Sale and lease back e Ias

24 Ottobre 2022

Una recente pronuncia della Cassazione si è concentrata sulle modalità di contabilizzazione delle plusvalenze derivanti dal contratto di sale and lease back, alla luce del principio contabile IAS 17.
Massima

Le modalità di contabilizzazione delle plusvalenze derivanti dal contratto di sale and lease back sono stabilite dal principio contabile IAS 17. Sebbene questi princìpi contabili non si applichino ai soggetti che non se ne avvalgono per la redazione del bilancio - cd. soggetti non IAS adopters -, non vi è ragione per discostarsi dai relativi canoni generali, non espressamente derogati dalla legislazione tributaria, e, anzi, tradotti in una puntuale norma di legge aderente alla sostanza del negozio. In tema di determinazione del reddito d'impresa, la plusvalenza ottenuta dalla cessione di un bene in forza di contratto di “sale and lease back”, contratto socialmente tipico con causa finanziaria, diversa da quella del contratto di vendita, è ripartita, in applicazione dell'art. 2425 bis c.c., in funzione della durata del contratto di locazione.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate ricorreva per Cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che ne aveva respinto l'appello contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale, la quale, in accoglimento del ricorso introduttivo, aveva annullato un avviso di accertamento, per il 2010, che rettificava il reddito della società contribuente sul presupposto che la plusvalenza, derivante da un contratto di sale and lease back dell'immobile sociale, dovesse essere ripartita nell'arco di cinque anni, come previsto dall'art. 86, comma 4, Tuir, in tema di tassazione delle plusvalenze da cessione a titolo oneroso di beni immobili, anziché di quindici anni, pari alla durata della locazione finanziaria secondo la disciplina dell'art. 2425-bis, c.c.

Secondo la Commissione Tributaria Regionale il sale and lease back è un negozio giuridico unitario, nel quale la vendita è collegata con la locazione finanziaria, come confermato anche dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e dai documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, come, ad esempio, la Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 77/E/2017, la quale precisa che l'art. 83 Tuir, novellato dall'art. 13-bis, d.l. 30 dicembre 2016, n. 244 (applicabile comunque, anche per la CTR, per le annualità successive al 2016), estende ai soggetti che redigono il bilancio secondo il codice civile le nuove modalità di rappresentazione contabile e di determinazione del reddito imponibile previste per i soggetti IAS/IFRS adopter.

La medesima imputazione temporale prevista per l'operazione di sale and lease back in ambito civilistico, secondo i giudici di secondo grado, assumeva pertanto rilevanza anche ai fini fiscali.

La questione

Nell'adire la Corte di Cassazione, con il primo motivo di ricorso, l'Amministrazione finanziaria deduceva la violazione dell'art. 83 Tuir, nella versione anteriore all'art. 13 bis, comma 2, lett. a, n. 1, e comma 5, d.l. n. 244/16, conv. in L. n. 19/17, e la falsa applicazione della stessa norma, come vigente successivamente a tale novella.

L'Agenzia delle Entrate censurava la sentenza impugnata, che, a suo avviso, aveva erroneamente applicato al caso di specie il novellato art. 83 Tuir, non operando tale previsione nella fattispecie concreta, ben anteriore al 1.1.16, data di entrata in vigore della norma.

Con un secondo motivo di impugnazione, l'Agenzia deduceva poi la violazione dell'art. 36 comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546/92, censurando l'apparenza della motivazione della sentenza impugnata, che, in primo luogo, richiamava la nuova formulazione dell'art. 83 Tuir, ratione temporis non applicabile al caso di specie; e, in secondo luogo, era comunque contraddittoria, laddove, pur ravvisando il carattere unitario dell'operazione finanziaria, ne riconosceva poi la tassabilità, in maniera gradata, per competenza, senza considerare che l'intera plusvalenza (tassabile) si realizzava con il trasferimento immobiliare.

Con il terzo motivo di ricorso, infine, si censurava la violazione degli artt. 86, comma 4, e 109, commi 1-2, Tuir, e falsa applicazione dell'art. 2425-bis c.c., deducendo in particolare l'Agenzia la erroneità della sentenza impugnata, che, in applicazione dell'art. 2425-bis, c.c., aveva ritenuto legittimo che la plusvalenza derivante dall'operazione di sale and lease back fosse “spalmata” sull'intera durata quindicennale del leasing, senza però considerare che la disposizione codicistica non ha rilevanza fiscale, essendo stata aggiunta dal legislatore ai soli fini di redazione del bilancio.

