Stato di crisi dell'impresa e rilevanza criminogena della sua tardiva emersione

25 Ottobre 2022

La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dal ricorso presentato avverso una sentenza della Corte di Appello di Bologna e - in ragione delle censure mosse dai ricorrenti - consente di soffermarsi sugli elementi costitutivi dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale; bancarotta semplice e, infine, semplice documentale.
Le massime

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, le condotte di distrazione si sostanziano in un distacco dal patrimonio dell'impresa di beni cui è data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori e la prova del reato può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell'imprenditore, della destinazione dei beni medesimi.

In tema di bancarotta semplice, l'aggravamento del dissesto punito dagli artt. 217, comma 1, n. 4, 219 e 224 l.fall. deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di liquidazione giudiziale, sempre conseguente a colpa grave, della complessiva situazione economico-finanziaria dell'impresa poi assoggettata a liquidazione giudiziale, non essendo sufficiente ad integrarlo il solo aumento di alcune poste passive.

In tema di bancarotta semplice documentale, il cui oggetto è individuato nelle sole scritture obbligatorie, è estraneo al fatto tipico descritto dall'art. art. 217, comma 2, l.fall. il requisito dell'impedimento della ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari dell'impresa assoggettata a liquidazione giudiziale, il quale invece costituisce l'evento del reato di bancarotta fraudolenta per irregolare tenuta delle scritture contabili di cui all'art. all'art. 216, comma 1, n. 2, l.fall.

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della suprema Corte origina dal ricorso presentato dagli imputati avverso una sentenza della Corte di Appello di Bologna che aveva affermato la loro responsabilità, quali amministratori di diritto e di fatto di una società a responsabilità limitata, per i seguenti reati:

1) bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1) e 223 l. fall. per avere distratto somme di denaro da un conto corrente societario, destinandole ad uso privato dell'amministratore o ad esso riconducibile;

2) bancarotta semplice di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4) e 224 n. 1) l. fall. per avere aggravato il dissesto della società astenendosi dal richiederne la dichiarazione di liquidazione giudiziale nonostante la sua insolvenza fosse ormai conclamata;

3) bancarotta semplice documentale di cui agli artt. 217, comma 2, e 224 n. 1)l.fall. per non avere aggiornato i registri obbligatori e la documentazione contabile.

Tra le censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare come le difese contestassero la sussistenza del più grave reato di bancarotta fraudolenta in quanto i prelievi di denaro ritenuti ingiustificati sarebbero stati, in realtà, di modico importo e comunque effettuati per ragioni sociali, e dubitassero dell'esistenza dell'aggravamento del dissesto in quanto la condotta degli amministratori sarebbe stata invece caratterizzata da diligenza tanto da soddisfare i crediti dei dipendenti e dei fornitori; infine, ritenessero difettare la tipicità della bancarotta semplice documentale in quanto le scritture non tenute o comunque mal tenute non sarebbero state prescritte dalla legge né avrebbero impedito la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Le argomentazioni difensive, così in sintesi riassunte, erano ritenute infondate dalla Corte di Cassazione, peraltro in un più ampio quadro di carenza dei ricorsi sotto il profilo della loro “autosufficienza”, con la conseguenza che questi ultimi erano dichiarati inammissibili.

La questione e le soluzioni giuridiche

In ragione delle menzionate censure mosse dai ricorrenti appare dunque delinearsi un'analisi concernente gli elementi costitutivi dei reati contestati e segnatamente della bancarotta: a) fraudolenta patrimoniale; b) semplice; c) ed infine semplice documentale.

1. In riferimento alla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, nel caso al vaglio la Corte di Cassazione non dubita che l'effettuazione di prelievi di somme di denaro dai conti correnti della società assoggettata a liquidazione giudiziale in assenza di contabilizzazione di parte di essi e per l'altra parte con destinazione delle somme per soddisfare finalità diverse da quelle sociali costituisca condotta tale da integrare detto reato.

