La partecipazione di società di capitali in società di persone e l'amministratore estraneo

26 Ottobre 2022

Il contributo intende dare conto dei vari orientamenti, in dottrina e in giurisprudenza, prima e dopo la riforma del diritto societario, sulla partecipazione di società di capitali in società di persone e del conseguente sistema di amministrazione adottabile, ponendo l'accento sulla problematica dell'ammissibilità di nomina, nelle società di persone, di un amministratore estraneo alla compagine sociale.
Orientamenti antecedenti la riforma del diritto societario

Prima della riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) la giurisprudenza si è palesata contraria alla partecipazione di società di capitali in società di persone.

Sino alla sentenza della Cassazione n. 5636 del 1988, essa sosteneva che non fosse possibile la partecipazione di società di capitali in società di persone a causa dell'intuitus personae caratterizzante quest'ultimo tipo di società, della presenza di norme che presuppongono l'esistenza fisica del socio (es. morte del socio) e del divieto di servirsi dello schermo della responsabilità limitata delle società di capitali per evitare ai soci della partecipante di rispondere con tutto il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali. Queste erano le tre argomentazioni tradizionali addotte a sostegno della tesi negativa, sino alla sentenza delle S.U. della Cassazione del 1988 n. 5636 che, confutando tali argomentazioni, ha mantenuto il divieto di partecipazione delle società di capitali nelle società di persone, non in base alle norme della società partecipata, ma a causa del potenziale contrasto con la normativa dettata per la società azionaria, in particolare, con la disciplina che riserva inderogabilmente agli amministratori la gestione del patrimonio sociale. Ammettendosi la partecipazione di una società per azioni in una società di persone, il patrimonio verrebbe gestito, almeno in parte, da soggetti diversi e, quindi, sottratto alle condizioni previste dalla legge per l'amministrazione delle società di capitali.

Nella specie, la Suprema Corte ha rilevato che una parte del patrimonio della società azionaria, investita nell'acquisto della partecipazione della società di persone, verrebbe di fatto non più amministrata dagli amministratori della società di capitali originaria, ma dagli amministratori della società di persone partecipata, e, quindi, da soggetti non scelti direttamente dai soci della società partecipante.

Verrebbero, inoltre, lesi i creditori della partecipante, i quali non sarebbero in grado di conoscere le vicende economiche ed i bilanci della società partecipata, nonchè violate le norme che, nelle società di capitali, regolano i sistemi di amministrazione, predisposizione e approvazione del bilancio.

La previsione dell'art. 2361 c.c.

Con la riforma del diritto societario il legislatore ha espressamente previsto, in due norme, la possibilità di partecipazione di società di capitali in società di persone.

L'art. 2361 c.c., dettato in tema di s.p.a., prevede che “L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea”. L'art. 24, comma 2, lett. d) l. 23 dicembre 2021, n. 238 ha poi sottolineato che, nella nota integrativa del bilancio, devono essere specificatamente indicate la denominazione, la sede legale e la forma giuridica di ciascun soggetto partecipato: “di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio, indicando la denominazione, la sede legale e la forma giuridica di ciascun soggetto partecipato”. Tale ultima disposizione è posta chiaramente a tutela dei creditori della società e non dei soci, i quali hanno altri strumenti, di carattere sia preventivo che sanzionatorio, a cui ricorrere per la loro tutela.

L'art. 111 duodecies disp. att. c.c. prevede che “Qualora tutti i loro soci illimitatamente responsabili, di cui articolo 2361, comma secondo, del codice, siano società per azioni, in accomandita per azioni o società a responsabilità limitata, le società in nome collettivo o in accomandita semplice devono redigere il bilancio secondo le norme previste per le società per azioni; esse devono inoltre redigere e pubblicare il bilancio consolidato come disciplinato dall'art. 26 del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127, ed in presenza dei presupposti ivi previsti”.

Quest'ultima norma elenca quali tipi di società possono partecipare alle società di persone, risolvendo una questione lasciata aperta dall'art. 2361 c.c., dettato solo in tema di s.p.a. e non ripetuto in tema di s.r.l. e di s.a.p.a. Essa risolve, inoltre, l'obiezione connessa alla tutela del ceto creditorio e dei terzi, imponendo il rispetto delle norme che, nelle società di capitali, regolano i sistemi di predisposizione del bilancio.

