Terremoto L'Aquila: ritenuta incauta la condotta delle vittime

Redazione Scientifica
19 Ottobre 2022

Il Tribunale ha rilevato la sussistenza di un concorso di colpa in capo alle vittime del Palazzo sito in via Campo di Fossa, crollato durante il terremoto dell'Aquila, perché avrebbero dovuto abbandonare l'edificio subito dopo le prime due scosse, evitando in tal modo la morte.

Il Tribunale de L'Aquila ha rilevato la sussistenza di un concorso di colpa in capo alle vittime del Palazzo sito in via Campo di Fossa, crollato durante il terremoto de L'Aquila, perché avrebbero dovuto abbandonare l'edificio subito dopo le prime due scosse, evitando in tal modo la morte.

La sentenza stabilisce una computazione di minore responsabilità a carico del costruttore dell'edificio ( 4%, benché l'opera fosse stata realizzata in violazione delle norme antisismiche), del Ministero delle Infrastrutture (15%) e del Ministero dell'Interno (15%), che rivestivano compiti di controllo in merito alla sicurezza dell'edificio e un aggravio della responsabilità a carico delle vittime, computata nella misura del 30% e da cui discende una riduzione del risarcimento a favore dei familiari.

A seguito del crollo del Palazzo di via Fossa, avvenuto la notte del 6 aprile 2009, i familiari di alcune vittime avevano agito in giudizio contro il Ministero delle Infrastrutture, la Prefettura dell'Aquila, il Comune de L'Aquila e gli eredi del costruttore, chiedendo la condanna al risarcimento dei panni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla morte dei familiari e ritenuta conseguenza della costruzione dell'edificio in violazione delle norme antisismiche e all'utilizzo di materiali non adeguati.

Secondo il difensore di parte attrice: «il collasso dell'edificio è imputabile a gravi vizi di progettazione e di costruzione nonché a carenze nel calcestruzzo, come documentato dalle consulenze tecniche espletate come documentato dalle consulenze tecniche espletate nell'ambito del procedimento penale avviato dalla Procura di L'Aquila». Da ciò discende «la responsabilità per la realizzazione di una costruzione difforme dalle prescrizioni normative all'epoca vigenti ed incapace di resistere all'azione di un sisma non avente carattere anomalo o eccezionale».

Viene attribuita al Ministero dei Trasporti e alla Prefettura la responsabilità di non aver adeguatamente adempiuto ai propri doveri di vigilanza e controllo in materia edilizia e al Comune la responsabilità per aver rilasciato il certificato di abitabilità dell'edificio nonostante la difformità esistente tra il fabbricato realizzato e quello assentito.

Con riferimento proprio alle responsabilità del Ministero delle Infrastrutture, i giudici hanno richiamato la relazione dei due ingegneri, da cui risulta che «il progetto strutturale e la relazione di calcolo presentate al ‘Genio Civile' al fine di verificare la conformità alla normativa antisismica fossero entrambi assai carenti, con una marcata sottostima delle azioni simiche previste dalla normativa all'epoca vigente e dei carichi reali presenti sull'edificio, tali da renderlo particolarmente vulnerabile proprio dal punto di vista sismico, in particolare nella direzione traversale, proprio quella nella quale si manifestò il collasso. Ciò attesta come il crollo sia imputabile all'inosservanza della normativa antisismica da applicarsi ed alla negligenza del ‘Genio Civile', che invece certificava la conformità di progetti e connessa costruzione alla predetta normativa».

Dalla relazione dei due ingegneri risulta anche «una anomala disgregazione delle strutture in cemento armato, imputabile alla scorretta posa in opera del materiale» e che «la correttezza della miscelazione del conglomerato e delle operazioni di getto e ripresa dello stesso conglomerato nel corso dei lavori sono determinanti per garantire la sua resistenza e durata. In particolare, la miscelazione ed il getto/ripresa debbono essere eseguiti in modo da assicurare l'omogeneità dell'impasto delle varie componenti del conglomerato (omogeneità necessaria perché esso possa poi avere le caratteristiche di resistenza e durevolezza sue proprie) nonché in modo da assicurarne la perfetta compattazione nelle casseforme (indispensabile per espellere l'aria). Ove tali operazioni non siano correttamente eseguite, il conglomerato perde le sue capacità di resistenza e durevolezza nel tempo, sostanzialmente divenendo assai più fragile. La scorrettezza delle operazioni di miscelazione, getto/ripresa e compattazione determina una serie di fenomeni denominati sedimentazione (i componenti più pesanti del conglomerato precipitano in basso, separandosi dagli altri) e bleeding (separazione dell'acqua dall'impasto), e quando entrambi tali fenomeni si verificano, essi danno luogo ad un ulteriore fenomeno, denominato segregazione».

Inoltre, «tali fenomeni sono stati riscontrati in numerosi pilastri dell'edificio ed alla loro base, nonché in corrispondenza di nodi travi/pilastro» ed «essi, con particolare riguardo alla sedimentazione alla base di vari pilastri del livello garage, hanno avuto un ruolo determinante nel collasso dell'edificio».

Peraltro, «il fenomeno di sedimentazione alla base dei pilastri è risultato essere immediatamente visibile e percettibile», tanto da ritenere «particolarmente grave la mancata vigilanza e controllo in cantiere durante la lavorazione».

Deve escludersi, invece, che «il sisma possa configurare un'ipotesi di forza maggiore», quale causa unica del crollo dell'edificio. «Appare sufficiente osservare che gli edifici attigui, sia in muratura che in cemento armato, pur subendo danni più o meno estesi, non hanno subito un collasso radicale».

Per quanto concerne la responsabilità del costruttore, ai giudici appare evidente che questi «ha proceduto alla realizzazione delle strutture in cemento armato compiendo errori di miscelazione, getto/ripresa e compattazione».

Al tempo stesso l'ingegnere incaricato della Prefettura de L'Aquila «non ha rilevato quegli errori benché resi evidenti dai gravi fenomeni di sedimentazione presenti alla base dei pilastri» e su tale base «la licenza d'uso è poi stata emessa dalla Prefettura».

Viene, invece, respinta, la richiesta di risarcimento nei confronti del Comune de L'Aquila, considerando che «il controllo a detto ente demandato dalla disciplina prevede un controllo meramente formale circa l'esistenza delle autorizzazioni di competenza del ‘Genio Civile' e della Prefettura», sicché non è ravvisabile alcuna omissione a carico del Comune.

Tuttavia, pur riconoscendo le responsabilità in capo tanto al costruttore quanto ai due Ministeri citati in giudizio, il Tribunale ha attribuito loro un minor grado di responsabilità, ritenendo che la condotta incauta delle vittime avesse comportato una loro esposizione a maggior rischio durante il sisma, che sarebbe stato evitabile lasciando l'edificio subito dopo le prime scosse, invece di restare nei propri appartamenti.

Secondo i giudici «ha costituito obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire in casa – così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall'edificio al verificarsi della scossa più forte — nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile, concorso che, tenuto conto dell'affidamento che i soggetti poi defunti potevano riporre nella capacità dell'edificio di resistere al sisma per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi nel corso dello sciame sismico da mesi in atto, può stimarsi in misura del 30%».

Da ciò discende una riduzione proporzionale del credito risarcitorio per i familiari, pur stimato complessivamente in un milione di euro.

In conclusione, la quota di responsabilità ascritta a ciascun Ministero è del 15%, mentre il restante 40% di responsabilità viene attribuito agli eredi del costruttore.

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