Fallimento del terzo datore di ipoteca e “responsabilità senza debito”

08 Novembre 2022

Il Tribunale campano affronta la dibattuta questione della necessità o meno, per il creditore ipotecario, di insinuare il proprio credito al passivo del fallimento del terzo datore di ipoteca, al fine di poter successivamente partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita dell'immobile ipotecato, ancorché il soggetto passivo della pretesa creditoria sia diverso dal fallito.
Le massime

In caso di fallimento del terzo datore di ipoteca, la banca titolare della prelazione non deve partecipare alla procedura di accertamento del passivo, ferma restando la propria facoltà di far valere i suoi diritti in sede di riparto.

Dal combinato disposto degli artt. 111 bis e 111 ter l. fall. emerge che i creditori prededucibili devono essere soddisfatti in via prioritaria rispetto a tutti gli altri creditori con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare non gravato da garanzie reali, nel rispetto del criterio proporzionale, mentre il ricavato della vendita dei beni muniti di garanzia reale è destinato ai creditori garantiti ed è acquisito alla massa fallimentare soltanto de residuo.

I debiti prededucibili contratti per la manutenzione, amministrazione e vendita dei beni oggetto della garanzia sono soddisfatti con preferenza anche rispetto ai crediti con garanzia reale (cd. spese specifiche: ad es. spese di pubblicità, spese perito che ha effettuato la stima), così come una quota delle cd. spese generali (ad es. compenso curatore; spese per comunicazioni e notifiche) che dovrà essere calcolata secondo un criterio che rispecchi il rapporto proporzionale fra il valore dei beni immobili ipotecati rispetto a quello della restante parte dei beni liquidati nell'ambito del fallimento.

Il caso

Il provvedimento in commento è stato emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere all'esito del reclamo ex art. 26 l. fall. proposto da un soggetto dichiarato fallito personalmente avverso il decreto con cui il Giudice Delegato aveva disposto che il curatore del fallimento procedesse al deposito del conto della gestione tenendo conto del credito, garantito da ipoteca iscritta su un immobile facente parte della massa fallimentare, vantato da una banca verso un soggetto diverso dal fallito. Il Tribunale, disattendendo la tesi del reclamante, ha affermato che il curatore, in sede di presentazione del conto della gestione e di predisposizione del piano di riparto, dovesse tenere conto del credito della banca, ancorché quest'ultima non avesse presentato domanda di insinuazione al passivo, trattandosi di credito da essa vantato nei confronti di un soggetto diverso dal fallito, in relazione al quale quest'ultimo aveva assunto unicamente la veste di terzo datore di ipoteca.

Con l'occasione, il Tribunale ha altresì precisato, su specifica richiesta del curatore, che il ricavato della vendita dell'immobile gravato da ipoteca deve essere destinato prioritariamente alla soddisfazione degli oneri prededucibili relativi al suddetto bene, comprensivi sia delle spese sostenute per la manutenzione, l'amministrazione e la vendita dell'immobile sia della quota parte delle spese generali di procedura riferibile al medesimo immobile, e solo per l'eccedenza attribuito al creditore ipotecario.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il provvedimento in esame affronta la dibattuta questione della necessità o meno, per il creditore ipotecario, di insinuare il proprio credito al passivo del fallimento del terzo datore di ipoteca, al fine di poter successivamente partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita dell'immobile ipotecato, ancorché il soggetto passivo della pretesa creditoria sia diverso dal fallito.

Come si evince dalla prima massima sopra riportata, il Tribunale campano ha risolto la questione in senso negativo, in conformità all'orientamento largamente prevalente della giurisprudenza di legittimità.

Il Tribunale ha poi precisato che anche in tale fattispecie i crediti prededucibili riferibili all'immobile concesso in garanzia dal fallito devono essere soddisfatti con preferenza rispetto al credito garantito da ipoteca (come si evince dalla seconda e dalla terza massima sopra riportate).

Osservazioni

La pronuncia in commento ha ad oggetto la tematica del fallimento del terzo datore di ipoteca (cd. responsabile non debitore), fattispecie che, come noto, pone rilevanti problematiche applicative, connesse in particolare all'individuazione degli strumenti che il beneficiario dell'ipoteca deve utilizzare per far valere i propri diritti nell'ambito di una procedura concorsuale che investe non già il proprio debitore, ma un soggetto terzo che ha prestato una garanzia reale in favore di quest'ultimo.

