Configurabilità del centro unico di imputazione del rapporto di lavoro e tutela reintegratoria per insussistenza del fatto post vaglio di incostituzionalità

Paolo Patrizio
10 Novembre 2022

La decisione in esame involge la tematica della configurabilità dell'esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, in applicazione dei criteri rivelatori di una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra vari soggetti, con chiosa attinente alla immediata applicabilità della disciplina derivante dalla sentenza della Corte Cost. n. 59/2021.
Massime

“… è configurabile l'esistenza di un unico centro di imputazione in presenza di: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo/finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (v. Cass. n. 3482 del 2013; Cass. n. 26346 del 2016; Cass. nn. 13809 e 19023 del 2017; Cass. 12/02/2013, n. 3482; da ultimo, Cass. n. 2014 del 2022).

In particolare è stato chiarito che "Il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell'autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a fare capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese; tale collegamento, pertanto, non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra un lavoratore e una di tali società, si estendano ad altre dello stesso gruppo, salva, peraltro, la possibilità di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro - anche ai fini della sussistenza o meno del requisito numerico necessario per l'applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato - ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra vari soggetti e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l'esame delle singole imprese, da parte del giudice del merito.”

“… il giudice delle leggi ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 18, comma 7, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92 del 2012, nella parte in cui prevedeva che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» - invece che «applica altresì» - la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma (Corte Cost. n. 59 del 2021). Le sentenze della Corte costituzionale producono l'annullamento delle norme di legge dichiarate incostituzionali, con effetti erga omnes, non solo ex nunc, ma anche ex tunc, con il solo limite dei cc.dd. rapporti esauriti, evenienza non ricorrente nel caso di specie, ove, pertanto, deve ritenersi correttamente applicata la sanzione reintegratoria (in base al combinato disposto dei commi 7 e 4 dell'art. 18, della legge n. 300 del 1970) a fronte dell'accertata manifesta insussistenza della ragione addotta per il licenziamento…”.

Il caso

Nel marzo del 2016, un dipendente di una Società attiva nel settore dell'hotellerie veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo, a causa della asserita dismissione della gestione dell'attività alberghiera da parte della datrice di lavoro.

Il lavoratore, quindi, provvedeva ad impugnare il comminato licenziamento, lamentando l'insussistenza del giustificato motivo addotto, in uno alla ricorrenza di un centro unico di imputazione di interessi tra la datrice di lavoro ed altre società per le quali lo stesso aveva prestato attività lavorativa, invocandone la rilevanza anche ai fini della tutela applicabile, considerando il superamento della soglia dimensionale ai sensi dell'accesso alle tutele dell'art. 18 della Legge 300/70.

La Corte di appello di Roma, in sede di reclamo ex art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012 e in parziale riforma della sentenza del giudice di primo grado, riteneva insussistente il giustificato motivo di licenziamento intimato al lavoratore, rinvenendo, altresì, ai fini dell'individuazione del regime di tutela applicabile, l'esistenza di un centro unico di imputazione di interessi, con conseguente sommatoria di tutti i lavoratori occupati dalle società nel loro complesso e l'applicazione dell'art. 18, comma 4 della legge n. 300 del 1970, considerata la manifesta insussistenza della ragione addotta a base della riduzione del personale.

Per la Corte territoriale, invero, il contratto di appalto per la fornitura di alcuni servizi stipulato tra la datrice di lavoro e la connivente compagine societaria era da ritenere illecito, ricorrendo, inoltre, una chiara ipotesi di un unico centro di imputazione di interessi, alla luce degli elementi probatori acquisiti in giudizio, visto e considerato che le due società avevano medesima sede legale e medesimo oggetto sociale, nonché medesimo proprietario, oltre al fatto che la datrice di lavoro non svolgeva attività in favore di altri committenti, non era dotata di una effettiva ed autonoma struttura imprenditoriale né era dotata di strumenti e macchinari, neppure minimi per lo svolgimento di attività oggetto di appalto.