Il legislatore della riforma ha, quindi, superato tutte le obiezioni mosse dalla dottrina e giurisprudenza antecedenti, mediante la previsione della preventiva deliberazione assembleare, della trasparenza del bilancio della s.p.a. con la nota integrativa e dell'imposizione dei medesimi vincoli contabili nella redazione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato.

La prima condizione posta dalla norma dell'art. 2361 c.c. per la partecipazione di una s.p.a. ad una società di persone è, come detto, la delibera assembleare. La competenza a deliberare è da attribuirsi all'assemblea ordinaria, in composizione collegiale, in quanto organo a competenza generale.

Quanto alla natura giuridica di tale atto deliberativo, una prima tesi ritiene che la delibera assembleare sia un vero e proprio atto gestorio, sufficiente a conferire il potere al legale rappresentate della società; una seconda tesi ritiene, invece, che tale delibera abbia natura meramente autorizzatoria, diretta a rimuovere un limite legale al potere gestorio degli amministratori, che rimarrebbe inalterato.

La distinzione non è solamente teorica, ma anche pratica, in quanto, nel primo caso, in ragione della natura gestoria della delibera assembleare, non sarà necessaria un'ulteriore delibera dell'organo amministrativo, ove presente; nel secondo caso, invece, in presenza di un consiglio di amministrazione, saranno necessarie due differenti delibere, quella dell'assemblea ordinaria e quella del consiglio di amministrazione, autorizzanti entrambe la parteciazione ad una società di persone.

La differenza tra le due tesi esposte si ripercuote, inoltre, sul piano patologico, in caso di assunzione di partecipazioni in assenza della preventiva delibera assembleare.

Ove si consideri l'autorizzazione all'acquisto della partecipazione di competenza esclusiva dell'assemblea, quale limite ai poteri gestori e di rappresentanza degli amministratori, l'atto compiuto in sua assenza dovrà considerarsi inefficace, in quanto l'omessa deliberazione determina carenza del potere di gestione, prima ancora che del potere rappresentativo, degli amministratori, essendo le limitazioni legali di siffatto potere sempre e comunque opponibili ai terzi, indipendentemente dalla prova del loro intento fraudolento.

A tale interpretazione si obietta che, quand'anche si volesse aderire all'opinione secondo cui il mancato rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 2361, comma 2, c.ci comporta l'invalidità o l'inefficacia dell'assunzione della partecipazione o del vincolo associativo, tale fenomeno non varrebbe a determinare la caducazione retroattiva dell'esistenza dell'ente, in quanto la disciplina peculiare del contratto di società, espressa dall'art. 2332 c.c., ritenuta applicabile anche alle società di persone (Cass. n 10507/2016) convertirebbe la patologia in causa di scioglimento dell'ente (Cass. 1095/2016; Cass. n. 12962/2017; Cass. n. 9572/2018).

Ove si consideri, invece, la deliberazione assembleare diretta a rimuovere un limite ai poteri gestori, essa servirà esclusivamente ad esonerare gli amministratori da responsabilità sociale, restando l'assunzione di partecipazione valida ed efficace anche in caso di sua assenza, come in altre fattispecie ove è richiesta la deliberazione assembleare preventiva. Previsioni analoghe, richiedenti la previa delibera assembleare per il compimento di un atto degli amministratori, sono infatti configurate dalla legge, non nel senso di attribuire all'assemblea il potere gestorio, ma con efficacia puramente interna, come nel caso di ascquisto dei beni da promotori, soci o amministratori (art. 2343 bis c.c.) ovvero di acquisto di azioni proprie o della controllante (artt. 2357, 2359 bis e 2359 ter) (Cass. n. 1095/2016). In tal caso, l'autorizzazione assembleare è mera condizione di esonero da resposanbilità sociale e dalle altre conseguenze di legge, impedendo di configurare la condotta degli amministratori in termini di inadempimento.