La soluzione accolta, sul punto, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere è conforme all'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, anche successiva alla riforma del 2006/2007, la quale è solita escludere la necessità, per il beneficiario dell'ipoteca, di insinuarsi al passivo del fallimento del terzo datore di ipoteca, al fine di poter partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni oggetto del diritto reale di garanzia costituito in suo favore (in tal senso, cfr., tra le altre: Cass. 21 gennaio 2021, n. 1067; Cass. 12 luglio 2019, n. 18790; Cass. 14 maggio 2019, n. 12816). Gli argomenti generalmente addotti a sostegno di tale soluzione possono essere così riassunti:

- il richiamo, contenuto nell'art. 52 l. fall. (che come noto sancisce la regola del concorso formale dei creditori sul patrimonio del fallito), ai “diritti reali immobiliari” deve intendersi riferito esclusivamente ai diritti reali di godimento, e non anche ai diritti reali di garanzia costituiti dal terzo non debitore, in considerazione dell'assenza di un credito verso il fallito;

- l'art. 93 l. fall., che tratta delle domande di “ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili”, al pari dell'art. 101 l.fall. in tema di insinuazioni tardive, non fa riferimento ai diritti reali di garanzia;

- l'art. 103 l. fall. in materia di domande di rivendica e restituzione, il cui ambito di applicazione è stato esteso, a seguito delle modifiche apportate dal d. lgs. 5/2006, anche ai beni immobili, non contiene l'espresso riferimento alla domanda di separazione, “che, viceversa, dovrebbe trovare applicazione nel caso di specie” (così Cass. 18790/19, cit.);

- l'art. 92 l. fall. non impone espressamente al curatore di avvisare dell'intervenuta dichiarazione di fallimento il titolare di prelazione sui beni del fallito;

- per contro, a seguito dell'abrogazione dell'art. 108, comma 4, l. fall., l'avviso di cui all'art. 107, comma 3, l. fall. avrebbe proprio la funzione di consentire al terzo garantito di avere notizia del fallimento e di intervenire in sede di riparto.

Rispetto a tale consolidato orientamento giurisprudenziale, si registra, nella giurisprudenza di legittimità, un unico precedente difforme, costituito da Cass., 30 gennaio 2019, n. 2657 (poi espressamente sconfessato dalla citata Cass. 18790/19), che ha invece accolto l'opposta tesi secondo cui la riforma del 2006, intervenendo sulla formulazione delle norme sopra richiamate, avrebbe introdotto il diritto/onere del beneficiario della garanzia reale di insinuare il proprio credito al passivo del fallimento del terzo datore di ipoteca; il che, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in questione, troverebbe “decisiva conferma nel fatto che l'inclusione dell'accertamento del diritto del terzo non creditore, garantito da ipoteca, nella fase di formazione dello stato passivo è certamente preferibile dal punto di vista logico-sistematico, sia per l'indubbia affinità di tale accertamento a quella fase, sia perché consente di superare ogni incertezza quanto alle modalità e ai termini dell'accertamento stesso, collocandolo nell'ambito di un subprocedimento, quale quello di formazione dello stato passivo, che prevede garanzie di partecipazione per tutti i soggetti interessati ed è ispirato a condivise esigenze di tempestività”.

Sennonché, l'orientamento prevalente, sposato anche dalla pronuncia in commento, appare nel complesso maggiormente aderente alla disciplina dettata dalla legge fallimentare, che in effetti non subordina espressamente il riconoscimento dei diritti spettanti al beneficiario della garanzia ipotecaria alla previa insinuazione di quest'ultimo al passivo del fallimento del terzo datore di ipoteca, tenuto conto altresì che, come è stato giustamente osservato, se si ammette che il diritto del beneficiario dell'ipoteca possa essere oggetto di accertamento secondo le regole del concorso nel fallimento del terzo datore, diventa indispensabile anche un esame del credito verso il debitore, con conseguente necessità di introdurre un contraddittorio, non previsto dalla legge fallimentare, con un soggetto – quale è, per l'appunto, il debitore in favore del quale è stata costituita l'ipoteca – estraneo alla procedura concorsuale che coinvolge il terzo datore di ipoteca (in tal senso si veda G. BOZZA, Fallimento del terzo datore di ipoteca e il procedimento di verifica dello stato passivo del diritto reale di garanzia, in Fall., 2021, 6, 737, il quale non manca, tuttavia, di evidenziare l'incertezza circa le modalità con cui il beneficiario della garanzia reale possa far valere, in sede di riparto, la sua prelazione sul bene oggetto di ipoteca appreso al fallimento del terzo datore).

Lo scenario sopra delineato appare però destinato (contrariamente a quanto affermato dalla Suprema Corte nella citata pronuncia n. 18790/2019) a mutare radicalmente a seguito dell'entrata in vigore del Codice della Crisi e dell'Insolvenza, il quale ha introdotto, conformemente alle indicazioni della legge delega, una specifica disciplina della fattispecie qui in esame; la norma di riferimento è l'art. 201 CCI, il quale prevede, al primo comma, che le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura di liquidazione giudiziale ipotecati a garanzia di beni altrui si propongono con ricorso da trasmettere almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo. Il terzo comma del medesimo articolo precisa poi che detto ricorso deve contenere l'indicazione dell' “ammontare del credito per il quale si intende partecipare al riparto se il debitore nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale è terzo datore di ipoteca.

