Responsabilità della società in caso di infortuni sul lavoro

Ciro Santoriello
21 Ottobre 2022

Le indicazioni della Cassazione.
Massima

Il principio dell'autonomia della cognizione giudiziale, affermato per escludere che l'assoluzione di uno degli imputati del reato presupposto determini automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente, deve ritenersi applicabile anche quando uno o più imputati del reato presupposto vengano separatamente condannati nelle more del procedimento per l'irrogazione delle sanzioni di cui al d.lgs. n. 231 del 2001 con la conseguenza che la sentenza pronunciata in diverso procedimento e passata in giudicato nei confronti dell'autore del reato sarà utilizzabile ai fini della prova dei fatti in essa accertati, nel distinto giudizio nei confronti dell'ente, solo a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, c.p.p. (principio affermato con riferimento all'ipotesi in cui il processo nei confronti della persona fisica è stato definito, in sede di giudizio di impugnazione, con il concordato di cui all'art. 599-bis c.p.p.).

Necessario presupposto per l'applicabilità dei criteri oggettivi di imputazione all'ente dei reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica è che l'«interesse» o il «vantaggio» possano essere apprezzati con specifico riguardo alla condotta realizzata in violazione delle regole cautelari in ragione della finalizzazione della condotta della persona fisica a procurare al soggetto sopraindividuale un risparmio di spesa o, almeno, un effetto di "massimizzazione della produzione.

Il caso

In sede di merito, due società erano condannate per l'illecito da reato di cui all'art. 25-septies d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione al delitto di cui all'art. 589 c.p. commesso dagli organi apicali degli enti predetti. La vicenda riguardava un'operazione di pulitura e sostituzione della flangia di attacco dei tank container contenenti sostanze fortemente tossiche e pericolose, la cui inalazione aveva determinano la morte di 5 dipendenti della società cui l'attività era stata demandata.

In particolare, una delle due società era imputata in ragione della condotta del proprio amministratore il quale aveva subappaltato la suddetta prestazione di pulitura e sostituzione della flangia di attacco alla ditta cui appartenevano cinque delle sei vittime, sebbene questa non avesse né i titoli prescritti dalla legge, né capacità tecnica e professionale proporzionata nonché omesso di consegnare al subappaltatore la "scheda dati sicurezza", redatta dal produttore relativa all'agente chimico trasportato (zolfo allo stato fuso), e nella quale era indicata anche la situazione di pericolo costituita dalla probabile presenza di idrogeno solforato; si era ritenuto che tale scelta fosse stata posta in essere nell'interesse e ad vantaggio della società gestita dall'imputato. L'altro ente era stato coinvolto in quanto gli apicali dello stesso, pur essendo perfettamente a conoscenza dei rischi derivanti dall'immagazzinamento dello zolfo fuso nei tank containers, per la inevitabile presenza di acido solfidrico liberatosi dallo zolfo durante il trasporto a caldo, avevano omesso di fornire alla ditta cui appartenevano i soggetti deceduti le doverose informazioni sia in ordine alla tipologia del prodotto contenuto nelle predette cisterne, sia in ordine al pericolo per le persone di venire in contatto con lo stesso, ed avevano violato gli obblighi di verifica della capacità tecnica del soggetto cui le cisterne sarebbero state affidate per il lavaggio.

Fra i molteplici motivi di ricorso, per quanto di interesse in questa sede, si segnala che una società, cui era imputata la scelta di subappaltare le operazioni di pulizia, lamentava di non aver percepito vantaggi economici dal subappalto, perché si è limitata a chiedere alla società proprietaria delle cisterne l'esatto importo ad essa richiesto dall'impresa subappaltatrice per l'espletamento del subappalto. L'altro ente, invece, denunciava, accanto alla mancanza del requisito dell'interesse o del vantaggio, il mancato approfondimento in ordine alla sussistenza del reato presupposto in quanto la sentenza impugnata si sarebbe limitata a rappresentare come «accertata incidentalmente» la responsabilità degli amministratori per avere costoro in sede di appello presentato concordato con rinuncia ai motivi mentre l'ente non aveva rinunciato ad alcuno dei suoi motivi ed il concordato ex art. 599-bis c.p.p. configura una scelta processuale inidonea ad incidere sulla posizione sostanziale e processuale di altri soggetti.