Pertanto, nel caso in cui gli amministratori, senza chiamare i soci a decidere, acquisiscano una partecipazione a resposabilità illimitata, tale assunzione sarà valida ed efficace, in quanto nessuna norma sancisce il divieto di assumere partecipazioni in una società a responsabilità illimitata da parte di società azionaria, sussistendo, al contrario, una norma di permesso che ne avvalora l'ammissibilità (art. 2361 comma 2 c.c.). In tal caso, l'inadempimento dell'organo gestorio avrà mera rilevanza interna, tale da giustificare l'adozione di un'azione sociale di responsabilità, revoca o denuncia al tribunale, senza mai inficiare la validità o l'efficacia dell'acquisto compiuto.

Inoltre, l'odierno sistema ordinamentale delle soceità per azioni tende ad escludere, in via di principio, la nullità o l'inefficacia dell'atto negoziale compiuto in violazione delle disposizioni sull'autorizzazione assembleare, ove prevista. L'art. 2384 c.c. prevede, in tal senso, che le limitazioni al potere di rappresentanza degli amministratori non operano nei confronti dei terzi, anche se pubblicate, salva la prova che essi abbiano intenzionalmente agito in danno della società. La ratio della norma si fonda sostanzialmente sul rilevo che colui che entra in contatto con la società deve poter confidare sulla spendita del nome della stessa da parte dei soggetti che ne hanno la rappresentanza, anche nell'ipotesi di dissociazione del potere di rappresentenza dal potere gestorio (Cass. n. 10507/2016). In base a tale principio, il rischio delle violazioni commesse dagli amministratori mediante il compimento di atti eccedenti i poteri loro conferiti è interamente trasferito sulla società, offrendo ai terzi la garanzia che essa farà comunque fronte alle obbligazioni assunte, in suo nome e per suo conto, dall'organo gestorio.

Quanto esposto risulta confermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, ai sensi della quale la norma dell'art. 2361, comma 2, c.c., attiene unicamente ai rapporti tra i soci e amministratori dell'ente, non anche ai rapporti tra quest'ultimo e i terzi. Di conseguenza, è da escludersi che l'eventuale difetto di autorizzazione assembleare all'assunzione di partecipazioni comportanti la responsabilità illimitata possa implicare l'inefficacia, o invalidità, della partecipazione che (nonostante tale difetto) sia stata in concreto assunta (Cass. n. 1095/2016), essendo la delibera funzionale al solo esonero da responsabilità sociale degli amministratori, senza incidere sulla validità ed efficacia della partecipazione acquistata.

Va precisato, infine, che, poiché l'art. 2361 c.c. rinvia alla competenza dell'assemblea solo per l'assunzione di partecipazioni in società a responsabilità illimitata, se la partecipazione da assumere riguarda un'altra società di capitali o la qualità di accomandate in una s.a.s., la competenza a decidere l'operazione sarà pur sempre dell'organo amministrativo e non dell'assemblea dei soci.

La partecipazione di s.r.l. in società personali

Come aticipato, l'art. 2361 c.c. è dettato in tema di s.p.a. La norma non è ripetuta per la s.r.l., la cui partecipazione in società di persone è sicuramente consentita, non solo in forza del tenore letterale dell'art. 111 duodecies disp. att. c.c., ma per identità di ratio sottostante.

Ciò posto, in assenza di una disciplina specifica, occorre individuare l'organo legittimato a deliberare in merito all'assunzione di tale partecipazione.

Secondo una parte della dottrina, anche per le s.r.l., sarebbe competente l'assemblea ai sensi dell'art. 2479 co. 2 n. 5 c.c. (“In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci … 5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci”). A prescindere dall'applicazione analogica dell'art. 2361 c.c., ai sensi della norma citata, la competenza spetterebbe all'assemblea in composizione collegiale (art. 2479 co. 4 c.c.), in quanto l'assunzione di partecipazioni in società personali potrebbe comportare la modifica dell'oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci. Il conseguente regime di responsabilità illimitata tipico delle società personali comporterebbe, difatti, un aggravamento del rischio dei singoli soci, determinando una rilevante modifica dei loro diritti. A tale interpretazione potrebbe obiettarsi che non è detto che l'assunzione di una partecipazione in una società personale comporti di per se stessa una modifica dell'oggetto sociale, essendo possibile che le due società abbiano un oggetto similare o coincidente. Quanto alla responsabilità dei soci della partecipante, essi preserverebbero, in ogni caso, il loro regime di responsabilità limitata, essendo illimitatamente responsabile con il proprio patrimonio solo la società di capitali partecipante e non i soci che la compongono.