2. Quanto al reato dibancarotta semplice patrimoniale, il cui fatto tipico postula l'aggravamento del dissesto dell'impresa astenendosi dal richiederne la dichiarazione di liquidazione giudiziale o con altra grave colpa, la Corte ricorda come (il solo) aumento di alcune poste passive non sia sufficiente ad integrare tale aggravamento. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte territoriale aveva correttamente ritenuto sussistente il reato contestato in ragione del fatto che la società, a fronte di un fatturato ormai inesistente e di bilanci neppure fedeli, aveva debiti, chiaramente produttivi di interessi, per circa 15 milioni di euro verso l'Agenzia delle Entrate e per un milione di euro verso istituti di credito ed in più non aveva rispettato un piano di rientro con uno di questi ultimi istituti, con le conseguenze da ciò derivanti, anche sul piano dell'elemento soggettivo, relativamente ad una piena consapevolezza da parte dei ricorrenti dello stato di dissesto dell'impresa. Né degna di rilievo poteva ritenersi la considerazione che gli amministratori sarebbero stati “diligenti” con il personale dipendente e con i fornitori avendo provveduto a corrispondere quanto loro dovuto, ciò non eliminando l'esistenza del dissesto né il suo aggravamento.

3. Quanto infine al reato di bancarotta semplice documentale, prive di pregio sono state ritenute le argomentazioni dei ricorrenti secondo cui le scritture mal tenute non sarebbero state “obbligatorie” e che, comunque, il citato disordine contabile non avrebbe impedito la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; quanto al primo motivo di ricorso emergeva come fosse stato tenuto in modo incompleto anche il libro degli inventari, il quale costituisce scrittura sicuramente prescritta dalla legge ai sensi dell'art. 2214 c.c. e, quanto al secondo, ricorda la Corte come il menzionato requisito dell'impedimento della ricostruzione del volume d'affari o del patrimonio del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale, ancorché nel caso di specie tale ricostruzione fosse avvenuta da parte del curatore con difficoltà, non sia elemento costitutivo del reato in esame bensì costituisca evento del più grave reato di bancarotta fraudolenta documentale. In proposito ricorda ancora la suprema Corte come la bancarotta semplice documentale, punendo il comportamento omissivo del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale che non ha tenuto le scritture contabili, rappresenti un reato di pericolo presunto e costituisca fattispecie posta dal legislatore con la finalità di evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, perseguendo la finalità di consentire ai creditori l'esatta conoscenza della consistenza patrimoniale sulla quale possano soddisfarsi. La fattispecie, pertanto, consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale - il comportamento imposto all'imprenditore dall'art. 2214 c.c. - integra un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno
per i creditori.

Osservazioni

Le conclusioni appena riassunte cui è giunta la suprema Corte, invero condivisibili, non danno luogo ad alcun particolare novum interpretativo in merito a quanto sostenuto.

Appare chiaro infatti come la destinazione di un bene al fine di soddisfare esigenze diverse da quelle sociali determini una diminuzione indebita del patrimonio dell'imprenditore assoggettato a liquidazione giudiziale, conseguendone un nocumento alle ragioni creditorie giacché detto patrimonio ne costituisce garanzia secondo il principio generale di cui all'art. 2740 c.c.

Né a conclusioni difformi può giungersi in riferimento alla parte di prelievi di denaro non contabilizzata, giacché è noto come la prova certa della pregressa esistenza del bene nel patrimonio del debitore, il suo mancato rinvenimento e l'inadempimento da parte di questi, allorché assoggettato a liquidazione giudiziale, dei numerosi obblighi informativi sulla consistenza e destinazione del proprio patrimonio, tra cui quelli concernenti gli stringenti obblighi di tenuta delle scritture contabili acquistino la consistenza di indizi rilevanti induttivamente ai sensi dell'art. 192, comma 2, c.p.p. ai fini della prova della distrazione.

Anche in riferimento alle contestate fattispecie di bancarotta semplice la suprema Corte non si allontana da principi consolidati: Certo l'infedeltà dei bilanci, l'assenza di fatturato e una rilevante posizione debitoria verso creditori istituzionali ed istituti di credito non potendo che condurre, qualora l'attività d'impresa comunque prosegua, ad aggravare il dissesto già manifestatosi; inoltre appare indubbio come il libro degli inventari sia scrittura obbligatoria e come l'avere impedito la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari non sia elemento costitutivo del reato di bancarotta semplice documentale.