La questione

Il tema della definizione dei requisiti di interesse e vantaggio è stato affrontato più volte, tanto in dottrina che in giurisprudenza (Cass. pen., sez. IV, 23 maggio 2018, n. 38363; Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014. n. 38343. In dottrina, Selvaggi, L'interesse dell'ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, Napoli 2006).

Nel senso che per i delitti colposi, la sussistenza dell'interesse dell'ente si deve accertare in relazione alla condotta colposa e non all'evento verificatosi, per cui l'interesse può essere correlato anche ai reati colposi d'evento, rapportando i due criteri indicati dal citato art. 5 non all'evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del delitto, mentre l'evento andrebbe ascritto all'ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari Cass. pen., sez. IV, 5 febbraio 2021, n. 4480; Cass. pen., sez. IV, 26 ottobre 2020, n. 29854 (in dottrina, Santoriello, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2008, 1, 161; ID., I requisiti dell'interesse e del vantaggio della società nell'ambito della responsabilità da reato dell'ente collettivo, ivi,2008, 3, 49).

Con riferimento ai benefici, rilevanti ex d.lgs. n. 231/2001, ricavabili dalla violazione colposa della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, si è menzionato 1) lo svolgimento di una attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto (da ultimo, Cass. pen., sez. IV, 5 febbraio 2021, n. 4480; Cass. pen., sez. IV, 26 ottobre 2020, n. 29854), 2) nel risparmio di spesa inerente all'ammodernamento ed alla messa a norma degli impianti, 3) nella mancata adozione delle doverose misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni e malattie professionali (Cass. pen., sez. IV, 17 dicembre 2015, n. 2544), 4) nella prosecuzione dell'attività funzionale alla strategia aziendale ma non conforme ai canoni di sicurezza, 4) nella accelerazione dei tempi di lavoro (Cass. pen., sez. II, 10 luglio 2015, n. 29512, in Mass. Uff., n. 264231; Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2020, n. 13575). Nel senso che la responsabilità dell'ente possa sussistere anche quando l'ente abbia tratto dalla vicenda un vantaggio anche minimo, Cass. pen., sez. IV, 7 aprile 2022, n. 13218 che però richiede che si riscontri che già prima dell'infortunio a carico del dipendente l'attività aziendale si caratterizzava per una sostanziale inosservanza delle prescrizioni presenti nel d.lgs. n. 81/2008, le cui disposizioni venivano più volte violate dai vertici aziendali; più rigorosa la posizione di Cass. pen., sez. VI, 8 giugno 2021, n. 22256 secondo cui ricorre il requisito dell'interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni de/lavoratore, ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un'utilità per la persona giuridica e la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche è l'esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa in materia di prevenzione.

Quanto al profilo rappresentato dalla necessità di un compiuto accertamento circa la sussistenza del reato presupposto è stato affrontato in giurisprudenza con riferimento alle ipotesi considerate dall'art. 8 d.lgs. n. 231/2001, dispone che fa riferimento a circostanze in cui i procedimenti verso la persona fisica e quello de societate non “corrano” parallelamente. In particolare, la citata disposizione, al primo comma, ipotizza l'ipotesi in cui il procedimento nei confronti della società si svolga in assenza di un giudizio avverso l'autore del reato, ed al secondo comma prevede l'ipotesi in cui la società sia sottoposta a processo pur non essendosi individuato l'autore del reato presupposto: in entrambi i casi, tuttavia, è consentita la punibilità della persona giuridica anche nei casi in cui non sia stato individuato l'autore del reato presupposto.