Altri autori, pur riconoscendo la competenza assembleare, vi giungono argomentando, non dall'art. 2479 c.c., ma in forza dell'applicazione analogica dell'art. 2361 c.c., dettato in tema di s.p.a., essendo identica la ratio sottesa alla disposizione normativa per entrambi i tipi di società. Ne consegue che non sarà necessaria una espressa previsione statutaria o una modifica dello statuto per l'assunzione di tali partecipazioni, essendo sufficiente, allo scopo, una delibera di autorizzazione agli amministratori da parte dell'assemblea ordinaria (Cass. n. 9100/2003).

Come per la s.p.a., occorre chiedersi se la delibera assembleare sia da sola sufficiente a legittimare il Presidente del consiglio di amministrazione, in qualità di legale rappresentate della società a responsabilità limitata, a partecipare alla società di persone oppure si necessiti di una preventiva delibera dell'organo amministrativo.

Una terza tesi, già in passato, riteneva che, nel silenzio del legislatore – non potendosi fare ricorso all'applicazione analogica dell'art. 2361 c.c. – per le s.r.l. la competenza dovesse essere riconosciuta al solo organo amministrativo.

La Suprema Corte ha, recentemente, confermato tale impostazione, statuendo che la partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone non richiede il rispetto della preventiva delibera autorizzativa dei soci, trattandosi di mero atto gestorio dell'organo amministrativo (Cass. civ. n. 6/2016). Pertanto, la partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell'art. 2361, comma 2, dettato in tema di società azionarie, e costituisce un atto gestorio proprio dell'organo amministrativo, il quale non richiede la previa decisione autorizzativa dei soci ex art. 2479, comma 2, n. 5 (Cass. civ. n. 1095/2016).

Ciò fin tanto che l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale, nel qual caso sarà necessaria la previa decisione autorizzativa dei soci ai sensi dell'art. 2479, comma 2, n. 5, c.c.

Viste le differenti interpretazioni sul punto, è auspicabile che nello statuto della s.r.l. i soci chiariscano a monte, in caso di partecipazione ad una società personale, l'organo competente ad autorizzare l'operazione.

L'ammissibilità di un amministratore estraneo nelle società di persone

Una volta assunta la partecipazione, occorre interrogarsi sul sistema di amministrazione in concreto attuabile, ossia se l'amministrazione della società personale possa essere conferita alla partecipante società di capitali, in special modo nel caso in cui la società di persone sia partecipata interamente da società di capitali.

Il problema sullo sfondo è, chiaramente, quello dell'ammissibilità, nel nostro ordinamento, della figura dell'amministratore persona giuridica. Come detto, ai sensi dell'art. 111 duodecies dist. att. c.c., una società di persone (compresa la s.a.s.) potrebbe essere partecipata da tutte società di capitali, tra le quali, necessariamente, dovranno essere scelti gli amministratori, che, in quanto persone giuridiche, eserciteranno il relativo potere attraverso la nomina di un proprio rappresentante, poiché, in caso contrario, non avremmo alcun soggetto da investire della carica amministrativa.

Nel caso di persona giuridica amministratore di una società di persone, la designazione di una persona fisica della propria organizzazione, anche diversa dal legale rappresentante, per l'amministrazione della società partecipata costituisce atto gestorio della persona giuridica amministratore. Pertanto, la sostituzione del legale rappresentante della persona giuridica amministratore non vale, altresì, quale mutamento della persona fisica designata per l'amministrazione della società di persone partecipata (Tribunale Roma, 01/06/2020).

Prima della riforma del diritto societario, la tesi negativa si basava sulla considerazione che, poiché gli amministratori devono essere persone fisiche, il relativo potere verrebbe attribuito agli amministratori delle società di capitali partecipanti, i quali verrebbero nominati, sostituiti e revocati dai soci della partecipante in qualità di soggetti terzi, diversi dai soci della società amministrata. Inoltre, tale nomina consentirebbe l'ingresso nella società di persone di un amministratore estraneo alla compagine sociale, della cui ammissibilità, ancora oggi, si discute fortemente in dottrina e in giurisprudenza.

Direttamente collegato a tale argomento è, quindi, la problematica concernente l'ammissibilità nelle società di persone di un amministratore estraneo alla compagine sociale.

