Licenziamento orale e onere della prova
03 Novembre 2022
Massima
Il licenziamento orale non deve essere impugnato a pena di decadenza ex art. 32 L. n. 183/2010. Il lavoratore che impugni il licenziamento, allegandone l'intimazione senza l'osservanza della forma scritta, ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa. Tale volontà può ritenersi provata ove il datore rifiuti l'offerta del lavoratore di eseguire le sue mansioni. Il fatto
La Corte d'Appello di Genova confermava la pronuncia del Tribunale con la quale era stata dichiarata l'illegittimità del provvedimento di distacco adottato nei confronti della lavoratrice, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso la società distaccataria. Il licenziamento intimato da quest'ultima veniva dichiarato nullo dal giudice di primo grado perché privo della forma scritta.
La Corte territoriale escludeva che il licenziamento orale dovesse essere impugnato dalla ricorrente e non accoglieva, pertanto, l'eccezione di decadenza ai sensi dell'art. 32, co. 4, lett. d), L. n. 183/2010. Mediante l'impugnazione del distacco, inoltre, la lavoratrice aveva offerto la propria prestazione nei confronti della società che riteneva essere evidentemente l'effettiva sua datrice di lavoro, in coerenza con la ritenuta illegittimità del distacco.
In merito al licenziamento privo della forma necessaria, la Corte di appello condivideva l'assunto del Tribunale, atteso che, a fronte di una formale offerta della prestazione lavorativa, la società non aveva consentito la continuazione delle mansioni, senza risolvere il rapporto con una comunicazione scritta.
I giudici di secondo grado escludevano che il comportamento della lavoratrice potesse essere considerato come equivalente a dimissioni o come risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, rilevando altresì che anche la percezione del TFR e la nuova occupazione lavorativa non costituivano elementi tali da integrare un mutuo consenso volto ad una risoluzione tacita consensuale.
Per la cassazione di tale decisione proponeva ricorso la società-distaccataria.
Quest'ultima lamentava la violazione dell'art. 32, co. 4, lett. d), L. n. 183/2010, e dell'art. 1362 c.c., in quanto la contestazione della legittimità del distacco non avrebbe potuto costituire manifestazione della volontà di chiedere l'accertamento del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto.
La società si doleva anche della ritenuta non necessarietà dell'impugnazione del licenziamento orale. La questione
Il licenziamento orale deve essere impugnato a pena di decadenza? La soluzione della Corte
La Corte ha rigettato il ricorso, rammentando che l'azione per far valere l'inefficacia del licenziamento verbale non è subordinata all'impugnazione stragiudiziale, anche a seguito delle modifiche apportate dall'art. 32 L. n. 183/2010 all'art. 6 L. n. 604/1966, mancando l'atto scritto da cui la norma fa decorrere il termine di decadenza.
Con riferimento al significato da attribuire al contegno tenuto dalla lavoratrice, la Corte ha rammentato che colui il quale impugni il licenziamento allegandone l'intimazione senza l'osservanza della forma scritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa.
Nel caso di specie la Corte territoriale aveva ritenuto provato il recesso datoriale desumendolo dal comportamento concludente della società che, a fronte della richiesta della lavoratrice di continuare a svolgere le sue mansioni, non lo aveva consentito, escludendo altresì, sulla base di apprezzamenti in fatto, che dalla condotta tenuta dalla dipendente potesse desumersi la volontà di dimettersi, ovvero un mutuo consenso rivolto ad una risoluzione tacita. Osservazioni
Il tema affrontato nella decisione in commento si incentra sulla corretta applicazione dell'art. 2697 c.c., in particolare dei noti principi “onus probandi incumbit ei qui dicit” e "actore non probante reus absolvitur”. Nello specifico la giurisprudenza si è interrogata sulla ripartizione dell'onere probatorio nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro risulti, di fatto, cessato ed il lavoratore – tenuto anche conto delle conseguenze legali da ciò derivanti – agisca al fine di far dichiarare l'inefficacia del licenziamento orale, recte riconduca alla volontà datoriale la risoluzione del contratto.
A fronte di una tale istanza, il datore può limitarsi a negare i fatti allegati dal ricorrente (mera difesa), ovvero eccepire distinte cause di cessazione del rapporto, quali le dimissioni orali del lavoratore o la risoluzione consensuale. Ad ogni modo è opportuno evidenziare che, a fronte della mancata prova del licenziamento, diviene del tutto irrilevante la dimostrazione dell'esistenza di ipotetiche dimissioni o di una risoluzione consensuale. Sarebbe incongruo, infatti, che in ragione dell'omessa prova da parte del lavoratore dell'imputabilità dell'estinzione del rapporto alla volontà datoriale, l'istruttoria debba comunque proseguire per verificare i fatti oggetto di eccezione del resistente. Non è mancato, tuttavia, chi ha sostenuto che il giudice non possa acriticamente rigettare la domanda, dovendo piuttosto dar corso ad approfondimenti istruttori anche facendo ricorso ai propri poteri officiosi (art. 421 c.p.c.)
Volgendo l'attenzione agli orientamenti ermeneutici più recenti formatisi sul tema, si è affermato che la prova gravante sul lavoratore possa essere limitata al fatto della sua estromissione, da distinguersi dalla mera cessazione del rapporto che, di per sé, si presenta come una circostanza di significato polivalente.