Alla luce di questa disposizione in alcune pronunce ci si limita a richiedere che, a fondamento della responsabilità dell'ente collettivo, venga posto un generico accertamento circa l'esistenza del reato «inteso come tipicità del fatto, accompagnato dalla sua antigiuridicità oggettiva, con esclusione della sua dimensione psicologica» (Cass. pen., sez. II, 24 maggio 2016, n. 26304) e sulla base di questa affermazione la Cassazione ritiene che possa parlarsi di una responsabilità da reato della società anche quando la mancata individuazione dell'autore del fatto illecito abbia precluso l'accertamento dell'elemento soggettivo del reato (Cass. pen., sez. II, 24 maggio 2016, n. 26304), oppure quando non è stata individuata la categoria di appartenenza del medesimo - se si tratti cioè di un soggetto apicale ovvero di un dipendente -, affermando infine che anche il profilo attinente alla circostanza che l'illecito si stato commesso a vantaggio o nell'interesse dell'ente potrebbe essere accertato in assenza di una compiuta individuazione della persona fisica responsabile del diritto.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso relativo alla tematica processuale riguardante l'accertamento del reato presupposto quando un tale approfondimento sia mancato nell'ambito del procedimento nei confronti delle persone fisiche asseritamente responsabili del delitto fondante la colpevolezza dell'ente è stato accolto.

Questa censura derivava dalla circostanza che nei confronti degli apicali dell'impresa, responsabili delle violazioni cautelari presupposto della responsabilità della società, era stata pronunciato sentenza all'esito di concordato di pena ex art. 599-bis c.p.p., ma tale decisione non poteva esplicare alcuna efficacia di giudicato nei confronti della società, ma rilevare solo a norma dell'art. 238-bis c.p.p.

Più volte, la giurisprudenza ha esaminato con riferimento alla responsabilità da reato degli enti, gli effetti conseguenti alla separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati del reato presupposto per effetto della scelta di riti alternativi, evidenziando come tale circostanza non incida sulla contestazione formulata nei confronti dell'ente né riduce l'ambito della cognizione giudiziale (Cass. pen., sez. VI, 25 luglio 2017, n. 49056). Infatti, l'illecito da cui deriva la responsabilità della persona giuridica costituisce una fattispecie complessa, in cui il reato è solo uno degli elementi, in concorso necessario con quelli costituiti dalla qualifica soggettiva della persona fisica che lo commette, siccome soggetto apicale o subordinato dell'ente, e dall'interesse o dal vantaggio per quest'ultimo; quindi, in ragione di questo carattere articolato e composito di tale fattispecie ascrittiva, nel processo nei confronti dell'ente la commissione del delitto presupposto dovrà essere verificata dal giudice di merito alla stregua della integrale contestazione dell'illecito dipendente da reato formulata nei confronti dell'ente e, pertanto, indipendentemente dalle legittime scelte processuali degli imputati che possano aver precluso la celebrazione del simultaneus processus nei confronti dei responsabili del reato e dell'ente per l'illecito ad esso collegato.

Il principio dell'autonomia della cognizione giudiziale, affermato per escludere che l'assoluzione di uno degli imputati del reato presupposto determini automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente, deve ritenersi applicabile anche quando uno o più imputati del reato presupposto vengano separatamente condannati nelle more del procedimento per l'irrogazione delle sanzioni di cui al d.lgs. n. 231/2001 ed in questo senso importanti indicazioni sono desumibili dalle disposizioni in materia di efficacia di giudicato delle sentenze emesse dal giudice penale, cui spetta anche la cognizione della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

Da un lato, in effetti, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231/2001 mira ad assicurare il più possibile il c.d. simultaneus processus nei confronti dell'ente e dell'autore del reato di riferimento, ma nulla prevede con riguardo alla efficacia delle sentenze irrevocabili pronunciate nei confronti di uno solo dei due soggetti ma a fondamento del principio dell'autonomia della cognizione giudiziale - che esclude l'efficacia di giudicato nei confronti dell'ente alla pronuncia irrevocabile di condanna emessa separatamente a carico dell'autore del reato – sta l'ineludibile necessità di assicurare tanto all'ente quanto alla persona fisica la possibilità di esercitare tutte le facoltà rientranti nel loro diritto di difesa, senza subire ingiustificate limitazioni derivanti dalle scelte processuali dell'altro soggetto.

