La comunicazione annuale del bilancio ai soci accomandanti in mancanza di una loro esplicita richiesta

Girolamo Lazoppina
02 Novembre 2022

La Cassazione torna ad occuparsi del diritto di controllo dei soci accomandanti nella s.a.s., con particolare riferimento alla comunicazione dei bilanci da parte degli accomandatari.
Massima

La comunicazione dei bilanci ai soci accomandanti, a prescindere dalle disposizioni dello statuto societario, costituisce un adempimento doveroso, come tale imposto all'amministratore dall'art. 2320, comma 3, c.c. che prescinde dalla necessità di una richiesta in tal senso avanzata dai soci.

Il caso

Ilsocio accomandante di una s.a.s., conveniva innanzi al Tribunale la stessa società e la socia accomandataria, deducendo, tra le avarie doglianze, che quest'ultima aveva omesso o ritardato di comunicargli i bilanci annuali 2000, 2001, 2002, 2003 e che, dopo vari solleciti, aveva comunicato solo quello del 2004. In conseguenza di ciò chiedeva al Tribunale la revoca della socia dalla carica di amministratore ed il risarcimento del danno subito. Il Tribunale respingeva la domanda proposta dall'attore. Successivamente, proposto gravame dinanzi alla Corte d'Appello, veniva anch'esso respinto sulla base, tra l'altro, delle seguenti motivazioni: che l'atto costitutivo della società non prevedeva che il socio accomandatario dovesse comunicare agli altri soci il bilancio, inviandone loro una copia, senza che ne fosse stata fatta richiesta dal socio accomandante; che il socio accomandante avrebbe potuto, una volta chiuso l'esercizio sociale al 31 dicembre, chiedere la documentazione contabile, facendosi così parte diligente per accertare la situazione, sulla base di quanto previsto dall'art. 2320, comma 3, c.c. e per eventualmente impugnare il bilancio, non potendosi al contrario dolere di non aver partecipato alla sua approvazione.

La sentenza della Corte d'Appello veniva impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. La suprema Corte accoglieva il ricorso.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Tra i motivi di ricorso il socio accomandante evidenziava che il diritto di controllo dei soci accomandanti è disciplinato dall'art. 2320, comma 3, c.c., in base al quale essi “hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società”. Secondo il ricorrente la Corte d'Appello avrebbe errato nel ritenere legittima l'omessa comunicazione dei bilanci della società da parte dell'amministratore in mancanza dell'attivazione del socio accomandante con una specifica richiesta scritta in tal senso.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso fondato. Secondo i supremi giudici, infatti, la norma dettata dall'art. 2320, comma 3, c.c. distingue letteralmente tra il diritto di avere la comunicazione annuale dei bilanci e il diritto di controllo del socio accomandante, evidenziando che il primo diritto attiene ad un adempimento di comunicazione annuale dei bilanci da parte dell'amministratore ed il secondo riguarda il diritto di controllo in senso proprio, che interviene a posteriori rispetto alla comunicazione del bilancio e che deve invece far capo ad una specifica richiesta del socio rivolta all'amministratore. Secondo la Corte di Cassazione deve pertanto ritenersi errata in diritto – proprio perché in frontale contrasto con la lettera della norma di cui all'art. 2320, comma 3, c.c. – l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale sarebbe stata necessaria una richiesta espressa del socio accomandante per l'attivazione dell'obbligo di comunicazione dei bilanci disposto in capo al socio accomandatario dalla norma in esame. La Corte ha invece precisato che la comunicazione dei bilanci ai soci accomandanti – a prescindere dalle disposizioni dello statuto societario – costituisce un adempimento doveroso, come tale imposto all'amministratore proprio dalla norma di cui si invoca la violazione (e cioè il sopra ricordato art. 2320, comma 3, c.c.) e che prescinde dalla necessità di una richiesta in tal senso avanzata dai soci.