Con riferimento alle difese datoriali, invece, è bene precisare che la normativa vigente ha formalizzato la comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto imponendo, ai fini dell'efficacia, di seguire una procedura telematica. Ciò conduce a riflettere sull'effettiva utilità per il datore, oggi, di eccepire una causa risolutiva diversa dal licenziamento ove, ad esempio, le dimissioni siano state comunicate oralmente o risultino dal comportamento complessivamente tenuto dal dipendente. L'inefficacia, quale conseguenza del mancato rispetto dei requisiti formali, viene così sostanzialmente a ricadere sul datore.
Sul punto si osserva che nel richiedere il rispetto di una specifica procedura il Legislatore ha voluto soddisfare un'esigenza di tutela del lavoratore rispetto a manifestazioni di volontà non adeguatamente ponderate o addirittura forzatamente imposte. Tuttavia non sfugge la possibilità di un uso distorto dello strumento di tutela: il dipendente, pur assentandosi per un arco di tempo rilevante o pur avendo dichiarato direttamente le proprie dimissioni, potrebbe far valere una quiescenza del rapporto in conseguenza dell'inefficacia di una siffata manifestazione della sua volontà. Tale considerazione ha portato taluni a sostenere che, qualora il datore riesca a provare in modo inequivocabile il volontario allontanamento del lavoratore ed il prolungato disinteresse dello stesso alla ripresa dell'attività, il rapporto dovrebbe ritenersi comunque risolto per facta concludentia, pur non essendo stata rispettata la procedura legale.
Su tale ultimo punto è bene evidenziare che anche il licenziamento determinato dalla condotta del dipendente può configurare una situazione di "disoccupazione involontaria", con conseguente insorgenza del diritto alla Naspi ; e dell'obbligo, per il datore, di versare il cd. ticket licenziamento.
Un correttivo rispetto a tale esito potrebbe, secondo taluni, consistere nel riconoscere al datore il risarcimento del danno conseguente all'inadempimento. Il lavoratore licenziato in ragione delle assenze ingiustificate, scientemente finalizzate ad indurre il datore al recesso, sarebbe obbligato a ristorare quest'ultimo dell'importo corrispondente al c.d. ticket di licenziamento, nonché dei danni eventualmente generati dalla mancata prestazione per il tempo dell'assenza (si veda: Tribunale di Udine n. 160/2021). In dottrina si è prospetta un'alternativa all'azione per risarcimento: il datore potrebbe scegliere di applicare sanzioni conservative ed invitare tempestivamente il lavoratore a riprendere la prestazione, il che costituirebbe un "patrimonio probatorio" connotato da una certa forza dimostrativa della volontà di recesso del lavoratore.
Sembra opportuno rammentare, in relazione alla procedura telematica summenzionata, che l'art. 1, co. 6, lett. g), L. delega n. 183/2014, richiedeva di tenere conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso del lavoratore, sicché il Governo avrebbe potuto replicare la previsione dell'abrogato art. 4, co. 19, L. n. 92/2012, consentendo al datore, in caso di inerzia del dimissionario, di invitarlo per iscritto ad adempiere alle formalità richieste ex lege con le conseguenze derivanti in termini di risoluzione del rapporto in ipotesi di mancata adesione all'invito, o comunque prevedere una diversa soluzione pur sempre idonea ad evitare quella situazione di incertezza derivante dal mancato rispetto delle formalità legali.
In linea con la ratio fondante l'art. 26 D.lgs. n. 151/2015, non sembra irragionevole sostenere che l'inefficacia delle dimissioni possa escludersi ogniqualvolta, dal complessivo comportamento delle parti, emerga in modo inequivocabile la volontà di recesso del lavoratore e l'assoluta inconfigurabilità di un'influenza datoriale. Per approfondire
G. Pellacani, Licenziamento orale o dimissioni? il riparto degli oneri probatori al tempo delle dimissioni vincolate, in Riv. It. Dir. Lav., 2022, 2, pp. 243 ss.
C. Murena, Licenziamento orale e onere probatorio: un pot-pourri giurisprudenziale, in Dir. Rel. Ind., 2020, 1, pp. 0171B ss.
Domenico De Feo, Licenziamento orale e onere della prova - licenziamento orale e ripartizione degli oneri probatori, in Giur. It., 2019, 12, pp. 2706 ss.
Giovanni Raiti, Sull'onere della prova del fatto «licenziamento», in Riv. Dir. Proc., 2019, 6, 1661
Massimo Viceconte, Licenziamento orale - la prova del licenziamento orale: la cassazione detta le linee da seguire, in Giur. It., 2019, 5, pp. 1141 ss.
A. Fenoglio, Le dimissioni del lavoro: corsi e ricorsi storici sotto la lente dell'analisi empirica, Riv. It. Dir. Lav., 2016, 1, pp. 273 ss.
Alessia Gabriele, l'accertamento del quomodo della risoluzione del rapporto di lavoro in assenza di atti formali: il confine mobile tra dimissioni e licenziamento orale, in Argomenti Dir. Lav., 2015, 3, pp. 689 ss.
M. Del Conte, Dimissioni del lavoratore: libertà di forma e primato della volontà, in Argomenti Dir. Lav., 2009, 1, pp. 353 ss.
M. Caro, La ripartizione dell'onere della prova dell'estinzione del rapporto di lavoro, in assenza di dichiarazioni negoziali scritte, in Riv. It. Dir. Lav., 2001, 2, pp. 166 ss.
A. Vallebona, Disciplina dell'onere probatorio e disparità sostanziale delle parti del rapporto di lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2001, pp. 777 ss. |