Dall'altro, le disposizioni del codice di rito sul giudicato, applicabili anche al processo nei confronti degli enti, a norma dell'art. 34 d.lgs. n. 231/2001, attribuiscono alla sentenza penale irrevocabile di condanna una efficacia vincolante irretrattabile solo con riguardo a vicende diverse da quelle considerate nella decisione in esame, ed a soggetti che abbiano potuto esercitare pienamente il diritto di difesa all'interno del processo nel quale si è formato il giudicato. Precisamente, l'art. 651 c.p.p. prevede che la sentenza penale irrevocabile abbia efficacia di giudicato «nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale»; l'art. 653 c.p.p. riconosce l'efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile di condanna nel giudizio di responsabilità disciplinare, tra l'altro facendo implicitamente, ma inequivocabilmente riferimento solo a quello nei confronti del condannato in sede penale; l'art. 654 c.p.p., pur di portata più generale, contempla l'efficacia di giudicato della sentenza irrevocabile di condanna «[n]ei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale»; infine, ai fini della individuazione del significato dell'intervento indicato dagli artt. 651 e 654 c.p.p., non va trascurato che l'art. 575 c.p.p. riconosce al responsabile civile la possibilità di proporre autonomamente impugnazione con i «mezzi» attribuiti dalla legge all'imputato.

Dato il principio dell'autonomia della cognizione giudiziale, nell'ipotesi in cui i due procedimenti siano trattati ab origine o proseguano separatamente, dovrà essere osservato il regime previsto dagli artt. 238 e 238-bis c.p.p. Ne discende che la sentenza pronunciata in diverso procedimento e passata in giudicato nei confronti dell'autore del reato sarà utilizzabile ai fini della prova dei fatti in essa accertati, nel distinto giudizio nei confronti dell'ente, solo a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, c.p.p. ed analoga conclusione va assunta quando il processo nei confronti della persona fisica sia definito, in sede di giudizio di impugnazione, con il concordato di cui all'art. 599-bis c.p.p. In quest'ultimo proposito, va ricordato che la giurisprudenza esclude l'effetto estensivo del concordato in appello ai coimputati, sottolineando il profilo marcatamente personale dell'istituto previsto dall'art. 599-bis citato perché non può comportare nemmeno in astratto un contrasto con altri giudicati, in quanto è istituto che si fonda sull'accordo e configura una scelta processuale.

Queste considerazioni comportano, secondo la Cassazione, la necessità di qualificare la decisione impugnata come carente di motivazione in ordine alla sussistenza del reato presupposto della responsabilità della società in quanto i giudici di merito hanno ritenuto che per la motivazione in ordine a tale profilo fosse sufficiente richiamare la sentenza di appello pronunciata ai sensi dell'art. 599-bis c.p.p. nei confronti dei vertici aziendali.

Più complesso ricostruire il contenuto della sentenza con riferimento alla sussistenza dei profili dell'interesse e del vantaggio. Sul punto, la pronuncia ricorda i principi che la giurisprudenza ha elaborato in tema di criteri di imputazione oggettiva per i reati colposi di evento ed in base ai quali le nozioni di interesse e vantaggio a) sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post; b) da valutare entrambi avendo come termine di riferimento la condotta e non l'evento; c) l'interesse ed il vantaggio possono consistere in un risparmio di spesa o in una massimizzazione della produzione, derivante anche dal minor tempo di realizzazione dei lavori; d) non rileva per esclude la responsabilità amministrativa l'esiguità del vantaggio o la scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi, così come può essere rilevante anche una trasgressione isolata dovuta ad un'iniziativa estemporanea, senza necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l'interesse dell'ente (per quest'ultima affermazione, Cass. pen., sez. IV, 24 marzo 2021, n. 12149).

Sulla scorta di queste affermazioni, diverse sono le conclusioni assunte con riferimento alle due società imputate e che entrambe avevano lamentato la mancanza di un interesse o di un vantaggio nella violazione della normativa in tema di sicurezza.

