in particolare, se si accerta che l'atto di depauperamento non risponde all'interesse diretto della società il cui amministratore lo ha compiuto e che ne è scaturito nell'immediato un danno al patrimonio sociale, il medesimo amministratore deve provare sia l'esistenza di un gruppo di imprese, sia il rilievo per cui gli «ipotizzati benefici indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta, in guisa tale da non renderla capace di incidere sulle ragioni dei creditori sociali. E ciò in quanto l'interesse che può escludere l'effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso della partecipazione al gruppo, né può identificarsi nel vantaggio della società controllante, dovendo, invece, l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile» per reputare lecita l'attività temporaneamente svantaggiosa per la società impoverita.

Nel caso in esame, nessuno di questi profili emergeva dall'istruttoria e dunque il richiamo al profilo del cash pooling doveva ritenersi incongruo.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione si inscrive all'interno di un consolidato orientamento giurisprudenziale che, pur se non esclude ex se la tendenziale liceità del sistema di gestione unitaria della tesoreria di gruppo, ne confina l'operativitàin ambiti operativi decisamente ristretti.

In particolare, la Suprema Corte non nega i vantaggi e gli obiettivi che con il cash pooling le singole imprese (anche quelle apparentemente svantaggiate da tale forma di organizzazione aziendale) possono ottenere. Infatti, la società pooler può di gestire in modo ottimale i flussi di liquidità provenienti dalle varie società del gruppo, concedendo finanziamenti a tassi convenienti alle altre società e quindi per il tramite di tale struttura contrattuale è possibile tenere in adeguata considerazione le esigenze specifiche delle singole società collegate, con conseguente, immediato assolvimento delle esigenze di liquidità delle varie società da parte del pooler, con correlativa riduzione e controllo del margine di indebitamento del gruppo nel suo complesso, oltre che, infine, un significativo decremento del carico fiscale in capo alle società del gruppo. In quest'ottica, quand'anche le operazioni di compensazione possono sembrare rivestire, se isolatamente considerate ed in relazione alle singole imprese, estremi di un fatto penalmente tipizzato, l'intera operazione di cash pooling deve ritenersi inoffensiva in ragione dell'esistenza di compensazioni comunque realizzate in conseguenza della partecipazione al gruppo, secondo la logica dei vantaggi compensativi, essendovi evidenti benefici derivanti dal far parte di un gruppo di imprese legate da un rapporto di natura sinallagmatica.

Tale conclusione, tuttavia, non è ultimativa in quanto, come detto, la Cassazione indica due condizioni per poter rinvenire la presenza di un contratto di cash pooling – della cui ammissibilità i giudici di legittimità non paio nutrire dubbi – e non una illegittima prassi tesa alla gestione delle limitate risorse del gruppo stesso nella maniera più utile, al fine di limitare le conseguenze negative delle situazioni critiche, presentando le società nella maniera più vantaggiosa al fine di ottenere credito bancario.

In primo luogo, e si tratta presumibilmente del profilo meno problematico e della richiesta cui più facilmente possono prestare ossequio le singole imprese ed i soggetti che presiedono alla gestione del gruppo, i passaggi di denaro fra partecipants e pooler e viceversa devono essere eseguiti in presenza di una antecedente puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, dovendosi stipulare un contratto con indicazioni relative alle modalità e ai termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché alle modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare, ed anche all'ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto comune, alle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti ed all'eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell'attività di tesoriere.

Il punto più delicato è tuttavia un altro. Come si è visto, secondo la Cassazione intanto è possibile riconoscere la liceità di un contratto di cash pooling in quanto tale accordo si iscriva all'interno della logica dei cd. vantaggi compensativi propria dell'operatività di un gruppo di imprese ed in base alla quale operazioni che isolatamente considerate appiano pregiudizievoli per una persona giuridica possono trovare giustificazione nei vantaggi che la medesima società riceve da scelte gestionali poste in essere a suo vantaggio da altri enti del medesimo gruppo o dalla holding che dirige il raggruppamento di imprese (In proposito la bibliografia è imponente. Volendo limitare l'indicazione alle prime elaborazioni dottrinali del tema e con riferimento all'autore cui si deve principalmente l'elaborazione dell'argomento, e senza alcuna pretesa di completezza, MONTALENTI, Conflitto di interessi nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, Padova, 1999; ID., Conflitto di interesse nei gruppi di società eteoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, 710; Id., I gruppi di società, in Trattato di diritto commerciale, a cura di ABRIANI, AMBROSINI, CAGNASSO, MONTALENTI, IV, 1, Padova 2010, 1041; ID., Interesse sociale, interesse di gruppo e gestione dell'impresa nei gruppi di società, in La riforma del diritto societario dieci anni dopo, per i quarant'anni di Giurisprudenza Commerciale, in Quad. Giur. Comm., 2014, 388).

E' presumibilmente su questo aspetto che si “arenerà” il riconoscimento della irrilevanza penale del ricorso al cash pooling, posto che la giurisprudenza di legittimità richiede una rigorosa dimostrazione della diretta contropartita idonea a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta. In particolare, secondo la Cassazione, se si accerta che l'atto non risponde all'interesse diretto della società il cui amministratore lo ha compiuto e che ne è scaturito nell'immediato un danno al patrimonio sociale, il medesimo amministratore deve dimostrare innanzitutto l'esistenza di un gruppo alla luce della quale anche quell'atto è destinato ad assumere una coloritura diversa e quel pregiudizio a stemperarsi Cass., sez. V, 16 luglio 2018, n. 32654). In secondo luogo, è sempre sull'amministratore che grava l'onere di allegare e provare che gli ipotizzati benefici indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta, in guisa tale da non renderla capace di incidere (perlomeno nella ragionevole previsione dell'agente) sulle ragioni dei creditori della società e ciò in quanto l'interesse che può escludere l'effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso della partecipazione al gruppo, né può identificarsi nel vantaggio della società controllante, perché il collegamento tra le società e l'appartenenza a un gruppo imprenditoriale unitario è solo la premessa dalla quale muovere per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l'atto di disposizione del proprio patrimonio perdurando l'autonomia soggettiva delle singole società facenti parte del gruppo (Cass., sez. V, 2 novembre 2017, n. 50080).

E' proprio tale dimostrazione – ovvero, la circostanza che il sistema del cash pooling risponde non semplicemente agli interessi del gruppo complessivo ma garantisce direttamente la soddisfazione degli interessi della singola società della sorte del cui patrimonio si discute – ad essere particolarmente difficoltosa. Infatti, se è agevole dimostrare quali siano i benefici che l'accentramento della tesoreria garantisce al raggruppamento imprenditoriale riguardato in un'ottica unitaria, è assai più complesso dimostrare che la circolazione della liquidità fra le società del gruppo secondo le modalità del cash pooling ha soddisfatto in via diretta le esigenze della società poi entrata in crisi e sottoposta a procedura concorsuale. In sostanza, si potrebbe sostenere che il ricorso al cash pooling è un requisito essenziale per il funzionamento del gruppo di imprese, ma da tale tesi consegue necessariamente il riconoscimento che il vantaggio che la società pregiudicata dal conferimento della sua liquidità al pooler trae da tale trasferimento di disponibilità economiche è rappresentato solo dal funzionamento del gruppo di cui ella fa parte, ma, per l'appunto, è pacifico che per invocare la sussistenza dei vantaggi compensativi non è sufficiente allegare la mera partecipazione ad un gruppo societario, ovvero l'esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo, invece, l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata.

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