Riforma processo civile: rapporti tra provvedimenti cautelari e arbitrato
02 Novembre 2022
La ratio della riforma
La recente riforma del processo civile ha innovato anche la materia dell'arbitrato, apportando una consistente modifica all'art. 818 c.p.c. riguardante il divieto per gli arbitri di concedere provvedimenti cautelari. La ratio sottostante alla legge delega n. 206/2021 è di rimuovere il divieto in parola, disciplinando i poteri cautelari da parte degli arbitri rituali. In tale ottica, il legislatore delegato è stato chiamato a prevedere l'attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell'ipotesi in cui un'espressa volontà in tale senso, sia stata manifestata dalle parti interessate nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge. La legge delega ha tenuto conto delle argomentazioni che, anche in chiave critica, sono state in passato mosse al generale divieto per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari, considerandolo ormai anacronistico, ritenendo che un intervento in questo particolare ambito fosse necessario per rispondere all'ormai pacificamente riconosciuta funzione di indispensabile complemento e completamento della tutela cautelare nell'ambito della tutela giurisdizionale e per realizzare il principio di effettività di quest'ultima. Il legislatore ha quindi inteso modernizzare la disciplina italiana dell'arbitrato, completandola al fine di metterla al passo rispetto a quanto previsto negli ordinamenti giuridici europei che da tempo riconoscono in capo agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari attesa l'opportunità di rendere lo strumento arbitrale maggiormente appetibile anche per soggetti ed investitori stranieri in Italia. In questa prospettiva, non può non riconoscersi che l'intervento normativo si pone chiaramente nel solco già tracciato dal d.lgs. 40/2006, che, nel modificare l'art. 818 c.p.c., aveva temperato l'originario divieto per gli arbitri di concedere sequestri od altri provvedimenti cautelari, stabilendo che lo stesso non dovesse più considerarsi assoluto, ma valere “salva diversa disposizione di legge”. Di fatto, tuttavia, la possibilità per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari non viene attuata in modo generalizzato, avendo il legislatore ritenuto opportuno demandare tale prerogativa alla sola ipotesi di libera e consapevole scelta ad opera delle parti compromittenti. Ciò spiega il senso della modifica apportata all'art. 818 c.p.c. laddove per effetto dell'intervento legislativo attualmente dispone che le parti, anche mediante il rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di emanare misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con un'atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale. I rapporti tra provvedimenti cautelari e arbitrato
Il riconoscimento di un potere cautelare in capo agli arbitri non poteva non essere contemperato e coordinato con l'attribuzione, sino ad oggi generale – con l'unica eccezione ravvisabile nella possibilità per gli arbitri di sospendere le delibere assembleari nell'arbitrato societario – della concentrazione del potere cautelare in capo all'autorità giudiziaria. A tale fine, nell'art. 818 c.p.c. sono state introdotte dal legislatore le ulteriori precisazioni per le quali la competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell'accettazione dell'arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell'art. 669 quinquies c.p.c. La ragione di tali modifiche è chiaramente ravvisabile nell'evitare da un lato ogni possibile sovrapposizione e vuoto di tutela, riconoscendo che, prima dell'instaurazione del processo arbitrale la competenza ad emanare i provvedimenti cautelari permane in capo all'autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell'art. 669 quinquies c.p.c., e dall'altro che, una volta che il processo arbitrale è iniziato con la costituzione del collegio arbitrale o dell'accettazione della nomina da parte dell'arbitro unico, se le parti hanno attribuito loro tale potere, lo stesso viene esercitato in via esclusiva dagli arbitri, con l'esclusione di una potestas cautelare concorrente tra giudice ordinario ed arbitro. A ciò aggiungasi – come peraltro si legge nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo emanato in attuazione della l. 206/2021 – la simmetrica previsione all'art. 818 bis c.p.c. del reclamo cautelare al fine di verificare le decisioni adottate dal collegio arbitrale o dall'arbitro unico esattamente