Con riferimento alla società che aveva subappaltato i lavori di pulizia dei carri merci, la Cassazione, condividendo le conclusioni dei giudici di merito, ha riconosciuto l'esistenza del vantaggio nel corrispettivo conseguito (non per la bonifica dei tank, il cui corrispettivo, una volta ricevuto, venne poi “girato” integralmente alla subappaltatrice dei lavori) per il trasporto delle cisterne dallo scalo ferroviario fino all'impianto della società subappaltatrice incaricata della pulizia, nonché per il viaggio di ritorno». Inoltre, la sentenza in commento evidenzia come tale vantaggio economico vada messo in correlazione con il complessivo comportamento del legale rappresentante della società imputata inteso a procurare a quest'ultima un documentato aumento di fatturato ed un ampliamento dei settori di operatività per effetto della gestione di un'attività in violazione di regole cautelari in materia di tutela di salute e sicurezza sul lavoro, stante l'affidamento in subappalto di tale attività ad una impresa sprovvista di qualunque idonea competenza ed alla quale non furono fornite neppure le informazioni sui rischi.

Diverse le conclusioni assunte nei confronti dell'altra azienda, cui era imputato di aver deciso di utilizzare per nuove operazioni di trasporto, concernenti l'acido solforico, le cisterne già utilizzate per la vettura di zolfo fuso, disponendo di conseguenze che le stesse venissero dapprima pulite da parte di dipendenti di altra azienda – operazione di pulizia che, come detto, determinava il decesso di quanto si adoperavano in tal senso. La previsione contrattuale dell'impiego per il trasporto di acido solforico delle cisterne previamente utilizzate per il trasporto di zolfo, previa modifica e bonifica e non invece mediante nuove cisterne, secondo i giudici di merito avrebbe comportato un risparmio rispetto ai costi necessari per il rinnovo totale delle cisterne, scelta che avrebbe certamente ridotto al minimo se non addirittura eliminato il pericolo di commistione tra residui di zolfo ed acido ed evitato l'evento.

La Cassazione ha accolto il ricorso in parola. Nella decisione si premette che vi è un preciso presupposto per l'applicabilità dei criteri oggettivi di imputazione all'ente dei reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica: l'«interesse», come anche il «vantaggio», deve essere apprezzato con specifico riguardo alla condotta realizzata in violazione delle regole cautelari. In altri termini, l'«interesse» dell'ente alla commissione del reato, che rileva a norma dell'art. 5 d.lgs. n. 231/2001, è quello alla commissione di una condotta in violazione delle regole cautelari, in ragione della finalizzazione della stessa a procurargli un vantaggio.

La sentenza impugnata, tuttavia, si fonda su una valutazione dell'interesse che omette di correlare lo stesso alla violazione di una congrua regola cautelare. Infatti, i giudici di merito hanno sostenuto che la condotta in violazione delle regole cautelari, alla commissione quale andava apprezzato l'«interesse» dell'ente, fosse quella consistita nel «prevedere contrattualmente l'impiego per il trasporto di acido solforico delle cisterne previamente utilizzate per il trasporto di zolfo, previa modifica e bonifica e non invece mediante nuove cisterne ma senza esporre alcun elemento utile per spiegare perché, nella specie, fosse rilevabile una regola cautelare che impediva in assoluto l'impiego delle cisterne già utilizzate per il trasporto dello zolfo allo stato fuso anche per la vettura di acido solforico. Inoltre, la sentenza impugnata, nell'affermare l'«interesse» della società alla commissione del reato, non ha tenuto conto della condotta che essa ha posto a fondamento della responsabilità dei suoi esponenti cui non è mai stata contestata, quale comportamento rimproverabile e rilevante ai sensi dell'art. 59 c.p., la stipulazione del contratto prevedente il riutilizzo delle cisterne, ma, invece, e del tutto diversamente, essendosi avuto riguardo al comportamento integrato dall'invio del tank container senza la prestazione delle informazioni in ordine alla tipologia del prodotto contenuto nei precisati veicoli, ed al conseguente pericolo per le persone di venire in contatto con lo stesso, nonché al comportamento integrato dal consenso all'affidamento delle operazioni di pulizia di tali mezzi di trasporto ad un soggetto senza verificarne l'abilitazione e la capacità tecnica.

