Verbale di separazione consensuale e annullamento per violenza

Alberto Figone
28 Ottobre 2022

Qual è la linea di demarcazione tra metus ab intrinseco e violenza morale, giuridicamente rilevante e passibile di causare l'annullamento del verbale di separazione consensuale?
La massima

Quando una condotta minatoria esterna sia stata accertata, pure già in sede penale, spetta il giudice civile accertare, anche attraverso un procedimento indiziario, se essa sia stata specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alle condizioni di una separazione consensuale, sì da incidere con efficienza causale sul determinismo del soggetto che assume una coartazione della volontà, ovvero se la decisione di questi sia stata indotta da timori meramente interni.

Il caso

Due coniugi sottoscrivono un verbale di separazione consensuale, poi omologato. La moglie impugna successivamente quel verbale per violenza morale, quanto alle condizioni economiche della separazione, a suo dire pregiudizievoli, per essere stata indotta ad accettarle dalle gravi minacce del marito, rivolte pure alla sorella, in relazione alle quali quegli era stato condannato in sede penale.

Il Tribunale, prima e la Corte d'appello, poi, rigettano la domanda, qualificando la situazione dedotta non già in termini di violenza, bensì di metus ab intrinseco. La Suprema Corte cassa la decisione impugnata con rinvio, affinché sia accertato, anche attraverso un procedimento indiziario, se la condotta minatoria, emersa nel giudizio penale, fosse stata specificamente finalizzata ad estorcere il consenso e tale da incidere con efficienza causale sul determinismo del soggetto passivo.

La questione

Un verbale di separazione consensuale può essere annullato per violenza morale?

Quali sono le caratteristiche della violenza morale, giuridicamente rilevante, e in che cosa essa si distingue dal metus ab intrinseco?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, la separazione consensuale è il risultato di un accordo che i coniugi pongono in essere in esplicazione della loro capacità di agire e dell'autonomia privata di cui dispongono, ossia un vero e proprio negozio di diritto familiare. Il rapporto su cui incide detto negozio è caratterizzato da diritti indisponibili e regolato da norme inderogabili; l'accordo diviene efficace solo dopo che, con l'omologa, il Giudice abbia verificato che l'intesa fra i coniugi non contrasti con tali norme e risponda all'interesse dei figli minori. Si tratta dunque di un procedimento complesso, all'interno del quale il giudice non svolge una funzione integrativa o sostitutiva della volontà dei coniugi (con l'eccezione delle clausole afferenti l'affidamento ed il mantenimento dei figli minori).

Proprio muovendo dal presupposto della natura privatistica della separazione consensuale, la giurisprudenza ritiene esperibili gli ordinari strumenti civilistici in caso di difformità tra atto e volontà delle parti (per tutte Cass. 20 marzo 2008, n. 7450), ovvero quando l'atto risulti posto in essere in frode ai creditori (Cass. 21 maggio 2022, n. 14049)

È ormai acquisito che avverso il verbale di separazione, sottoscritto davanti al Presidente, sia possibile agire chiedendone l'annullamento, in caso di incapacità legale del soggetto o di vizi della volontà. È del tutto ammissibile pensare che il presidente, nel breve tempo della lettura del verbale in udienza, non sia in grado di rendersi conto dello stato di capacità, o meno, di uno dei coniugi, come pure che egli sia vittima di errore, violenza o dolo. L'estensibilità della normativa sull'annullamento dei contratti per vizi del consenso (artt. 1427 ss. c.c.) ai negozi di diritto familiare, in quanto parte della disciplina generale del negozio giuridico, è espressione di principi generali dell'ordinamento. Del pari, la separazione potrebbe essere solo simulata (e ben potrà trattarsi simulazione assoluta, ma pure relativa, specie in presenza di patti a latere di diverso contenuto), essendosi i coniugi risolti a rappresentare una situazione difforme dal vero per i più vari motivi, che non rilevano (ad es. fiscali) (Cass. 30 agosto 2019, n. 21839). Così ancora, la separazione potrebbe essere lo strumento con il quale un coniuge trasferisca all'altro i propri beni, sotto la veste formale dell'adempimento di doveri di mantenimento verso coniuge e figli, ma in realtà per danneggiare i propri creditori. I soggetti interessati ben potrebbero esperire azione con cui far dichiarare la simulazione, ovvero esercitare l'azione di revocatoria (ordinaria o fallimentare), con conseguente inopponibilità all'attore, o al ceto creditorio, delle operazioni effettuate.

