Disquisizioni in tema di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento (o “merger leveraged buy out”)
04 Novembre 2022
L'operazione da cui prende le mosse il presente contributo è stata introdotta formalmente nell'ordinamento italiano in occasione della riforma del diritto societario del 2003: in particolare, con l'inserimento dell'art. 2501-bis nel codice civile, il D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ha dato attuazione alle indicazioni fornite dal legislatore delegante nell'art. 7, lett. d), L. 3 ottobre 2001, n. 366. La disposizione citata concerne la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento o, in altre e forse più familiari parole, il merger leveraged buy out: si tratta della principale derivazione della più generale categoria del leveraged buy out, estremamente diffusa nella prassi nazionale e internazionale fin dagli anni '80 del secolo scorso. La ragione sottostante all'intervento del legislatore va rintracciata nell'importanza cruciale di tale costruzione sia in termini numerici che economici: ciò ha imposto la necessità di regolamentare puntualmente il fenomeno, cristallizzando in un dato normativo fisso, ma perfettibile a livello interpretativo, un'articolazione negoziale da tempo in voga nel panorama giuridico italiano e non solo. Come sopra accennato, il merger leveraged buy out rappresenta una particolare modalità attuativa del leveraged buy out, realizzata mediante fusione: l'ipotesi classica coinvolge un soggetto (di solito una società, detta raider) che intende acquistare la partecipazione totalitaria o di maggioranza di una società (detta target), pur non avendo a disposizione le somme necessarie. Per ovviare a tale problema, la società raider costituisce una nuova società (cd. newco), dotandola solitamente di un capitale esiguo. Successivamente la newco si indebita con un istituto di credito e/o con una società finanziaria specializzata, al fine di ottenere le somme necessarie ad acquistare il pacchetto di maggioranza della target; non è infrequente che a garanzia del prestito la newco conceda alla banca un pegno sulle azioni della target (cd. share purchase agreement). A questo punto la newco procede all'acquisto del pacchetto di maggioranza della target e delibera una fusione per incorporazione della target nella newco, che ovviamente viene approvata dall'assemblea della prima, dato che la maggioranza dei voti fa ora capo alla seconda. Dopo la fusione, il debito inizialmente sottoscritto dalla newco per dare luogo all'operazione descritta viene a gravare sulla neonata newco+target e, per l'esattezza, sul patrimonio unificato delle due società fuse. Poi, a fusione conclusa, al pegno sulle azioni della target, inizialmente concesso dalla newco alla banca finanziatrice, viene sostituita una garanzia reale su beni compresi nel suo patrimonio. Dall'esame della struttura dell'operazione si evince che le risorse che verranno successivamente impiegate per la restituzione dell'acquisition debt sono estratte dal patrimonio della target, costretta a sopportare il peso economico dell'operazione. Infatti, l'acquisita dovrà destinare i propri redditi o i futuri flussi di cassa al soddisfacimento dei finanziatori della newco, a cui quei redditi o quei flussi di cassa sono già stati promessi dal promotore o dalla raider, in origine, al fine di ottenere il finanziamento. Con uno sguardo più analitico, le modalità utilizzabili per il rimborso del prestito iniziale, sottoscritto dalla newco,sono: - modalità cd. del cash flow prospettico: per far fronte al debito vengono impiegati i flussi di cassa realizzati dalla newco+target, la cui realizzazione rappresenta lo scopo primario del nuovo management. In questo modo il patrimonio della target diviene solo fonte indiretta del rimborso, in quanto, in concreto, a tal fine verranno utilizzati solo i suoi frutti; - modalità cd. asset-based finance: in tale ipotesi, invece, verranno ceduti alcuni beni del patrimonio della target ritenuti dal nuovo management non essenziali a fini dello svolgimento e della prosecuzione dell'attività d'impresa. Qui allora, in senso diametralmente opposto alla modalità precedente, il patrimonio della target costituisce la fonte diretta del rimborso del prestito iniziale. È cristallino, dunque, come la giustificazione sostanziale dell'operazione sia rappresentata