Soci, amministratori e creditori nella ristrutturazione “negoziata” dell'impresa in crisi

31 Ottobre 2022

E' noto che a ricorrere alla ristrutturazione su base negoziale sono quasi esclusivamente le imprese in crisi e insolventi organizzate in forma societaria, si analizza, perciò, in questa sede la regolazione dei profili societari dell'impresa in crisi e insolvente, sotto il profilo del proficuo risanamento dell'impresa societaria, risanamento che, come si sa, costituisce l'idea di fondo del Codice della Crisi d'impresa.
Il valore della struttura societaria nella crisi dell'impresa

E' noto che a ricorrere alla ristrutturazione su base negoziale sono quasi esclusivamente le imprese in crisi e insolventi organizzate in forma societaria.

La regolazione dei profili societari dell'impresa in crisi e insolvente, allora, è importante per il proficuo risanamento dell'impresa societaria, risanamento che, come si sa, costituisce l'idea di fondo del ccii.

In passato, in vero, il legislatore si è disinteressato dei profili societari dell'impresa in crisi.

Questo disinteresse si spiega col fatto che la soluzione tipica della crisi era fino al 2005 la liquidazione dell'impresa e questa veniva attuata attraverso una rigida sequenza procedimentale sulla base del processo esecutivo. In questo sistema gli aspetti societari erano irrilevanti: si liquida il patrimonio, la struttura organizzativa, però, è estranea alla liquidazione. Da ciòl'impermeabilità dell'organizzazione societaria, la cd. neutralità organizzativa, per cui la sottoposizione ad una procedura concorsuale non incide sulle funzioni e sui poteri dei soci che rimangono intatti.

Questo sistema, protrattosi fino alla vigilia della riforma, però, si presentava inadeguato al perseguimento del risanamento su base negoziale.

E' noto che l'intervento sull'organizzazione societaria e sulla sua struttura finanziaria può semplificare e favorire le soluzioni di risanamento. Fondamentalmente perché consente di preservare il valore di funzionamento dell'impresa ancor più radicalmente di quanto avvenga con la cessione dell'azienda soprattutto quando il mercato si trova a non essere in grado di assorbire dismissioni a prezzi non di saldo. Agire sulla struttura organizzativa e finanziaria permette di evitare la perdita di valori intrasferibili che, invece, può verificarsi con la cessione dell'azienda.

L'attitudine, del resto, delle operazioni sulla organizzazione societaria e sulla sua struttura finanziaria (cd. operazioni straordinarie) a favorire la risoluzione della crisi dell'impresa societaria trova conferma nell'impiego che da tempo ne fa la prassi a questo fine. E' proprio per venire incontro alle esigenze degli operatori che la riforma del diritto societario del 2003 ha rimosso l'incompatibilità tra le operazioni straordinarie e le procedure concorsuali. Ed è allo stesso fine che la riforma del diritto fallimentare del 2005 ha previsto la possibilitàdi ristrutturare e soddisfare i crediti con “operazioni straordinarie, ivi comprese l'attribuzione ai creditori nonché a società da questi partecipate di azioni, quote, obbligazioni o altri strumenti finanziari”.

Per queste ragioni è stato efficacemente detto che la struttura societaria rappresenta un asset, un valore in sé dell'impresa in crisi. Un asset, però, che prima del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza era nella disponibilità dei soci. Per intervenire sull'organizzazione societaria, infatti, era necessario il consenso dei soci in quanto l'azzeramento del valore della partecipazione non fa venir meno, come detto, le prerogative connesse alla partecipazione. Di qui la possibilità per i soci di monetizzare l'esercizio di questi diritti con canalizzazione in loro favore di risorse che, invece, andrebbero ai creditori.

Ma c'è un altro aspetto da sottolineare. Lo stesso potere di decidere l'ammissione al concordato, prima della riforma, poteva essere statutariamente riservato ai soci.

Ai soci, in definitiva, spettava la decisione di domandare o meno l'ammissione al concordato e di consentire o meno soluzioni che coinvolgessero la struttura organizzativa e finanziaria della società. Con la possibilità di decisioni ingiustificatamente contrarie al risanamento senza che i soci incorressero in responsabilità non essendo i loro poteri, a differenza di quelli degli amministratori, funzionalizzati al perseguimento dell'interesse sociale e dell'interesse dei creditori al recupero dei loro crediti verso la società. E proprio ad evitare questa evenienza la direttiva Insolvency ha invitato gli stati.