Tra i vizi della volontà che possono dar luogo all'annullamento del verbale di separazione omologato vi è la violenza, cui si riferisce l'ordinanza in esame. Come è noto, la violenza (morale), disciplinata negli artt. 1434 ss c.c., consiste nella minaccia che induce il soggetto a stipulare un contratto (ma pure ad esprimere la propria adesione ad altro negozio giuridico) che altrimenti non avrebbe concluso, ovvero avrebbe accettato, ma a diverse condizioni. La violenza deve essere di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata, inducendole il timore di esporre sé o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole. Essa può essere esercitata dall'altra parte del contratto (o del negozio) come da un terzo, ed il male prospettato può riguardare pure la persona o i beni di soggetto estraneo alla pattuizione. Non si può predeterminare l'ambito della violenza giuridicamente rilevante, dovendosi fare riferimento alla peculiarità di ogni singola fattispecie (età, condizioni fisiche e psichiche del destinatario della minaccia, contenuto di quest'ultima e caratteristiche del suo autore, serietà e attuabilità del male prospettato, nonché tipologia del negozio per la cui conclusione è stato estorto il consenso). Certo è che il legislatore ha chiaramente dimostrato di voler intervenire per garantire la libertà e l'autonomia delle parti nell'ambito dei negozi familiari, anche con norme specifiche. L'art. 122 c.c. prevede infatti l'annullamento del matrimonio per violenza (o anche per errore, ma non per dolo); l'art. 265 c.c. disciplina l'impugnazione per violenza del riconoscimento di figlio naturale.

Diversa dalla violenza è il c.d. metus ab intrinseco: si tratta di una situazione psichica di timore, analoga a quella derivante dalla violenza morale, ma determinata non dalla minaccia di altra persona diretta a far concludere un contratto, bensì da uno stato di fatto oggettivo, rappresentato, nella maggior parte dei casi, da forze naturali. Detto metus non comporta annullamento del contratto, potendosi se mai discutere di un'eventuale rescissione per lesione, ove ne ricorressero i presupposti; la disciplina trova una corrispondenza con quella sul timore reverenziale di cui all'art. 1437 c.c.

Per quanto specificamente attiene all'accordo di separazione consensuale, i vizi della volontà potrebbero inficiare l'intero negozio, ovvero solo alcune parti di esso, come nel caso di specie: la moglie, senza contestare il dichiarato intendimento di separarsi, assume esserle stato estorto il consenso quanto alle conseguenze patrimoniali della separazione.

Osservazioni

La decisione in commento è assai interessante, affrontando una questione sostanzialmente inedita, relativa all'annullamento di un verbale di separazione consensuale omologato per violenza, a fronte di pesanti minacce perpetrate per addivenire ad un regime patrimoniale penalizzante per il coniuge destinatario delle minacce e per le figlie della coppia (per utili riferimenti v. Trib. Milano 6 agosto 2016, in IlFamiliarista.it 2017).

Assodato ormai che la disciplina dei vizi della volontà nel contratto trova applicazione anche per i negozi di natura familiare, quali la separazione consensuale omologata, si tratta di valutare se, nella concreta fattispecie, ricorrano i presupposti di legge per far luogo all'annullamento. Già si è anticipato come sia necessario procedere ad una valutazione caso per caso, tenendo conto di tutti gli elementi concreti della fattispecie. La violenza presuppone comunque una minaccia sulla persona o sui beni della parte, ovvero di un terzo, avente la finalità di coartare l'altrui volontà negoziale; come ricorda la Suprema Corte, la coazione può esercitarsi “in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo”. La minaccia deve essere “specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa”. La violenza si distingue dal metus ab intrinseco, riflettente uno stato soggettivo di timore autoindotto nella parte. Ne consegue che non costituisce minaccia invalidante il negozio la mera rappresentazione interna di un pericolo, ancorché collegata a determinate circostanze oggettivamente esistenti, ovvero frutto di impressionabilità o preoccupazione meramente soggettive o, ancora, da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risulti inequivocabilmente come idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte (in termini, v. Cass. 10 gennaio 2007, n. 235; Cass. 13 aprile 2022, n. 12058).

Sulla scorta dei propri precedenti in materia, l'ordinanza in commento censura la decisione impugnata che aveva ricondotto al metus ab intrinseco una fattispecie in cui il consenso a determinate condizioni della separazione consensuale, a dire della moglie pregiudizievoli, poteva invece essere frutto di intimidazioni, per le peculiarità dei fatti che avevano preceduto il deposito del ricorso, accertati anche in sede penale. Viene pertanto richiesto il riesame, in sede di rinvio, da parte del giudice di merito.

Riferimenti
  • Di Bartolomeo, La violenza morale nei contratti, Napoli 1996
  • Figone, La violenza (art. 1434-1438), in Codice civile Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano 2005.
  • Santoro Passorelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 2002

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