Il caso sotteso alla sentenza qui in commento appare tuttavia di significativo interesse in quanto trattasi di vicenda paradigmatica in ipotesi di crisi d'impresa.

Tale ultima situazione, ora definita positivamente dall'art. 2 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 nello “stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”, qualora non emerga tempestivamente e sia affrontata e risolta, eventualmente anche prendendo atto dell'inesistenza delle condizioni per proseguire utilmente l'attività imprenditoriale, risulta - oltre che dannosa per i creditori, tra cui l'erario, e tale da ledere la leale concorrenza tra imprese -criminogena.

Non è chi non veda, infatti, come nel tentativo di proseguire comunque tale attività nonostante lo stato di crisi, l'imprenditore possa risolversi a compiere una pluralità di condotte, che finiscono per assumere carattere di tipicità, le quali, almeno medio tempore, permettano di raggiungere il fine.

Tale tipicità si sostanzia, com'è noto, nel ricorso al credito, anche rovinoso, in qualsivoglia tentativo di sopravvalutare il patrimonio dell'impresa, con frequenza “gonfiando” il magazzino o comunque tramite l'alterazione delle scritture e dei bilanci con l'inserimento di false poste attive od omettendone la dovuta svalutazione ovvero ancora, nell'ambito di una precisa continuità e contiguità aziendale, beneficiando un diverso soggetto giuridico avente causa, generalmente all'uopo costituito, ad esclusivo vantaggio di questi ed evidentemente in danno del dante causa, ormai irrimediabilmente destinato all'insolvenza. Parimenti tipiche appaiono le condotte costituite dal finanziarsi, di fatto, decidendo di soddisfare per ultimi i creditori meno pressanti, quali per l'appunto quelli istituzionali, dando invece priorità a quelli, quali i dipendenti, i fornitori e gli istituti di credito finanziatori, le cui prestazioni sono indispensabili per non interrompere la citata prosecuzione dell'attività imprenditoriale.

Pur comprendendosi come si tratti di scelte in realtà miopi, nel caso al vaglio si sono verificate proprio situazioni analogheed invero gli amministratori della società, gravata da ingenti debiti verso l'erario e le banche, ed incapaci ormai di produrre utili, proseguivano comunque l'attività imprenditoriale alterando i bilanci e provvedendo a pagare soltanto dipendenti e fornitori.

Né in proposito appare arbitrario ipotizzare, anche se ciò non pare essere stato oggetto di approfondimento nel corso delle indagini, come le descritte condotte degli imputati potrebbero integrare anche altri reati, ovvero:

1) la bancarotta da reato societario di cui all'art. 329, comma 2, lett. a) d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (già art. 223, comma 2, n. 1), l. fall.) per avere cagionato o comunque aggravato il dissesto della società tramite la commissione del reato di false comunicazioni sociali disciplinato dall'art. 2621 c.c., con ogni probabilità l'infedeltà dei bilanci della società sottoposta a liquidazione giudiziale avendo consentito di proseguire l'attività d'impresa senza prendere atto, al contrario, che sarebbe stato necessario provvedere alla ricapitalizzazione della società, alla sua liquidazione o alla richiesta per l'appunto di liquidazione giudiziale;

2)la bancarotta impropria per avere cagionatoil dissesto della società per effetto di operazioni dolose di cui all'art. 329, comma 2, lett. b), d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (già art. 223, comma 2, n. 2), l. fall.) in ragione del sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie, previdenziali ed assistenziali (bancarotta c.d. fiscale).

Va salutata quindi con favore l'entrata in vigore del nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza di cui al più volte citato d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, i cui obiettivi precipui sono costituiti, oltre che dal garantire maggiore efficienza alle procedure concorsuali, proprio dal favorire la tempestiva emersione dello stato di crisi.

In proposito, tra l'altro, appare condivisibile la scelta legislativa di estendere l'obbligatorietà della segnalazione al pubblico ministero dello stato di insolvenza dal (solo) giudice civile (cfr. art. 7, n. 2), l. fall.) all'autorità giudiziaria tutta che lo rilevi nel corso di un procedimento, e quindi anche al giudice penale (cfr. art. 38 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14).

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