Quale responsabilità per l'avvocato che trattiene un assegno spettante al cliente?

Redazione Scientifica
08 Novembre 2022

Le somme di denaro appartenenti al cliente, ma nella disponibilità dell'avvocato, non costituiscono una garanzia del pagamento della prestazione professionale; pertanto, il trattenerle costituisce una violazione dei doveri di correttezza professionale, nonché un illecito civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. e violazione del dovere di buona fede contrattuale ex art. 1775 c.c.

La vicenda portata all'attenzione della S.C. vede contrapposti un avvocato e il suo cliente, che aveva lamentato la mancata consegna di una somma di denaro a lui spettante, ma nella disponibilità del professionista, il quale aveva indebitamente condizionato la consegna del relativo assegno al pagamento dei compensi professionali.

In particolare, il cliente lamentava che, non disponendo delle somme guadagnate, era stato costretto a richiedere un finanziamento per l'imminente matrimonio della figlia.

Il professionista sosteneva, invece, di aver messo la somma prontamente a sua disposizione e che la mancata consegna fosse stata dovuta unicamente a un ritardo nella riscossione, imputabile allo stesso cliente. Sollecitato a ottenere una spedizione presso il domicilio, il professionista aveva poi depositato l'assegno presso l'Ordine di appartenenza, come previsto dall'art. 66 del r.d. n. 1578 del 1933.

Tuttavia, la Suprema Corte ha evidenziato come nella vicenda in oggetto il professionista abbia agito non solo in violazione dei doveri di correttezza professionale, ma anche degli art. 1775 c.c. (dovere di correttezza e buona fede in materia contrattuale) e 2043 c.c., cagionando al proprio cliente un danno patrimoniale esterno al vincolo professionale che li univa.

Appare anche evidente alla Cassazione la reale sussistenza di un danno a carico del cliente, dal momento che questi è stato costretto a stipulare un contratto di prestito poco dopo l'ennesima richiesta di riscossione e a pochi mesi dalla celebrazione delle nozze della figlia.

Dalle circostanze complessive, è facile dedurre come il professionista abbia agito con una condotta ostativa delle legittime istanze del proprio cliente, trattenendo l'assegno e condizionando la sua consegna alla riscossione dei compensi professionali.

Non giova a suo favore neanche la circostanza che il cliente dovesse ancora pagare i compensi, dal momento che le trattenute su quanto ricevuto dal cliente come compenso professionale sono lecite solo ove espressamente pattuite, come stabilito dall'art. 31 del Codice Deontologico, secondo cui: «l'avvocato ha diritto di trattenere le somme da chiunque ricevute imputandole a titolo di compenso a) quando vi sia il consenso del cliente e della parte assistita; b) quando si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della controparte e l'avvocato non le abbia già ricevute dal cliente o dalla parte assistita; c) quando abbia già formulato una richiesta di pagamento del proprio compenso espressamente accettata dal cliente».

Nella vicenda in oggetto, non solo non vi era stata alcuna pattuizione in tal senso tra professionista e cliente, ma dalle circostanze del caso appare che quest'ultimo avesse agito con lo scopo specifico di ostacolare o nuocere al proprio cliente.

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