Il Giudice del gravame, dunque, nel confermare, al pari del Tribunale, la manifesta insussistenza della ragione addotta a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, provvedeva a condannare, in solido tra loro, tutte le società a reintegrare il lavoratore e a pagare l'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Avverso tale decisione, proponeva ricorso per cassazione la società terza responsabile in solido, deducendo, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2359 c.c. e di ogni altra disposizione in materia di rilevanza della nozione formale di controllo e collegamento societario, nonché degli artt. 2243 e ss., in specie 2325 e 2462 c.c. (potendo riferirsi, la nozione di centro unico di imputazione di interessi solamente nelle ipotesi di collegamento e controllo societario previste dall'art. 2359 c.c., situazione non oggetto della fattispecie in esame, né ricorrendo, nel caso de quo, una ipotesi di codatorialità, avendo il lavoratore prestato attività solo ed esclusivamente in favore della datrice di lavoro), nonché l'omessa valutazione della eccessiva onerosità della reintegra, a fronte della accertata manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento.

La questione

La decisione in esame involge la tematica della configurabilità dell'esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, in applicazione dei criteri rivelatori di una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra vari soggetti, con chiosa attinente alla immediata applicabilità della disciplina derivante dalla sentenza della Corte Cost. n. 59 del 2021, in considerazione della riconosciuta efficacia erga omnes, non solo ex nunc ma anche ex tunc, propria delle sentenze di annullamento di norme di legge dichiarate incostituzionali, con il solo limite dei cc.dd. rapporti esauriti.

La soluzione giuridica

Nel rigettare il ricorso posto al proprio vaglio, la Corte di Cassazione parte dall'assunto per cui la sentenza impugnata aveva ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato il carattere fittizio del contratto di appalto di servizi stipulato tra la società datrice di lavoro e l'altra compagine connivente, concretizzante, in realtà, un appalto di mera manodopera, in uno alla corretta rilevazione della ricorrenza di un unico centro di coordinamento e direzione tra le società, avendo valutato che gli elementi di collegamento fra le società avevano travalicato, per caratteristiche e finalità, le connotazioni di una mera sinergia fra consociate, per sconfinare in una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva.

Per gli Ermellini, infatti, i criteri utilizzati dalla Corte di merito per la qualificazione della sostanziale unicità della struttura aziendale finalizzata alla gestione dell'attività alberghiera risultavano perfettamente coerenti con le indicazioni in materia più volte fornite in sede di legittimità, per cui è configurabile l'esistenza di un unico centro di imputazione in presenza di: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo/finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.

In particolare, riafferma la Suprema Corte, il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell'autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a fare capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese, non essendo il collegamento di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra un lavoratore e una di tali società, si estendano ad altre dello stesso gruppo.

Resta, salva, tuttavia, la possibilità di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, anche ai fini della sussistenza o meno del requisito numerico necessario per l'applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato, ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra vari soggetti e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l'esame delle singole imprese, da parte del giudice del merito, preordinazione che la Corte territoriale aveva certamente accertato nel caso di specie, attraverso l'approfondita disamina di tutto il quadro probatorio.

Quanto, invece, alla censura relativa alla mancata valutazione della eccessiva onerosità della reintegrazione nel posto di lavoro nonostante l'accertata manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, la Suprema Corte rammenta come il Giudice delle leggi abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 18, comma 7, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92 del 2012, nella parte in cui prevedeva che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» invece che «applica altresì» la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma (Corte Cost. n. 59 del 2021).

Ne discende che, producendo le sentenze della Corte costituzionale l'annullamento delle norme di legge dichiarate incostituzionali, con effetti erga omnes, non solo ex nunc, ma anche ex tunc e con il solo limite dei cc.dd. rapporti esauriti, nel caso di specie doveva ritenersi correttamente applicata dalla Corte di merito la sanzione reintegratoria in base al combinato disposto dei commi 7 e 4 dell'art. 18, della legge n. 300 del 1970, a fronte dell'accertata manifesta insussistenza della ragione addotta per il licenziamento.