Si rinvengono in dottrina tre principali orientamenti.

La tesi negativa si fonda sull'inscindibilità esistente tra la carica di amministratore e la responsabilità illimitata dei soci nelle società di persone.

Una tesi intermedia distingue tra i vari tipi di società personali: per le s.a.s. l'amministratore estraneo non sarebbe possibile, in quanto l'art. 2318 c.c. consente solo agli accomandatari di assumere la qualifica di amministratori; ugualmente a dirsi per la società semplice ai sensi dell'art. 2267 c.c., per il quale “I creditori della società possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci”. Se si ammettesse l'amministratore estraneo nella società semplice, l'amministratore che ha agito non potrebbe mai essere ritenuto illimitatamente responsabile, perché agente quale amministratore e non come socio. Se poi si prevedesse, con un patto espresso, l'esclusione dei soci non agenti da ogni responsabilità, si arriverebbe all'assurdo di una completa assenza di soggetti responsabili: non l'amministratore, perché soggetto non socio; non gli altri soci, perché esonerati da un patto espresso; nella s.n.c., infine, ai sensi dell'art. 2291 c.c. sono responsabili tutti i soci, indipendentemente dal fatto che abbiano agito o dalla presenza di un patto di esonero, con valenza esclusivamente interna. In tal caso potrebbe ammettersi un amministratore estraneo, poiché gli altri soci resterebbero comunque responsabili illimitatamente per tutte le obbligazioni sociali.

Alle obiezioni sollevate dalle teorie restrittive sopra esaminate vengono contrapposte le seguenti argomentazioni.

La presunta inscindibilità esistente tra la carica di amministratore e la responsabilità illimitata dei soci costituirebbe un binomio naturale, ma non necessario, nelle società di persone, in cui, indipendentemente dalla qualificazione giuridica che si voglia dare al rapporto di amministrazione, la qualifica di amministratore - già sotto il profilo ontologico - appare distinta ed autonoma rispetto alla qualità di socio. Per la tesi positiva, pertanto, non vi sarebbe alcuna inscindibilità tra la qualità di socio a responsabilità illimitata e la carica di amministratore, come dimostrato anche dalla circostanza che si può essere soci senza assumere necessariamente la carica di amministratore.

Inoltre, quando il legislatore ha voluto vietare l'attribuzione dell'amministrazione ad un soggetto estraneo, lo ha previsto espressamente, di guisa che, in mancanza di una norma contraria, non può negarsi che l'amministrazione possa essere affidata ad un soggetto terzo.

A sostegno viene richiamata proprio la disciplina dell'art. 2361 c.c., che, ammettendo espressamente la partecipazione di società di capitali in società personali, costituirebbe la riprova legislativa dell'ammissibilità nelle società personali di un amministratore estraneo, in quanto – come visto - in presenza di una società di persone interamente partecipata da società di capitali, l'amministrazione della società partecipata dovrà necessariamente essere affidata ad una delle società di capitali partecipanti, per il tramite di un suo rappresentate. Pertanto, una volta ammessa la possibilità di una partecipazione di società di capitali in società di persone, diviene inevitabile ammettere una «dissociazione» tra la qualità di socio e l'attività di amministrazione (Tribunale di Roma, 25/08/2021 n. 4971).

Tale partecipazione consentirebbe quella scissione tra la qualità di socio e attività di amministrazione che, per la dottrina tradizionale, sarebbe imprescindibile nelle società di persone: “la riforma del diritto societario ha espressamente ammesso che le società di capitali possano assumere partecipazioni in società di persone anche assumendo la qualità di socio illimitatamente responsabile … Ciò posto, l'amministrazione della società partecipata dovrebbe … essere affidata alla società di capitali partecipanti, ammettendosi, oggi, la nomina di una persona giuridica ad amministratore di una società di persone” (Giudice del registro Roma, 1 giugno 2020; Trib. Milano 27 febbraio 2012).

Con riguardo alla sopra accennata distinzione dottrinaria tra i tre tipi di società personali, l'operatività del divieto per le sole s.a.s. - in cui il legislatore è esplicito nel prevedere che l'amministrazione possa essere affidata soltanto ai soci accomandatari (art. 2318, secondo comma c.c.) - restringe l'indagine di sistema alle sole società semplici e alle società in nome collettivo.