dalla traslazione del debito di acquisizione sulla target: in virtù di ciò, la raider può procedere all'acquisizione impiegando in misura molto limitata il proprio patrimonio originario (cd. equity) e in misura assolutamente preponderante le somme ottenute col finanziamento (cd. acquisition debt), per poi sfruttare la facoltà di traslare successivamente il peso economico dell'operazione sulla stessa società acquisita. Per quanto attiene agli interessi coinvolti, da un lato, si colloca l'interesse del soggetto promotore o della società raider a trarre un profitto di carattere economico, che si ritiene assicurato dal fatto che la target presenti un potenziale economico inespresso e facilmente realizzabile con una gestione corretta ed efficiente. Tale considerazione si pone, almeno formalmente, a fondamento della scelta di ricorrere all'operazione in questione. Dall'altro lato, invece, vi è il contrapposto interesse della target, e in particolare dei suoi soci, a non assistere all'acquisizione e alla cessione a pezzi della loro società. Poi, a latere rispetto a quelli appena citati, si rinviene l'interesse del mercato all'agevolazione della contendibilità del controllo: si tratta di un aspetto fondamentale che consente a chiunque abbia un buon piano imprenditoriale di realizzarlo, pur non avendo fin dall'inizio le risorse economiche necessarie per farvi fronte. La tutela della posizione di tali soggetti è fondamentale per incrementare la liquidità e l'efficienza di un settore cruciale del mercato, facilitandone lo sviluppo e l'inclusività.
La lettura del primo comma dell'art. 2501-bis c.c. pone in rilievo gli elementi essenziali, o costitutivi, della fattispecie contemplata dalla norma, quali: - l'acquisto del controllo della target a opera della raider; - l'indebitamento della raider al fine di attuare l'operazione; - la fusione (per incorporazione o inversa) tra la raider e la target; - la circostanza che il patrimonio della target venga utilizzato come garanzia generica o fonte del rimborso del finanziamento inizialmente ottenuto dalla raider. Il dato letterale della disposizione palesa la necessità che tali elementi sussistano in via cumulativa al fine di integrare la fattispecie disciplinata. Inoltre, il ricorso all'attività ermeneutica consente di individuare alcune soluzioni interpretative di notevole rilievo riguardo al comma citato: in primis, l'impiego del criterio letterale consente di interpretare il riferimento generico alle “società”, senza alcuna specificazione riguardante il tipo, come un'affermazione dell'applicabilità dell'art. 2501-bis a tutte le società di capitali e anche alle società cooperative. Difatti, l'argomento sistematico impone di valorizzare la collocazione della disposizione nell'ambito della disciplina della fusione, applicabile indistintamente a tutte le società di capitali e anche alle società cooperative, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 2545-novies, comma 2. In secundis, guardando nuovamente al dato sistematico, si nota come nell'art. 2505-quater, sulle fusioni che non coinvolgono società con capitale rappresentato da azioni, venga sancita l'esclusione di queste ultime dall'assoggettamento ad alcune disposizioni sulla fusione, senza però richiamare l'art. 2501-bis. Ciò sembra aprire la strada all'applicazione di tale disciplina anche alle società di persone, sia pur riconoscendo una certa rarità di tale fenomeno. Osservando la restante parte della norma, si comprende come il fulcro della stessa sia rappresentato dagli obblighi posti in capo agli amministratori, agli esperti ed eventualmente alla società di revisione. Si tratta di una serie di previsioni che impongono oneri e adempimenti ulteriori rispetto a quanto richiesto nel procedimento ordinario di fusione, da cui è conseguito un efficace rafforzamento della posizione dei soci di minoranza e dei creditori della target attraverso lo sfruttamento della trasparenza e dell'informazione. Pertanto, in dottrina si è correttamente osservato che l'art. 2501-bis ha introdotto un procedimento speciale di fusione, o comunque una disciplina integrativa della fusione stessa. Infatti, nell'ambito di una fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, le ulteriori informazioni che vanno inserite nel progetto di fusione, nella relazione dell'organo amministrativo e nella