Osservazioni

La pronuncia in commento ci consente di avanzare alcune osservazioni in merito alla tematica sempreverde della rilevanza e ricorrenza del centro unico di imputazione del rapporto di lavoro, ogni qual volta vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale.

Come è noto, il centro unico di imputazione del rapporto di lavoro rappresenta una fattispecie di matrice giurisprudenziale, che si configura allorquando, in casi in cui più imprese, formalmente distinte, esercitano di fatto l'attività con una compenetrazione ed una promiscuità tali da far ravvisare sostanzialmente un'unica impresa, il Giudice interviene con una operazione di piercing the corporate veil, individuando una persona giuridica unitaria e autonoma dietro il paravento di tante distinte legal entities.

L'aspetto patologico dell'operazione è, invero, insito nel tentativo di elusione di una o più previsioni laburistiche, di solito realizzato mediante l'obiettivo di frazionamento dell'unica attività di impresa in più soggetti giuridici, formalmente distinti ma sostanzialmente univoci, al fine di non integrare la soglia dimensionale prevista dall'ordinamento per le diverse ipotesi di tutela e/o per schivare le normative di medesima matrice preordinate all'estensione di clausole di salvaguardia dei lavoratori, come per le ipotesi di priorità di riassunzione, repechage endoaziendale o individuazione atomistica di rami o attività produttive a fini organizzativi e risolutivi.

A contrasto di tale intento fraudolento, dunque, l'ordinamento pone l'elaborazione giurisprudenziale in commento, profittando del pluriennale consolidamento di alcuni indici sintomatici della dissimulata unitarietà datoriale, al fine di ricondurre la molteplicità di soggetti coinvolti sotto l'egida dell'istituto del centro unico di interessi per l'imputazione del rapporto lavorativo.

Come cristallizzato nella sentenza in commento, invero, il collegamento economico-funzionale tra imprese non comporta il venir meno dell'autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a fare capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese, a meno che non venga posta in essere una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra vari soggetti, così da integrare l'ipotesi di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.

Più nel dettaglio, la fattispecie in esame è rilevabile in presenza di: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva, tale da ingenerare nei terzi il convincimento che ci si trovi di fronte ad un'unica impresa e ad un unico datore, con conseguente valorizzazione dell'affidamento giuridicamente rilevante verso l'apparenza di un'impresa unitaria; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo/finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune, frequentemente riscontrati nella prassi allorquando la pluralità di imprese sia caratterizzata da assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, a maggior ragione se la compagine sociale è riconducibile alla medesima famiglia; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori, in modo tale da non potersi distinguere quale parte della prestazione sia resa a favore dell'una e quale a favore dell'altra impresa.

E partendo, proprio, dalla disamina di tale ultimo requisito che è possibile avanzare una prima considerazione di sintesi in merito al rapporto di perenne, diffusa sovrapposizione tra il concetto di codatorialità e quello di centro unico di imputazione del rapporto di lavoro.

Ebbene, mentre nell'ipotesi del centro unico di imputazione del rapporto di lavoro due soggetti giuridici, formalmente distinti, agiscono sostanzialmente come un unico soggetto, nel caso della codatorialità, invece, i due soggetti giuridici, oltre ad essere distinti su un piano formale, rimangono distinti anche nel sostanziale svolgimento delle loro attività, pur beneficiando entrambi delle prestazioni lavorative svolte da un medesimo lavoratore.

Ecco, allora che, mentre il centro unico di imputazione rappresenta, per così dire, una circostanza a carattere patologico del rapporto, siccome volta alla simulazione elusiva della reale esplicitazione e riconduzione dell'intento unitario di matrice gestoria con il fine di aggirare le disposizioni di tutela della forza lavoro, l'istituto della codatorialità non assume, ex se, alcuna connotazione negativa, essendo certamente ammessa, dall'ordinamento, la pluralità datoriale sotto il profilo passivo e ricettivo della prestazione lavorativa, purché l'assetto formale non si traduca in un escamotage di facciata in funzione simulatoria.