Riguardo a queste ultime, la norma dell'art. 2291 c.c., nel prevedere l'inscindibilità tra la qualità di socio e la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, nonché l'inopponibilità esterna di un eventuale patto di esonero dei soci da responsabilità, non consente di considerare l'amministratore estraneo un espediente per eludere il principio della responsabilità personale ed illimitata dei soci per le obbligazioni sociali. La posizione dei terzi creditori della società non sarebbe in alcun modo compromessa da una clausola statutaria che riservi l'amministrazione della società ad un terzo, in quanto, come sopra evidenziato, nella s.n.c., ai sensi dell'art. 2291 c.c., sono responsabili tutti i soci, indipendentemente dal fatto che abbiano agito o dalla presenza di un patto di esonero, con valenza esclusivamente interna, di guisa che anche in presenza di un amministratore estraneo, gli altri soci resterebbero comunque responsabili illimitatamente per tutte le obbligazioni sociali.

Più problematica l'ammissibilità di un amministratore estraneo in società semplice, ove, come detto, l'art. 2267 c.c., nel consentire l'esclusione della solidarietà e/o la limitazione della responsabilità dei soci che non agiscono in nome e per conto della società, non consentirebbe la nomina di un amministratore che, in quanto non socio, non potrebbe mai essere responsabile per le obbligazioni, con la paradossare conseguenza che i terzi ed i creditori della società non avrebbero più alcun soggetto contro cui eventualmente rivalersi.

Per superare tale rilevante obiezione, la giurisprudenza di merito (Tribunale di Roma, 25/08/2021 n. 4971) ha evidenziato che la nomina di un terzo quale amministratore di una società semplice non implica, automaticamente e in via generale, una lesione dei diritti dei terzi, che invece si verifica, nel caso concreto, in presenza di contestuali espressi patti di esonero da responsabilità dei soci ai sensi dell'art. 2267 c.c. Al contrario, ove tali patti non sussistano, una tale nomina può costituire un possibile vantaggio per i terzi, dal momento che, per ogni atto compiuto in nome della società, i creditori potrebbero sempre agire nei confronti dei singoli soci e, qualora il comportamento dell'amministratore estraneo costituisca un fatto illecito, aggredire anche il patrimonio personale di quest'ultimo.

Pertanto, la nomina di un amministratore non socio in una società semplice potrà ritenersi ammissibile e validamente effettuato solo previa verifica, da parte del Notaio rogante, prima, e dell'Ufficio del Registro poi, dell'inesistenza di patti di esclusione o di limitazione della responsabilità dei soci ai sensi dell'art. 2267 c.c. Conseguentemente, anche l'iscrizione nel registro delle imprese della nomina ad amministratore di una società semplice di un soggetto non socio sarà condizionata alla verifica, da parte dell'ufficio stesso, dell'inesistenza di tali patti di esonero, pena il rifiuto dell'iscrizione da parte del competente ufficio del Registro delle Imprese.

Considerazioni conclusive

La disamina delle posizioni giurisprudenziali pre e post riforma del diritto societario e il resoconto dell'evoluzione dei vari orientamenti in materia non consentono di ritenere risolta in modo univoco la questione relativa all'ammissibilità di nomina di un amministratore estraneo nelle società di persone.

Tuttavia, la presenza di forme organizzative societarie ampliate induce a delle riflessioni in merito all'idoneità dei modelli organizzativi delle società di persone nell'ambito del gruppo di imprese e dei sistemi di amministrazione adottabili, anche in ragione della progressiva apertura delle corti di merito in proposito.

Guida all'approfondimento

A. Bartalena, La partecipazione di società di capitali in società di persone, in Il nuovo diritto delle società: Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2006-2007;

V.C. Buonaura, L' amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, Torino, 2019;

G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002;

G. Cottino – R. Weigmann, Le società di persone, in Tratt. di dir. comm., III, Padova, 2004.

M. Ghidini, Società personali, Padova, 1972;

F. Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995;

G. Ferri, Delle società, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, V, Del lavoro, 3a ed., Bologna-Roma, 1981;

P. Spada, Diritto commerciale II. Elementi, Padova, 2009.

C.N.N. n. 6072 del 24/03/2006.

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