relazione degli esperti rappresentano un'aggiunta integrativa delle informazioni già richieste, nell'ambito di una normale fusione, dalla disciplina generale. In primo luogo, esaminando il progetto di fusione, in base all'art. 2501-bis, comma 2, c.c. esso deve “indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione”. Dunque, tale documento, che in base all'art. 2501-ter, comma 3 è soggetto a pubblicità legale mediante l'iscrizione nel registro delle imprese, deve essere integrato con l'indicazione delle informazioni rilevanti, nella preliminare valutazione dei promotori e dei finanziatori, in ordine alla sostenibilità dell'operazione. Lo scopo che giustifica tale specifica richiesta è quello di informare i soci e i creditori circa le modalità con cui gli amministratori ritengano possibile il rimborso del finanziamento da parte della società risultante dalla fusione. In ultima analisi, a differenza della disciplina generale, l'art. 2501-bis, comma 2 richiede agli amministratori di fornire, sulla base di un'analisi ponderata, l'indicazione chiara e precisa dell'ammontare complessivo dell'indebitamento che farà capo alla società risultante dalla fusione, nonché l'individuazione delle specifiche risorse con cui si intende fronteggiare lo stesso. In secondo luogo, l'art. 2501-bis, comma 3 stabilisce che la relazione degli amministratori debba “indicare le ragioni che giustificano l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con l'indicazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere”. Anche questa previsione contiene un'integrazione della disciplina generale della relazione degli amministratori contenuta nell'art. 2501-quinquies, che si limita a richiedere agli amministratori delle società partecipanti all'operazione di giustificare il progetto di fusione dal punto di vista giuridico ed economico. Sembra corretto ritenere che la giustificazione ex art. 2501-bis consti della descrizione delle ragioni poste a fondamento del piano economico-finanziario e del rischio di alterazione dell'equilibrio finanziario della società risultante dalla fusione, a causa della traslazione dell'acquisition debt. Parte della dottrina ha correttamente postulato che la motivazione di cui si sta parlando è correlata non già alla sola fusione (come previsto dalla disciplina generale), ma all'intera operazione che consta di plurimi elementi (indebitamento; acquisizione del controllo; fusione): gli amministratori dovranno giustificare non solo la proposta di fusione, ma anche menzionare le ragioni che li inducono a ritenere la stessa come possibile fonte di rimborso o garanzia dell'indebitamento, senza alterazioni negative dell'equilibrio economico-finanziario della società. Peraltro, lo stesso comma 3 dell'art. 2501-bis contiene un'ulteriore indicazione interessante: la relazione degli amministratori deve contenere anche un piano economico e finanziario, che dovrà coprire l'intero periodo entro cui verrà ripagato il finanziamento: a tal fine, dunque, nella sua redazione gli amministratori dovranno fare ricorso a metodi tipici della prassi valutativa delle aziende, volti a prevedere i flussi di cassa attesi in un certo periodo di tempo futuro. Il piano deve poi essere corredato dell'indicazione della “fonte delle risorse finanziarie” e della descrizione degli “obiettivi che si intendono raggiungere”: da un lato, si noti che il primo disposto non coincide con quello di cui al comma 2, in quanto l'indicazione qui richiesta è di gran lunga più dettagliata; dall'altro, si consideri che la descrizione menzionata deve necessariamente concernere l'intera costruzione posta in essere e tende a colmare le inevitabili asimmetrie informative intercorrenti tra le parti coinvolte. In terzo luogo, il comma 4 dell'art. 2501-bis assegna agli esperti il compito di attestare “la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma”. Pertanto, nell'ambito di una fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, gli esperti hanno il dovere di fornire una valutazione circa la ragionevolezza delle “risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società”, che devono essere indicate nel progetto di fusione dagli amministratori, ai sensi dell'art. 2501-bis, comma 2. Tale indicazione da parte degli amministratori è basata su una previsione relativa a un momento successivo al perfezionamento