Il sindacato del giudice di merito sul patto di quota lite

Redazione scientifica
24 Ottobre 2022

In tema di compenso professionale e patto di quota lite, il giudice di merito non può sottrarsi al compito di verificare se i criteri concordati dalle parti comportano un'evidente sproporzione del corrispettivo professionale rispetto all'opera professionale prestata.

Un avvocato otteneva decreto ingiuntivo per il pagamento del compenso professionale dovuto da una società sulla base di una scrittura privata di conferimento di incarico. Gli ingiunti hanno proposto opposizione chiedendo, tra l'altro, la riduzione ad equità della clausola di determinazione del corrispettivo contenuta nella scrittura, integrante un patto di quota lite, in considerazione della manifesta sproporzione tra l'opera prestata e il compenso pattuito. Il Tribunale ha dichiarato inammissibile l'opposizione, ma il provvedimento è stato cassato con rinvio. Riassunto il processo, l'opposizione è stata nuovamente respinta. La questione è dunque tornata all'attenzione della Cassazione.

I ricorrenti lamentano l'erroneità della pronuncia di merito, laddove il giudice ha ritenuto di non poter valutare la congruità del compenso frutto della libera negoziazione tra le parti. Configurando invece un patto di quota lite, l'iniquità poteva essere rilevata in giudizio.

Secondo la Corte la doglianza è fondata. Dall'esame del contenuto del contratto professionale risulta infatti che l'incarico conferito riguardava la partecipazione ad un'asta per l'acquisto di alcuni cespiti immobiliari, sul cui prezzo era calcolato in percentuale il compenso del professionista. Il giudice di merito, avrebbe dovuto tener conto del perfezionamento di un patto di quota lite e valutare se il compenso pattuito fosse equo e proporzionato rispetto all'impegno profuso dal difensore. Come ricorda la pronuncia «tali pattuizioni, vietate in modo assoluto dall'art. 2233 c.c., comma 3, nella sua originaria formulazione, sono divenute lecite in base alla modifica di cui al d.l. n. 223 del 2006, art. 2, convertito con l. n. 248 del 2006, che ha stabilito l'abrogazione delle disposizioni legislative che prevedevano, tra l'altro, "il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti"». Successivamente, con «la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense introdotta dalla l. 31 dicembre 2012, n. 247, si è esplicitamente previsto il divieto dei patti "con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa"». Considerando che la norma mira a proibire la conclusione di accordi iniqui, come recentemente stabilito da questa Corte «il controllo sulla meritevolezza del patto di quota lite deve aver riguardo all'eventuale “squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti ed alla giustificazione dei reciproci spostamenti patrimoniali, e, dunque, alla verifica in concreto del requisito causale (la "ragion d'essere dell'operazione", valutata nella sua individualità) sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti (Cass. n. 28914/2022)». In altre parole, l'eventuale nullità del contratto per incongruità del patto di quota lite sarebbe oggetto di rilievo e indicazione da parte del giudice di merito, che non può sottrarsi al compito di verificare se i criteri concordati dalle parti comportano un'evidente sproporzione del corrispettivo rispetto all'opera professionale prestata.

Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa l'ordinanza impugnata con rinvio.

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