La ratio di tutela della normativa in materia, invero, appare rivolta al contrasto sostanziale di prassi finalizzate all'utilizzo della scherma societario in chiave regressiva delle tutele di legge, per evitare che la dissociazione fra l'autore dell'assunzione e l'effettivo beneficiario delle prestazioni lavorative si risolva in un ostacolo al diritto del lavoratore di pretendere il più vantaggioso trattamento che gli sarebbe spettato se assunto direttamente da tale beneficiario.

Viene così in rilievo il diverso profilo della necessità o meno della ricorrenza di un vero e proprio intento fraudolento sotteso alla condotta datoriale, ipotesi espressamente esclusa dalle Sezioni Unite della Cassazione, per le quali l'esistenza di accordi fraudolenti tra interponente e interposto non incide sulla prova dell'accertamento sulla sussistenza di un unico centro di imputazione e/o di titolarità effettiva del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro, dando così legittimazione ad una sorta di operatività oggettiva dell'istituto de quo, in quanto la sola circostanza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti sintomatici elaborati in materia denoterebbe la dimostrazione dello scopo illecito contrastato dal legislatore.

La conseguenza che l'ordinamento trae, in ogni caso, dall'accertata sussistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, piuttosto che dalla diversa fattispecie della codatorialità, appare egualmente ascrivibile al profilo della responsabilità solidale in ordine a tutte le obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1294 cod. civ.

In tale veste, dunque, tale responsabilità acquista, per ciò solo, la funzione riequilibrativa del sinallagma lavorativo in salsa garantista dei diritti del lavoratore, non potendosi qualificare la stessa come sanzione ordinamentale, bensì come regola di redistribuzione delle obbligazioni conseguenti alla beneficiata utilizzazione contemporanea delle prestazioni lavorative da parte delle varie società titolari delle distinte imprese.

Ed ecco allora che il dato di sintesi, a questo punto, cade sulla considerazione della necessaria coesistenza, o meno, di tutti i richiamati indici sintomatici ai fini della corretta configurazione dell'ipotesi del centro unico di imputazione dei rapporti di lavoro.

La conclusione accolta dalla giurisprudenza maggioritaria sembrerebbe pendere per la non necessità della compresenza di tutti i simultanei requisiti in commento, non potendosi nondimeno prescindere dal requisito fondante della utilizzazione promiscua della manodopera, al punto da non potersi distinguere quali siano i lavoratori dell'una e quali dell'altra, né quale parte della prestazione sia rivolta all'una e quale all'altra, oltre che, per alcuni, anche dal presupposto per cui l'operazione sia preordinata alla elusione della disciplina posta a tutela della forza lavoro e delle correlate garanzie di legge.

Da ultimo, ma non certo per importanza, merita rilievo il passaggio motivazionale operato dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento, con riferimento alla immediata applicabilità del meccanismo dell'annullamento delle norme di legge dichiarate incostituzionali, con effetti erga omnes, non solo ex nunc, ma anche ex tunc e con il solo limite dei cc.dd. rapporti esauriti, in riferimento alla corretta applicazione della sanzione reintegratoria a fronte dell'accertata manifesta insussistenza della ragione addotta per il licenziamento.

Nel respingere la censura relativa al mancato accertamento della eccessiva onerosità della reintegrazione nel posto di lavoro nonostante l'accertata manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, la Suprema Corte rammenta, invero, come il Giudice delle leggi abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 18, comma 7, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92 del 2012, nella parte in cui prevedeva che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» invece che «applica altresì» la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma (Corte Cost. n. 59 del 2021).

Ne consegue, dunque, l'immediata operatività automatica e non opzionale del meccanismo di tutela sancito dal quarto comma della legge n. 300 del 1970, in applicazione, ora per allora, del regime reintegratorio de quo, incontrando il sistema di subitanea caducazione delle previsioni oggetto di intervenuta declaratoria di incostituzionalità il solo limite dei rapporti esauriti, certamente non ricorrente nella fattispecie in esame.

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