della fusione: essi dovranno dare conto della situazione economico-finanziaria in cui si troverà la società risultante dalla fusione, con particolare riferimento alla sua capacità di fronteggiare il complessivo indebitamento che farà capo alla medesima. In ogni caso non si deve ritenere che l'attestazione possa assolvere alla funzione di garantire che le previsioni contenute nel progetto di fusione, si realizzeranno integralmente nei termini previsti: potrebbero, infatti, verificarsi eventi estranei o imprevedibili, idonei a minare in tutto o in parte la correttezza delle stime degli amministratori. Del resto, non può essere addossata a un soggetto estraneo alla società, quale l'esperto, la responsabilità per l'eventuale mancato rimborso del finanziamento contratto inizialmente dalla raider, nei tempi prospettati dagli amministratori nel progetto di fusione. Ultimo aspetto della disciplina da esaminare è rappresentato dal comma 5 dell'art. 2501-bis, che impone di allegare al progetto di fusione una “relazione della società di revisione incaricata della revisione contabile obbligatoria della società obiettivo o della società acquirente”. Si tratta di una disposizione poco chiara: per un verso, nulla è disposto in merito al contenuto di tale relazione e tale mancanza di specificità ha condotto alcuni in dottrina a ritenere che si tratti di una revisione concernente i dati contabili utilizzati dagli amministratori come base per l'elaborazione del piano economico-finanziario; per altro verso, si riscontra l'assenza di specifica disposizione in merito a quale società di revisione debba redigere la relazione ex comma 5, ove sia la target sia la raider siano soggette a revisione contabile obbligatoria: l'articolo, infatti, sembrerebbe esprimersi in termini alternativi.
Problemi inerenti alla disciplina e relativi rimedi
Per certi versi, la disciplina della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento è alquanto stringente ma, al contempo, risulta innegabile la sua forte vocazione a contrastare tutta una serie di problematiche legate a quelle che parte della dottrina ha definito “fusioni pericolose”: per tali si intendono le fusioni inserite nel contesto di un merger leveraged buy out strutturato appositamente per essere collocato sul labile confine che separa quelli sussumibili nella fattispecie astratta di cui all'art. 2501-bis c.c. e quelli non riconducibili a tale disposizione per mancanza di uno, o più, degli elementi essenziali. In particolare, il principale rischio di distorsione dell'istituto è stato ritenuto il perseguimento di finalità viziate per vari motivi: si pensi alle situazioni di conflitto d'interessi che coinvolgono i soggetti partecipanti all'operazione; inoltre, si potrebbe anche fare riferimento all'intenzione di eludere la disciplina di cui all'art. 2358 c.c., quella dettata da altre norme imperative o, ancora, quella prevista dallo statuto della target o da diritti privati di soci o di terzi. Inoltre, altra parte della dottrina ha sostenuto che l'art. 2501-bis c.c. miri a introdurre uno strumento di informazione pre-assembleare a carattere preventivo, idoneo sia a fornire ogni informazione rilevante sull'operazione complessivamente intesa sia a consentire ai soci e ai creditori di esercitare in modo consapevole, rispettivamente, il diritto di voto ed eventualmente il diritto di impugnazione della delibera assembleare, nonché il diritto di opposizione ex art. 2503. In senso conforme, è stato anche affermato che la soluzione adottata dal legislatore tende a rendere più agevole per l'autorità di controllo o per altri soggetti eventualmente danneggiati, che non siano soci o creditori della società, il ricorso ai rimedi necessari e opportuni. Pertanto, l'art. 2501-bis rappresenta una disposizione che aspira all'agevolazione delle iniziative autodifensive di coloro che possano subire gli effetti negativi di abusi o frodi perpetrate dai promotori dell'operazione. Tale obiettivo è perseguito attraverso l'impiego dei fondamentali strumenti dell'informazione e della trasparenza, i quali sono in grado di prevenire eventuali abusi e frodi: l'indicazione delle motivazioni sottostanti alla decisione di ricorrere all'istituto, l'esposizione degli scopi perseguiti dai promotori, nonché il resoconto di ogni atto compiuto e da compiere sono specificazioni che