Osservazioni

Con riferimento alle problematiche connesse all'accertamento circa la sussistenza del reato presupposto quando il procedimento de societate sia diverso (o meglio si svolga separatamente) rispetto a quello che interessa gli eventuali autori del delitto, la sentenza in commento si pone in posizione divergente rispetto alla lettura che la giurisprudenza prevalente fornisce dell'art. 8 d.lgs. n. 231/2001.

La dottrina ha sottolineato come questa previsione debba essere applicata in casi assolutamente sporadici (Vinciguerra, La struttura dell'illecito, in Vinciguerra – Ceresa Gastaldo – Rossi, La responsabilità dell'ente per il reato commesso nel suo interesse, Padova 2004, 13), ritenendosi indispensabile per pervenire alla condanna la persona giuridica la previa individuazione del soggetto persona fisica che ha realizzato reato presupposto. In primo luogo, non è indifferente l'identità dell'autore dell'illecito alla luce di quanto previsto dalle lett. a) e b) dell'art. 5 del decreto n. 231 in quanto, a seconda che responsabile per il reato sia ritenuto un soggetto posto in posizione cosiddetta apicale o un soggetto sottoposto all'altrui direzione, mutano l'onere della prova circa la sussistenza della colpa organizzativa, l'incidenza causale dell'omessa vigilanza sulla condotta delittuosa e la possibilità di escludere l'inosservanza degli obblighi di vigilanza in caso di adozione ed attuazione del modello organizzativo – gestionale; in secondo luogo, si consideri come l'individuazione dell'autore del reato sia essenziale per decidere se applicare o meno le sanzioni interdittive, in quanto solo per i reati commessi da persone soggette all'altrui direzione esse sono disposte quando «la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative», secondo quanto dispone l'art. 13, comma 1, lett. a) del decreto; si consideri ancora come dalla identificazione del reo possano «derivare conseguenze per la valutazione della gravità del fatto dell'ente, nell'ambito della quale gravità rientra anche il grado di colpevolezza dell'autore del reato».

Anche il giudizio circa la sussistenza della circostanza che il reato sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente richiede che il giudice penale accerti il singolo responsabile dell'illecito, non foss'altro per comprendere la ragione della condotta criminosa, così accertando che la stessa è stata tenuta (esclusivamente o unitamente ad altre ragioni) al fine di avvantaggiare la società di appartenenza.

Alla luce di queste ragioni, si è affermato che in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell'art. 8, comma primo, lett. b) d.lgs. n. 231/2001, deve comunque procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso, con verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Cass. pen., sez. VI, 9 ottobre 2020, n. 28210).

Assai importante è anche una precisazione che la decisione formula con riferimento alla tematica inerenti alla verifica della sussistenza dei requisiti di interesse o vantaggio dell'ente. Dopo un richiamo a principi consolidati in materia, la Cassazione fa registrare una affermazione che rappresenta una significativa novità giacché afferma che «l'"interesse" dell'ente alla commissione del reato, che rileva a norma dell'art. 5 d.lgs. n. 231/2001, è quello alla commissione di una condotta in violazione delle regole cautelari, in ragione della finalizzazione della stessa a procurargli un vantaggio». In questo modo la Cassazione raggiunge un duplice risultato, giacché non solo richiede che i giudici di merito indichino con precisione a quale violazione di carattere cautelare vada ricollegata la dichiarazione di colpevolezza dell'ente, ma impediscano anche che una società possa essere condannata in virtù del suo versare in re illicita: alla luce dell'affermazione suddetta non è infatti sufficiente che nell'attività imprenditoriale risultino non rispettate prescrizioni antinfortunistiche ma occorre altresì che sia proprio da tali inosservanze (e non genericamente dallo svolgimento dell'attività imprenditoriale) che germini il vantaggio per l'ente ovvero che siano proprio tali violazioni a rappresentare l'interesse della società che il singolo intendeva perseguire con la sua condotta criminale.

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