L'intervento del CCII. I “nuovi” poteri degli amministratori

Il CCII (art. 120-bis n. 1) attribuisce agli amministratori non soltanto la competenza esclusiva a decidere di accedere ad uno strumento di composizione della crisi e dell'insolvenza, ma anche quella di proporre nel piano soluzioni che coinvolgono la struttura organizzativa e finanziaria senza che per la loro attuazione sia necessario il consenso dei soci.

Gli amministratori possono prevedere nel piano qualsiasi modificazione dello statuto della società, inclusi aumenti e riduzione del capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono sui diritti di partecipazione, nonché fusioni, scissioni, trasformazioni.

Con riguardo all'esecuzione delle operazioni che incidono sull'organizzazione della società, l'art.120-quinquies stabilisce che “il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza determina la riduzione e l'aumento del capitale e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti nel piano” e “demanda agli amministratori l'adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione e li autorizza a porre in essere… le ulteriori modificazioni statutarie programmate nel piano”.

Operativamente, il provvedimento di omologazione più che determinare di per sé le modificazioni statutarie previste nel piano, verrà ad autorizzare gli amministratori ad adottare le deliberazioni necessarie ad apportare allo statuto della società quelle modificazioni che gli amministratori hanno indicato nel piano.

La previsione nel piano da parte degli amministratori di operazioni straordinarie rende obbligatoria la formazione di una classe di soci che voterà la proposta di concordato degli amministratori.

I soci, lo si sa, solitamente sono interessati al risanamento se possono conservare senza alcun ulteriore sacrificio finanziario le loro partecipazioni nella società risanata. Solitamente i soci conservano le loro partecipazioni nella società risanata senza esborsi finanziari o perché i creditori consentono uno stralcio del passivo della società in una entità tale da coprire l'intera perdita evitando così l'obbligo di operare sul capitale, o coprendo la perdita in parte con uno stralcio significativo del passivo e in parte facendola gravare sui conferimenti dei terzi investitori, i quali, in cambio, conseguono il controllo della società pagando un prezzo per le nuove azioni emesse notevolmente inferiore al valore nominale delle azioni detenute dai soci in modo da diluire significativamente il peso di questi ultimi.

In sostanza, mentre nella prima ipotesi la ristrutturazione è limitata ad un intervento sul solo passivo ed il suo peso, quindi, viene a gravare integralmente sui creditori mentre il capitale di rischio, sul quale, invece, sarebbe dovuto gravare, ne è completamente esente; nella seconda ipotesi la ristrutturazione interviene anche sull'organizzazione del capitale e sugli assetti proprietari senza, però, che ciò comporti l'uscita dei soci preesistenti come sarebbe dovuto avvenire in difetto di un soddisfacimento integrale dei creditori chirografari. Può dirsi che è una sorta di arbitraggio, in cui gioca la profonda asimmetria informativa tra creditori e soci e l'interesse dei creditori ad acquisire il controllo della società senza doversi sottoporre ad un test di mercato, a consentire ai soci di “spostare” il rischio d'impresa dal capitale di rischio al capitale di credito e così conservare integralmente o parzialmente le partecipazioni nella società risanata.

Orbene, il Codice della crisi d'impresa prevede ora che i soci per conservare partecipazioni nella società risanata debbono pagarle ad un prezzo che esprima il “valore effettivo conseguente all'omologazione della proposta “ con conferimenti o versamenti a fondo perduto (art. 120-quater). Questo è in termini semplici ed essenziali quanto prevede l'art.120-quater. Diversamente, il dissenso di una classe dei creditori può impedire l'omologazione se il valore complessivamente riservato ai soci incide negativamente sul trattamento riservato alla classe dissenziente rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango o se, ove non vi siano classi di creditori di rango pari o inferiore a quella dissenziente, è pari o inferiore a quello riservato complessivamente ai soci.

Segue: gli amministratori quali compositori dei conflitti di interessi tra soci e creditori

Secondo il CCII sono ora gli amministratori e non i soci a gestire la struttura finanziaria della società in vista del risanamento. Sono loro a mediare la “rifondazione” della società tra soci, creditori e investitori. Sono gli amministratori e non più i soci a decidere, negoziandola coi creditori e con gli investitori, la dimensione dell'aumento di capitale, le modalità con le quali eseguirlo, a determinare il prezzo di emissione. Non c'è più il confronto diretto ed esclusivo tra soci e creditori. Come detto, la gestione della struttura organizzativa del capitale passa dai soci agli amministratori. L'auspicio è che questa gestione venga esercitata nel prevalente interesse dei creditori dal momento che le partecipazioni dei soci, prima del risanamento, non hanno valore economico, neanche quello incorporato nei diritti amministrativi poiché di questi sono stati esautorati.
L'art.120-bis n. 3 stabilisce che gli amministratori sono tenuti ad informare i soci della decisione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza e di riferire periodicamente del suo andamento.

