La denunciata invalidità del controricorso per cassazione non costituisce vizio revocatorio
08 Novembre 2022
Massima
In tema di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, non rappresenta un vizio riconducibile al combinato disposto degli artt. 391-bis e 395, n. 4), c.p.c. la prospettazione di una errata valutazione in ordine alla ritualità della costituzione del controricorrente, per non avere la Corte rilevato che quest'ultimo aveva proceduto alla notifica del controricorso presso la cancelleria, sebbene il ricorso per cassazione contenesse l'indicazione della PEC del difensore del ricorrente, poiché l'errore, ove sussistente, non costituirebbe un errore di fatto, ma un errore di giudizio, conseguente a una errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali. Il caso
Parte ricorrente impugnava per revocazione la pronuncia della Corte di cassazione resa nei suoi confronti, la quale aveva rigettato il suo ricorso condannandolo alle spese di lite, sostenendo che il controricorso avversario non gli era stato mai notificato e che, specificamente, nel frontespizio del ricorso per cassazione era indicato il suo domicilio in Napoli e l'indirizzo PEC per le notificazioni; tuttavia, la sua controparte - Inps - aveva notificato il ricorso esclusivamente presso la Cancelleria della Corte di Cassazione. La questione
Sosteneva il ricorrente, nel proprio atto in cui denunciava la pronuncia chiedendone la revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. che la condanna alle spese pronunciata nella sentenza revocanda era frutto della supposizione di un fatto, la costituzione della parte avversaria, la cui verità era incontrastabilmente esclusa, poiché, alla luce di quanto affermato, non poteva dirsi che l'Inps avesse assunto la qualità di controricorrente non avendo essa correttamente notificato il controricorso, con il quale ai fini delle spese si instaurava la relazione processuale presupposto per la loro rifusione in caso di vittoria del controricorrente ridetto. Le soluzioni giuridiche
Premette la Corte che ai sensi dell'art. 366, comma 2, c.p.c. la notificazione degli atti alla cancelleria della Corte di Cassazione è subordinata alla duplice condizione della mancata elezione di domicilio in Roma e della mancata indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata, con la conseguenza che, ove il ricorrente abbia indicato nel ricorso l'indirizzo PEC, il destinatario della notifica che voglia proporre controricorso non possa avvalersi della notificazione presso la Cancelleria della Corte, essendo tenuto alla notificazione per via telematica. Venendo al profilo denunciato nel ricorso per cassazione ritiene la Corte, nel rigettare il ricorso per revocazione, che resta escluso dall'area del vizio revocatorio il sindacato di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché l'errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto (Cass. 27 dicembre 2017, n. 30994 e molte altre conformi). Osservazioni
La pronuncia in commento conferma l'orientamento costante e coerente della Corte di Legittimità secondo il quale l'errore richiesto ai fini della revocazione deve essere meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass. 8 maggio 2017, n. 11202). In sintesi e per punti, può allora rilevare come il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l'esistenza o l'inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa. Proprio in un caso simile a quello in nota, in cui nel giudizio per cassazione era stato omesso il rilievo che il controricorso era stato notificato alla parte personalmente, anziché al procuratore nel domicilio eletto (Cass. 10 giugno 2021, n. 16439) veniva in rilievo la considerazione incentrate sull'omesso esame di un fatto sostanziale o processuale (nella specie, la circostanza della mera non ritualità della notificazione del ricorso). Tale elemento può dare luogo ad un vizio motivazionale o alla violazione di norma processuale, ma non integra un errore revocatorio ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. che viceversa consiste nella viziata percezione o nella falsa supposizione (espressa e mai implicita) dell'esistenza o inesistenza di un fatto sostanziale o processuale, non controverso fra le parti, la cui esistenza o inesistenza è incontrastabilmente esclusa o positivamente stabilita, dagli atti o documenti della causa (Cass. n. 14610/2021). Infatti, la revocazione della sentenza di cassazione è consentita per vizi del procedimento di cui non si sia tenuto conto per un errore di fatto, ovvero per un errore percettivo che può riguardare anche l'esame degli atti dello stesso processo di cassazione (fra le tante Cass. 4 gennaio 2006, n. 24). Affinché sia ammissibile il ricorso per revocazione è necessario che la valutazione di corretta instaurazione del rapporto processuale sia inficiata non da un errore di diritto, per avere considerato valida una notificazione altrimenti invalida, ma da un errore di fatto rilevante quale errore percettivo per avere il giudice supposto esistente un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa e viceversa, secondo quanto chiaramente espresso dall'art. 395 n. 4 c.p.c. La censura complessivamente rivolta dai ricorrenti alla revocanda ordinanza, sul presupposto che non si potesse addivenire alla affermazione di validità della notifica del controricorso a parte ricorrente, mira nella sostanza a contestare il mancato apprezzamento in termini di invalidità della notificazione del controricorso. Si sostiene in concreto che detta notifica è stata ritenuta valida mentre doveva