Inoltre, l'art. 204 CCI, in tema di formazione ed esecutività dello stato passivo, prevede, al quinto comma, che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito delle impugnazioni previste dal successivo art. 206, producono effetti soltanto ai fini del concorso “limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui”.

Appare dunque evidente come il legislatore abbia optato per un deciso “cambio di rotta” rispetto alla soluzione seguita dalla giurisprudenza di legittimità nella vigenza della legge fallimentare, anticipando cioè alla fase della verifica del passivo l'intervento del beneficiario della garanzia nell'ambito della procedura concorsuale che investe il terzo datore di ipoteca; il che sembra aprire le porte, in tale sede, a un accertamento non solo dell'esistenza, della validità e dell'opponibilità alla massa dei creditori del titolo di prelazione (con riferimento, in particolare, all'insussistenza di condizioni che rendano l'ipoteca revocabile o inefficace nei confronti della procedura), ma anche - in via incidentale ma al tempo stesso pregiudiziale - del diritto di credito a garanzia del quale è stata costituita l'ipoteca (pur in assenza di un contraddittorio con il debitore diretto, non previsto dalla normativa in esame).

Preso atto dell'intervento del legislatore, che ha l'indubbio pregio di fornire finalmente una regolamentazione a una fattispecie che in precedenza ne era priva (pur essendo tutt'altro che infrequente), deve però rilevarsi come anche la nuova disciplina dettata dal CCI lasci una serie di problematiche aperte, prima tra tutte quella connessa alla necessità di preservare il titolare della garanzia ipotecaria dal rischio di veder pregiudicato il proprio diritto di prelazione in conseguenza dagli effetti purgativi della vendita dell'immobile in sede concorsuale. Il problema, come è stato osservato, si pone essenzialmente nel caso di un mutuo garantito da ipoteca data dal terzo, in cui il debitore sia adempiente al pagamento delle rate, con conseguente inesistenza, in capo al garantito, di un credito azionabile nell'ambito della liquidazione giudiziale del terzo datore di ipoteca. In quest'ultima ipotesi, si è suggerito in dottrina di trattare il credito relativo alle rate a scadere come credito condizionale ai sensi dell'art. 154, comma 3, CCI e di procedere quindi alla separazione o all'accantonamento, in favore del titolare della garanzia reale, della somma ricavata dalla liquidazione dell'immobile ipotecato (in tal senso, cfr. G.BOZZA, op. cit., 747); soluzione, quest'ultima, senz'altro condivisibile sotto il profilo della ratio, ma che non sembra – almeno allo stato – munita di appigli normativi sufficientemente sicuri nel sistema delineato dal CCI.

Sotto un altro profilo, in dottrina è stata altresì evidenziata l'opportunità, al fine di prevenire il rischio di ammettere al concorso prima e di soddisfare poi un credito in tutto o in parte inesistente, di introdurre una qualche forma di partecipazione – allo stato, come detto, non prevista – del terzo debitore alla fase di verifica del credito per cui il titolare della garanzia intende partecipare al riparto (in tal senso, si veda MACAGNO, Accertamento dei diritti del titolare di garanzia nel fallimento del terzo datore: l'orientamento della S.C. non appare in sintonia con il Codice della Crisi di Impresa, in Fall., 2020, 4, 524).

La seconda questione affrontata nella pronuncia in commento è quella inerente alla partecipazione del beneficiario dell'ipoteca, sotto il profilo passivo, alle spese della procedura fallimentare che investe il terzo datore di ipoteca.

Al riguardo, deve premettersi, in linea generale, che il rapporto tra i crediti prededucibili e i crediti muniti di garanzia reale (pegno e ipoteca) è disciplinato dall'art. 111 bis, comma 2, l. fall., il quale dispone che il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare del fallito gravato da garanzie sia destinato ai creditori garantiti e de residuo alla massa fallimentare per il pagamento dei crediti prededucibili, ferma restando la aliquota da imputare alle spese generali ex art. 111 ter, comma 3,l.fall. Sennonché, secondo l'opinione generalmente accolta, e seguita anche dalla pronuncia in commento, a detta regola sfuggono anche i debiti prededucibili sorti per la conservazione, l'amministrazione e la vendita dei beni oggetto della garanzia, da soddisfarsi con preferenza anche sui crediti muniti di garanzia reale sui medesimi beni.