E' da ritenere che gli amministratori sono tenuti ad una informazione tempestiva, completa e puntuale verso i soci. Hanno anzitutto l'obbligo di convocare l'assemblea dei soci per rappresentare la situazione patrimoniale effettiva e reale della società. Informarli che la liquidazione degli attivi darebbe risultati assai deludenti e che non esiste una concreta alternativa alla ricapitalizzazione. Interpellarli sull'atteggiamento che intendono assumere con riguardo all' aumento di capitale indicandone la dimensione che si rende necessaria. Di volere, in caso di non disponibilità dei soci a sottoscrivere l'aumento di capitale, avviare un processo volto ad individuare potenziali investitori con la necessità di eliminare il diritto di opzione. Una completa informazione è fondamentale, del resto, per una trasparente e rapida negoziazione.



Il ruolo del giudice e del commissario giudiziale

Come s'è visto, la proficua ristrutturazione della società dipende da un'azione combinata che investe sia le relazioni obbligatorie coi creditori sia l'organizzazione della società e la sua struttura finanziaria.

Proprio perché la proficua ristrutturazione della società è frutto di una complessa negoziazione tra i soggetti coinvolti nella crisi dell'impresa, il giudice e il commissario giudiziale si debbono prestare a favorire questa negoziazione cercando di minimizzare i costi transattivi in essa presenti e che sono essenzialmente tre.

Anzitutto i costi conseguenti all'accesso ad uno strumento di risanamento in assenza delle condizioni perché questo possa realizzarsi. E' questo il costo più elevato per i creditori e per il sistema economico in generale perché ritarda la liquidazione di imprese che non hanno futuro, brucia ricchezza e genera esternalità negative nel sistema economico. A questo riguardo rilevo una ingiustificata diversità dei presupposti per lo svolgimento della composizione negoziata da quelli per l'apertura del concordato in continuità: mentre per lo svolgimento della composizione negoziata è richiesta una verifica più rigorosa da parte dell'esperto che dovrà verificare la ricorrenza di “concrete possibilità di risanamento”, per l'apertura del concordato preventivo in continuità, invece, il tribunale accerta che il piano non sia “manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori…e alla conservazione dei valori aziendali”. Una conferma del maggior rigore richiesto per la composizione negoziata può trarsi dalla circostanza che in circa un anno risultano essere solo due le procedure conclusesi con un accordo.

Altri costi sono quelli dovuti alle profonde asimmetrie informative presenti nelle situazioni di crisi tra debitore e creditori, e tra creditori, che impediscono scelte consapevoli e appropriate. Sono costi, questi, che vanno neutralizzati con l'informazione, disponendo, con riguardo alle operazioni straordinarie, obblighi informativi relativi all'attività istruttoria, preparatoria, che sta alla base di queste operazioni. Così, quando è prevista un'operazione di aumento di capitale che comporta una modifica dell'assetto proprietario, saranno sicuramente più “ accettabili “ dai creditori la proposta e il piano se risulta trasparente la ricerca sequenziale dei partecipanti al mercato in cui opera la società o di altri potenziali investitori, attuata dagli amministratori e se con gli esiti di tale ricerca è coerente la dimensione dell'aumento di capitale destinato ad incrementare le risorse finanziarie proprie della società in crisi per il buon esito della sua ristrutturazione.

La trasparenza e la rimozione delle asimmetrie informative, peraltro, contribuiscono a ristabilire la fiducia dei creditori verso il debitore che era stata compromessa dall'inadempimento del debitore e consentono al giudice e al commissario di minimizzare il terzo costo transattivo, quello di contribuire ad “accorciare le distanze“ tra debitore e creditori nelle rispettive pretese.

Che questo debba essere il ruolo del giudice e del commissario lo prevede ora espressamente, per il commissario giudiziale, il ccii che all'art. 92 n. 3 stabilisce che nel concordato in continuità aziendale il commissario giudiziale, nel termine concesso per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, se richiesto o in caso di concessione di misure protettive, affianca il debitore e i creditori nella negoziazione del piano formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione.

I cambiamenti culturali, solitamente invocati nei momenti di riforma, si realizzano solo se gli operatori, sulla base di concrete esperienze, riescono ad avere consapevolezza del valore e dell'utilità che questi cambiamenti possono generare.



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