dichiararsi invalida. Ebbene, tale operazione sensoriale e intellettuale (l'esame degli atti e la loro valutazione) costituisce la denuncia di un errore di giudizio (Cass. 15 novembre 2013, n. 25654), non di un errore revocatorio. Coerentemente, è stato affermato dalla giurisprudenza di Legittimità che non integra un errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c. l'omesso rilievo di un vizio concernente la ritualità della notificazione dell'atto di impugnazione sotto il profilo del luogo in cui è stata eseguita (Cass. 20 dicembre 2016, n. 26278) in quanto determinante ai fini dell'esistenza dell'errore revocatorio è che vi sia stata un'attività percettiva da parte del giudice, attività tradottasi nel supporre esistente un fatto la cui esistenza sia incontrovertibilmente esclusa dagli atti. Particolarmente chiara pare sul punto l'indicazione data da una non più recente pronuncia (Cass. 21 luglio 2010, n. 17110) che distingue fra il supporre (erroneamente, nel processo intellettuale di valutazione) l'esistenza del fatto e l'omessa (attività materiale consistente nel prendere visione) di valutazione: «la viziata percezione, la supposizione errata della sussistenza o insussistenza del fatto, dovrà necessariamente essere espressa e mai implicita, posto che in tal caso sussisterebbe piuttosto vizio di motivazione, di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. In tal senso, ove l'errore del giudice non sia frutto di un'errata supposizione, direttamente desumibile dagli atti e documenti di causa, circa la sussistenza di un fatto decisivo e non contestato, ma di un'omessa percezione di tale fatto, essa non potrà integrare gli estremi dell'errore revocatorio, ricadendo, al contrario, nell'ambito di un'omessa valutazione dei fatti di causa, che sarebbe censurabile ex art. 360 n. 5 c.p.c., se si riferisse a fatti sostanziali, ovvero ex art. 360 n. 4 c.p.c., ove si trattasse di omesso esame di fatti processuali». In continuità a tale impostazione è stato di recente affermato che "l'implicita declaratoria di rituale instaurazione del contraddittorio - che questa Corte deve effettuare ex officio - scaturente dall'avere la sentenza qui impugnata ritenuto i lavoratori "intimati" (pag. 3), senza rilevare la pretesa nullità della notificazione del ricorso per cassazione, non costituisce errore di percezione tale da configurare un vizio revocatorio il quale postula che la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa e non sia frutto di valutazione o di giudizio, risultando dagli atti e documenti senza che sia contestata dalle parti e senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche" (Cass. 13 febbraio 2019, n. 4235). Diversamente, è invece affetta da errore di fatto revocatorio la decisione della Corte di cassazione che si fondi sull'asserita mancanza della notifica del ricorso per cassazione ove questa invece risulti dagli atti, trovandosi nel fascicolo processuale la prova della notifica (Cass. 10 luglio 2015, n. 14420), o ancora la decisione in cui il giudice d'appello abbia dichiarato inammissibile il gravame sull'erroneo presupposto della non corretta notifica del suo atto introduttivo (Cass. 14 novembre 2016, n. 23173) che invece è stato correttamente notificato come da prova pure in atti. Il motivo di revocazione in esame, quindi, non denunciava – nel caso che ci occupa - l'esistenza di un'erronea supposizione che sarebbe stata compiuta dalla Corte e che si sarebbe manifestata nella motivazione ma la mera circostanza della mancata notifica del controricorso a parte ricorrente. Proprio in forza delle chiare indicazioni di cui si è detto (ancora Cass. 21 luglio 2010, n. 17110 citata ut supra) va sottolineato che la mera mancanza di disamina della questione, integrativa di una mera omissione e non di un'attività percettiva (sia pure erronea) è suscettibile di integrare astrattamente una violazione processuale; essa non costituisce però errore revocatorio che implica la positiva (ed erronea) supposizione di un fatto. Dalla decisione della Corte si evince qui come la parte ricorrente abbia in realtà confuso in definitiva l'effetto giuridico (in termini di invalidità per la asserita violazione processuale) con l'attività del giudice, la quale comporta una percezione e la relativa supposizione, come recita l'art. 395, n. 4. Fatto costitutivo della revocazione è allora non l'effetto della violazione processuale ma l'eventuale attività percettiva e di supposizione, manifestatasi nella motivazione, che costituisca la causa di quell'effetto; da qui deriva anche la necessaria decisività dell'errore revocatorio, nel senso che se il giudice non vi fosse incorso, la pronuncia giudiziale sarebbe stata diversa. Conclusivamente, la pronuncia in commento è elemento di conferma e continuità di quella giurisprudenza anche recente (Cass. Sez. 3, sent., 16 maggio 2021, n. 14610; Cass. Sez. 2, ord., 24 settembre 2020, n. 20113) secondo la quale l'omesso esame di un fatto sostanziale o processuale (nella specie, la circostanza della mera non ritualità della notificazione del ricorso) può dare luogo ad un vizio motivazionale o alla violazione di norma processuale, ma non integra un errore revocatorio ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. che viceversa consiste nella viziata percezione o nella falsa supposizione (espressa e mai implicita) dell'esistenza o inesistenza di un fatto sostanziale o processuale, non controverso fra le parti, la cui esistenza o inesistenza è incontrastabilmente esclusa o positivamente stabilita, dagli atti o documenti della causa. |