come accade per il procedimento cautelare dinanzi al giudice ordinario, con l'importante differenza che in questo caso il reclamo si svolge davanti al giudice ordinario, individuato nella corte d'appello. L'individuazione concreta della corte d'appello competente a conoscere del reclamo proposto avverso la misura cautelare decisa o negata dagli arbitri, avviene con riferimento al distretto giudiziario ove è la sede dell'arbitrato, mentre per quanto riguarda l'oggetto del reclamo, l'art. 818 bis c.p.c. non prevede alcuna limitazione in relazione alla possibile tipologia di provvedimento arbitrale, così comprendendo tanto i casi di accoglimento quanto quelli di rigetto della richiesta cautelare, nel rispetto dei principi costituzionali così come delineati dalla giurisprudenza costituzionale con la nota pronuncia del 23 giugno 1994, n. 253. L'art. 818 bis c.p.c. limita il ricorso all'istituto del reclamo cautelare avverso la decisione adottata dagli arbitri ai soli motivi enunciati nell'art. 829, comma 1, c.p.c., in quanto compatibili, ed al caso specifico della contrarietà dell'ordine pubblico, atteso che non sarebbe stato ragionevole attribuire in sede di reclamo cautelare un generale controllo di merito e, con esso, un sindacato più ampio di quello stabilito dal legislatore nei confronti del provvedimento decisorio finale del giudizio. Quid juris per quanto attiene la disciplina per l'attuazione dei provvedimenti cautelari emessi in sede di arbitrato? Al suddetto quesito ha risposto il legislatore delegato con l'introduzione dell'art. 818 ter c.p.c. il quale stabilisce che l'attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall'art. 669 duodecies c.p.c. e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato o, se la sede dell'arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata, restando salvo il disposto degli artt. 677 e ss. c.p.c. in ordine all'esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri sulla cui scorta, competente è il tribunale previsto dal comma 1 dell'art. 818 ter c.p.c., ovvero quello del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata Ciò conferma da un lato che le funzioni esercitate dagli arbitri sono omologhe a quelle del giudice ordinario e dall'altro che il provvedimento cautelare emanato dagli arbitri ha la stessa natura di quello emanato dal giudice ordinario, ragione per cui è soggetto ad una disciplina analoga anche con riferimento all'attuazione. Il riferimento al giudice ordinario per l'attuazione del provvedimento cautelare emesso in sede di arbitrato risponde alla ratio che gli arbitri, in quanto soggetti privati, pur chiamati a rendere attraverso il proprio giudizio una funzione equivalente a quella della giurisdizione di cognizione, sono sprovvisti di ius imperii essendo privi di poteri coercitivi. L'assenza di un potere cautelare in capo all'arbitro – e la connessa necessità di rivolgersi al giudice ordinario – non agevola il favor dell'Italia quando si tratta di stabilire la sede di un procedimento arbitrale internazionale, per effetto della mancanza di appetibilità derivante da una giustizia arbitrale monca, di fatto costringendo le parti interessate a prediligere ordinamenti nei quali invece la tutela cautelare è presente nell'arbitrato. La decisa rimozione del divieto per gli arbitri di adottare provvedimenti cautelari che hanno lo scopo di garantire una protezione provvisoria in attesa della definizione del procedimento, che nel regime attuale - in attesa che entri in vigore la riforma per i procedimenti arbitrali instaurati dopo il 30 giugno 2023 - sono prerogativa esclusiva del giudice ordinario, anche quando il merito della controversia sia devoluto ad arbitri, va quindi nella direzione opposta a quella sopra considerata, ponendo fine ad una sorta di tabù che durata ormai da troppi decenni. In tale ottica, la rimozione del divieto per gli arbitri di assumere provvedimenti cautelari è di gran lunga la più importante tra le novità in tema di arbitrato introdotte dalla riforma, perché completa l'apertura introdotta con la precedente riforma del 2006, in cui il legislatore poneva le basi per il ripensamento dell'antico divieto sancito nell'art. 818 c.p.c. In ordine a tale punto occorre essere chiari, atteso che il legislatore re melius perpensa, ha in effetti non abolito ma più semplicemente “ripensato” il divieto in parola – superandolo laddove esistano le condizioni previste ex lege per il conferimento dei poteri cautelari in capo agli arbitri – in presenza di una volontà previamente manifestata dalle parti in sede di predisposizione della clausola arbitrale o successivamente all'atto del compromesso in arbitrato. E' infatti evidente che, a differenza del giudizio cautelare dinanzi al giudice ordinario nel quale per effetto dello jus imperii non spetta ad una parte decidere se essere evocata o meno nel relativo giudizio, nell'arbitrato in tanto esiste la possibilità per l'arbitro di concedere un sequestro od una diversa misura cautelare soltanto “se” la singola parte interessata abbia a ciò previamente acconsentito. Tale impostazione si rivela coerente con la ratio che attribuisce al contratto forza di legge fra le parti che lo hanno sottoscritto, sulla cui scorta si è per tale ragione previsto che, nell'arbitrato la legittimazione dei giudici privati deriva dalla sottoscrizione della clausola arbitrale o del compromesso, e con essa, anche il potere specifico di emettere gli eventuali provvedimenti cautelari a ciò non ostando più l'antico divieto per effetto della recente modifica normativa. Alla Commissione ministeriale presieduta da Luiso deve dunque riconoscersi l'indubbio merito di avere rotto una tradizione divenuta ormai troppo ingombrante e penalizzante per il Paese, sebbene in dottrina vi è stato chi – condivisibilmente – ha osservato che la condizione dell'espressa attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri da parte dei compromittenti integrerebbe un requisito sconosciuto alle più evolute leggi straniere sull'arbitrato, che tendono a seguire il principio inverso: i poteri cautelari degli arbitri costituiscono la regola e l'espressa esclusione da parte dei compromittenti l'eccezione. Al riguardo, premesso che la scelta adottata da ogni legislatore risente dei differenti principi posti a base degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati, ciò non toglie che la riforma anzidetta – indubbiamente perfettibile in un prossimo futuro – abbia comunque posto una storica pietra miliare a favore della possibilità che anche nella giustizia arbitrale possa finalmente trovare ingresso la tutela cautelare senza necessariamente ricorrere – se non in fase successiva ed eventuale di attuazione della stessa – al giudice ordinario. Semmai occorrerà verificare se il favor arbitrati così come espresso nella riforma possa richiedere in futuro qualche correttivo, con particolare riferimento all'esclusione del potere concorrente del giudice ordinario per effetto dell'investitura degli arbitri che, di fatto, priva la parte interessata della possibilità di scelta del giudice che nella singola fattispecie concreta potrebbe magari rivelarsi più idoneo a concedere la misura cautelare tenuto conto che, per effetto della scelta adottata dal legislatore, nel caso dell'arbitro, non sarà comunque quest'ultimo ad essere investito dell'attuazione del provvedimento cautelare, donde non può escludersi che ciò, in presenza di situazioni connotate da una particolare urgenza, possa risultare lesivo del sottostante diritto soggettivo per effetto dell'imminente periculum. Ragionando in tale ottica, sarebbe allora stata forse più idonea una soluzione ancora più coraggiosa che, seguendo la via maestra della concedibilità da parte degli arbitri dei provvedimenti cautelari avesse riconosciuto in capo ai medesimi anche l'attuazione degli stessi, tenendo presente che in tale fase concernente unicamente l'attuazione – con l'ausilio dell'ufficiale giudiziario – di una misura temporanea già emessa dall'arbitro, ed a sua volta soggetta a verifica in sede di reclamo, lo jus imperii del giudice ordinario in sede civile è in ogni caso assai più circoscritto e limitato rispetto a quello esercitabile nell'esecuzione forzata la quale, peraltro, esige per il suo avvio un titolo esecutivo. Del resto, ciò si rivelerebbe sicuramente coerente con quanto affermato nella citata relazione illustrativa al decreto attuativo della legge delega n. 206/2021, laddove in essa si afferma chiaramente che l'arbitrato costituisce a pieno titolo un processo al quale viene ormai riconosciuta valenza giurisdizionale, tanto che in attuazione dei principi della delega, viene rafforzato il principio di imparzialità ed indipendenza degli arbitri nella cui ottica l'attribuzione agli stessi del potere di emanare provvedimenti cautelari, è diretta a colmare una lacuna che differenziava il nostro sistema da quello degli ordinamenti a noi geograficamente e culturalmente più vicini. Riferimenti
|