La correlazione, nell'operazione in esame, della causa traslativa con quella di finanziamento non impediva del resto, secondo l'Amministrazione finanziaria, la rilevanza della prima (la causa traslativa), ai fini dell'applicazione dell'art. 86 Tuir, posto che si era comunque in presenza di una cessione a titolo oneroso.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte, il primo motivo di impugnazione non era fondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che la sentenza impugnata non si fondava sull'applicabilità al caso di specie della nuova formulazione dell'art. 83 Tuir, anzi esplicitamente esclusa.

Il giudice tributario di merito aveva invece rilevato che anche i documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria (che menzionano il novellato articolo 83) affermano che la plusvalenza generata dall'operazione di sale and lease back è ripartita in funzione della durata della locazione finanziaria, simmetricamente al criterio di iscrizione del medesimo componente positivo di reddito sancito dall'art. 2425-bis, quarto comma, cod. civ.

A tale riguardo, dando seguito alla giurisprudenza della Corte (Cass. 15/07/2020, n. 15024 e Cass. 27/04/2021, n. 11053), la Cassazione esprime dunque il principio di diritto per il quale «Le modalità di contabilizzazione delle plusvalenze derivanti dal contratto di sale and lease back sono stabilite dal principio contabile IAS 17 (International Accounting Standards), in vigore dal 1° gennaio 2005. Gli IAS sono ispirati al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma (cfr. d.m. 1° aprile 2009, n. 48, art. 2, comma 2) e fatti propri dal regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio (relativo all'applicazione di princìpi contabili internazionali), del 19 luglio 2002, richiamato, a sua volta, dall'art. 83, t.u.i.r., ai fini della determinazione del reddito complessivo imponibile. Sebbene questi princìpi contabili non si applichino ai soggetti che non se ne avvalgono per la redazione del bilancio (cd. soggetti non IAS adopters), non vi è ragione per discostarsi dai detti canoni generali, non espressamente derogati dalla legislazione tributaria, e, anzi, tradotti in una puntuale norma di legge aderente alla sostanza del negozio (art. 2425-bis, quarto comma, cod. civ.)».

Era dunque a questa ultima norma civilistica che la CTR si era, correttamente, richiamata; senza alcuna applicazione ante tempus dell'art. 83 del Tuir.

Anche il secondo il motivo di ricorso, del resto, secondo la Cassazione, non era fondato.

Affermano a tal proposito i giudici che, per ius receptum (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679), «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione».

E nel caso concreto, diversamente da quanto sosteneva l'ufficio finanziario, una motivazione esisteva, avendo la CTR illustrato con sufficiente chiarezza le ragioni del proprio convincimento.

Infine, sempre secondo la Suprema Corte, anche il terzo motivo di impugnazione non era fondato, essendo il dictum del giudice tributario di appello in linea con la giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass. 15/07/2020, n. 15024, Cass. 19/11/2020, n. 26343, Cass. 20/10/2021, n. 29236, Cass. 27/04/2021, n. 11023, Cass. 22/06/2021, n. 17710), alla quale andava data continuità, secondo cui «In tema di determinazione del reddito d'impresa, la plusvalenza ottenuta dalla cessione di un bene in forza di contratto di “sale and lease back”, contratto socialmente tipico con causa finanziaria (quindi diversa da quella del contratto di vendita), è ripartita, in applicazione dell'art. 2425 bis c.c., in funzione della durata del contratto di locazione».

Osservazioni

A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini generali giova infine anche evidenziare quanto segue.

E' in questi casi corretto riportare la questione nell'alveo delle regole di redazione del bilancio dettate dal codice civile, valevoli comunque, di norma, anche in ambito fiscale.

E questo anche considerato che le variazioni fiscali obbligatorie rispetto al conto economico non possono che essere unicamente quelle previste in esecuzione delle disposizioni del Tuir, come stabilisce esplicitamente anche l'art. 83, d.p.r. n. 917/1986.

Va dunque sempre utilizzato un approccio ermeneutico in sintonia con quanto stabilito, in tema di ammortamento, dai principi contabili nazionali,la cui impostazione giuridico-formale non si discosta dall'orizzonte economico-sostanziale tratteggiato dai principi contabili internazionali, considerando anche che, stante la previsione dell'art. 2426, comma 1, n. 2, c.c., l'ammortamento deve essere necessariamente improntato a criterio di sistematicità (cfr., Cass. 14/10/2015, n. 20680; Cass. 17/10/2014, n. 22016).

In conclusione, la finalità delle norme che disciplinano l'ammortamento è quella di garantire la corretta rappresentazione del reddito d'impresa, assicurando l'esatta determinazione della base imponibile.

E la Corte di Cassazione ha del resto più volte affermato, il principio (ribadito anche nella pronuncia in commento) secondo cui, ai fini della determinazione del reddito di impresa, la deduzione delle quote di ammortamento deve avvenire in base alle inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio, operanti, in difetto di disposizioni specifiche di segno contrario, anche a fini fiscali.

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