rendono gli adempimenti documentali generalmente richiesti in caso di fusione dei mezzi di prevenzione contro eventuali impieghi patologici della disciplina ex art. 2501-bis c.c.. Oltre ai già menzionati rimedi civilistici a carattere reale (impugnazione delle delibere assembleari e diritto di opposizione), vi sono quelli a carattere obbligatorio: da un lato, vi è la disposizione di cui all'art. 2504-quater che esclude la possibilità di far valere l'invalidità della fusione dopo l'adempimento di tutte le formalità pubblicitarie, facendo salvo, però, il diritto al risarcimento dei danni per i soci e per i terzi eventualmente danneggiati. Tale rimedio è specificatamente previsto per escludere la possibilità di una dichiarazione di invalidità di una fusione dopo un termine predeterminato e sembra presupporre la concreta verifica della non sostenibilità economico-finanziaria dell'operazione. Dall'altro lato, i soci di minoranza che non raggiungono le soglie di cui all'art. 2377, comma 3, c.c. ai fini dell'impugnazione delle delibere di fusione invalide, assistono alla conversione della loro tutela da reale a obbligatoria: sorge in capo agli stessi il diritto al risarcimento del danno ex art. 2377, comma 4, c.c. Lo strumento, espressione di un principio generale in materia di risarcibilità del danno, è predisposto a favore dei soci danneggiati dalla delibera, ma anche a favore dei terzi che subiscano un pregiudizio dal merger leveraged buy out. Infine, meritano di essere rapidamente citati i rimedi cd. preventivi, definiti tali poiché la loro concretizzazione si colloca in una fase anteriore all'avvio del procedimento di fusione tra la target e la raider. Tra essi si annovera il diritto di recesso, con cui il socio di minoranza può uscire dalla società e ottenere la liquidazione della propria quota in un momento collocato tra l'acquisto del controllo della target da parte della raider e l'avvio del procedimento di fusione. A tal fine, però, deve ricorrere uno dei casi contemplati normativamente, quali l'offerta pubblica di acquisto totalitaria, l'ipotesi di cui all'art. 2497-quater, comma 1, lett. c) c.c., nei gruppi di società o la fattispecie ex art. 2473 c.c. in una s.r.l. Considerazioni conclusive
Con l'introduzione dell'art. 2501-bis c.c. il legislatore ha legittimato un'operazione la cui rilevanza nella prassi era innegabile: l'effetto principale di questa scelta modernizzatrice dell'ordinamento italiano è stato, certamente, l'incremento della contendibilità del controllo delle imprese. Infatti, ricorrendo alla fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, chiunque potrà conseguire il controllo di una società pur non disponendo in origine delle somme necessarie. A tal fine, sarà sufficiente l'adempimento delle formalità prescritte dalla disposizione citata e, soprattutto, la predisposizione di un progetto imprenditoriale valido da sottoporre al vaglio del finanziatore, che deciderà se concedere o meno il prestito primariamente sulla base dello stesso. D'altro canto, il legislatore, conscio degli ineliminabili rischi correlati all'istituto, ha voluto dettare una disposizione alquanto stringente e idonea a ridurre al minimo lo spazio di manovra per chiunque volesse sfruttare la disciplina ex lege per conseguire indebiti vantaggi o per insinuarsi intenzionalmente in zone grigie e sottrarsi in tutto o in parte all'applicazione delle disposizioni dettate dal Codice civile.
Nella redazione del presente contributo si è fatto principalmente riferimento ai contributi di Ardizzone L., Art. 2501-bis (in Commentario alla riforma delle società diretto da marchetti, bianchi, ghezzi, notari, Milano, Giuffrè, 2006, 463), Picone L. G., Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario, (in Contr. impr., 2003, 1391) e Spolidoro M. S., Fusioni pericolose (merger leveraged buy-out), (in Le operazioni societarie straordinarie: questioni di interesse notarile e soluzioni applicative, Milano, 2007, 82 ss.). Inoltre, per alcuni specifici aspetti è stata ripresa l'elaborazione di Lucarelli P., La nuova disciplina delle fusioni e delle scissioni: una modernizzazione incompiuta, (in Riv. Soc., 2004, 1389) e di Guerrera F., Trasformazione, fusione e scissione, (in “Diritto delle società di capitali. Manuale breve”, Milano, 2003, 326).
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