Inoltre, sottolineano i giudici di legittimità, l'omessa comunicazione del bilancio societario costituisce la violazione del più generale dovere di diligenza cui sono tenuti gli amministratori nella conduzione della gestione sociale, anche in relazione ai

rapporti con gli altri organi della società. Sicché, la necessità di una comunicazione periodica da parte dell'amministratore, oltre a rispondere al dettato testuale della norma, risulta altresì determinata dalla esigenza di consentire all'accomandante l'esercizio del potere di controllo e di critica sull'operato del socio accomandatario e, in mancanza di impugnazione del bilancio da parte dell'accomandante, di ritenere consolidato l'esercizio. Infine - proseguono i supremi giudici - l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui, anche in mancanza di una comunicazione del bilancio all'accomandante, lo stesso sarebbe suscettibile di consolidarsi con la semplice “presentazione” (intendendosi con tale espressione la semplice elaborazione contabile alla scadenza annuale, a prescindere dalla “comunicazione”) - non è condivisibile proprio perché la mancata comunicazione non consente al socio accomandante l'esercizio effettivo del diritto di impugnativa giudiziale del bilancio e dunque il suo eventuale consolidamento in assenza di contestazioni.

Osservazioni

La società in accomandita semplice si caratterizza per la presenza di due tipologie di soci: i soci accomandatari, i quali rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali per effetto della mera titolarità dei poteri connessi alla qualifica ricoperta, indipendentemente dall'esercizio degli stessi (Cass. civ., lav., 25 febbraio 2019, 5428); e i soci accomandanti, i quali rispondono solo nei limiti della quota conferita e che, a differenza degli accomandatari, sono esclusi dalla gestione della società, sebbene con le eccezioni di cui all'art. 2320 c.c. A tenore di tale ultima norma i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Essi possono però prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza. In ogni caso essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società.

Orbene, nel caso che i occupa, i giudici della cognizione avevano ritenuto che, affinché fosse adempiuto l'onere di comunicazione annuale del bilancio in capo al socio accomandatario, sarebbe stata necessaria un'apposita richiesta da parte del socio accomandante. La suprema Corte, invece, ha sostenuto che la comunicazione prevista dal comma 3 dell'art. 2320 c.c. sia un “dovere” da parte del socio accomandatario, a prescindere da qualsiasi disposizione statutaria ed a prescindere da qualsiasi domanda in tal senso.

Che si trattasse di un vero e proprio obbligo in capo agli accomandatari a cui corrisponde un relativo diritto a favore degli accomandanti, lo si ricavava già dalla dottrina (Galgano, Graziani) secondo la quale il diritto di ricevere la comunicazione annuale del bilancio è da considerarsi inderogabile, a pena di nullità della relativa clausola (cfr. Memento Pratico, Società Commerciali 2023, Giuffrè Francis Lefebvre), nonché dalla giurisprudenza di merito, secondo cui “i soci accomandanti possono compiere atti di ispezione e sorveglianza e consultare i libri e gli altri documenti della società per controllare l'esattezza del rendiconto che annualmente gli accomandatari sono tenuti a presentare loro” (Trib. Milano, 20 ottobre 2014, in Rep. Foro It. 2015, Società, n. 522). Risalendo ancora nel tempo il Tribunale di Milano aveva anche specificato che “nelle società in accomandita semplice, la legge, per la disciplina della posizione dei soci accomandatari, richiama i diritti e gli obblighi dei soci delle società in nome collettivo e, quindi, anche il principio, interamente privatistico, secondo cui tali diritti e obblighi sono regolati dalle norme sul mandato ed attribuisce ai soci accomandanti il diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite (Trib. Milano, 13 gennaio 1994, in Rep. Foro It. 1994, Società, n. 458)”. Oggi la suprema Corte ha fatto un ulteriore passo a tutela della posizione dei soci accomandanti, esprimendosi letteralmente in termini di “dovere” in capo agli accomandatari; dovere del tutto incondizionato. Dunque, secondo i supremi giudici all'incontestabile diritto dei soci accomandanti di ricevere la comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, corrisponde, simmetricamente, il dovere dei soci accomandatari di porre in essere, annualmente, la predetta comunicazione, anche in assenza di esplicita richiesta da parte degli accomandanti ed a prescindere da qualsiasi previsione statutaria sul punto.

Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito l'importante principio di diritto secondo cui la comunicazione dei bilanci ai soci accomandanti, a prescindere dalle disposizioni dello statuto societario, costituisce un adempimento doveroso, come tale imposto all'amministratore dall'art. 2320, comma 3, c.c. che prescinde dalla necessità di una richiesta in tal senso avanzata dai soci.

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