Ciò premesso, i giudici campani hanno ritenuto applicabile la medesima disciplina sopra descritta anche all'ipotesi di fallimento del terzo datore di ipoteca, con la conseguenza che, in quest'ultimo caso, il beneficiario della garanzia reale, pur non essendo chiamato a partecipare al concorso, dal lato attivo, nella fase di verifica dei crediti, deve tuttavia sopportare, dal lato passivo, le spese della procedura relative all'immobile concesso in garanzia in suo favore, collocate in prededuzione e annotate dal curatore nell'apposito conto speciale di cui all'art. 111 ter l. fall. Ebbene, tale soluzione non sembra porre particolari problemi con riguardo alle cd. spese specifiche, vale a dire quelle relative alla conservazione, alla manutenzione, all'amministrazione e alla vendita dell'immobile ipotecato (comprendenti, tra l'altro, i costi della stima, della pubblicità per la vendita, i costi per la cancellazione di iscrizioni e trascrizioni, le spese fiscali e quelle giudiziali per il rilascio o per la prosecuzione dell'espropriazione ex art. 107 l. fall.), trattandosi all'evidenza di oneri sostenuti nell'interesse del beneficiario dell'ipoteca al fine di conseguire il miglior risultato possibile dalla liquidazione dell'immobile, e come tali inevitabilmente destinati a gravare sui soli soggetti aventi privilegi speciali sul bene in questione. Qualche dubbio potrebbe invece avanzarsi circa la possibilità di dedurre dal ricavato della vendita dell'immobile ipotecato, da destinarsi al beneficiario della garanzia, anche una quota delle cd. spese generali relative alla procedura fallimentare (quali, ad esempio, quelle relative al compenso del curatore per l'attività svolta nell'interesse generale della massa, al campione civile, alla verifica del passivo e alle comunicazioni e notifiche a questa inerenti), “calcolata secondo un criterio che rispecchi il rapporto proporzionale fra il valore dei beni immobili ipotecati rispetto a quello della restante parte dei beni liquidati nell'ambito del fallimento.

L'opzione in tal senso, esercitata dal Tribunale nel provvedimento qui in esame, non sembra infatti del tutto coerente con l'esclusione, sancita nel medesimo provvedimento, della partecipazione del beneficiario dell'ipoteca alla procedura concorsuale (quanto meno fino alla fase del riparto), tenuto conto, in particolare, che la soggezione del creditore ipotecario agli oneri prededucibili da ultimo indicati sembrerebbe costituire un corollario del principio, più volte affermato in giurisprudenza, secondo cui il creditore, anche se munito di diritto di prelazione o esentato dal divieto di azioni esecutive ex art. 51 l. fall. (come nel caso di credito fondiario, in forza del disposto di cui all'art. 41 T.U.B.), è comunque tenuto a richiedere l'accertamento del proprio credito nelle forme previste dalla legge fallimentare (cfr., tra le altre, Cass. 13 dicembre 2017, n. 29972 e Cass. 30 marzo 2015, n. 6377); principio, quest'ultimo, che non trova però applicazione, come si è visto, in caso di fallimento del terzo datore di ipoteca. Su questo punto, in ogni modo, la nuova disciplina del CCI, che come detto ha esteso anche alla procedura concorsuale riguardante il terzo datore di ipoteca il diritto/onere del beneficiario della garanzia reale di intervenire già nella fase di verifica del passivo (il che dovrebbe ragionevolmente comportare la sua partecipazione anche alle relative spese), appare verosimilmente destinata a “legittimare ex post” la soluzione qui accolta dal Tribunale campano (di diverso avviso MACAGNO, op. cit., secondo cui, nel sistema delineato dal CCI, il beneficiario dell'ipoteca non creditore, a seguito dell'accertamento del credito, non parteciperà, sotto il profilo passivo, alle spese della procedura ma sosterrà solo quelle specifiche inerenti alla liquidazione del bene vincolato alla sua garanzia”).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Con riferimento alla disciplina applicabile al fallimento del terzo datore di ipoteca, a integrazione dei precedenti giurisprudenziali citati nel corpo del commento, si segnala, in senso conforme alla soluzione accolta dalla pronuncia qui in esame,

Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540

, in Fall., 2016, 1217, con nota di M. FALAGIANI, Il fallimento del terzo datore di ipoteca: l'accertamento dei diritti del titolare di prelazione; in senso contrario, si veda Trib. Udine, 24 maggio 2013, in Fall., 2014, 5, 583, con nota di G. MILANO, Accertamento del passivo e nuda prelazione ipotecaria – ipoteca per debito altrui secondo la nuova legge fallimentare. Sul rapporto tra creditori prededucibili e creditori muniti di garanzia reale, si veda, in giurisprudenza, Cass. 9 giugno 1997, n. 5104, Trib. Santa Maria Capua Vetere 10 luglio 2017, reperibile su questo portale, e App. Torino, 29 giugno 2007

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