Mancata notifica a mezzo PEC a causa della casella piena: quali conseguenze?
25 Ottobre 2022
Massima
La notifica a mezzo PEC ex art. 3-bis della l. 53/1994 di un atto del processo ad un legale implica l'onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell'attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l'allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto. Pertanto, qualora, nel caso di mancato perfezionamento della notifica all'avvocato di controparte, a causa del riempimento della casella PEC, e dunque per una ragione non imputabile al notificante, ma al contrario addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi, il difensore abbia comunque proceduto alla notificazione della sentenza anche mediante deposito dell'atto presso la cancelleria dell'Autorità Giudiziaria presso la quale pendeva la lite, essendo il procuratore della controparte domiciliato extra discrictum, da tale momento deve ritenersi iniziato a decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c. per l'impugnazione della sentenza d'appello. Il caso
La decisione in esame trae origine dalla seguente vicenda: la conduttrice di un immobile citava in giudizio la propria locatrice per ottenere la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito dello sprofondamento di parte dell'immobile causato dal cedimento del costone retrostante il fabbricato. La convenuta eccepiva l'inammissibilità della domanda, facendo presente che aveva richiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo, per i canoni di locazione non corrisposti, nei confronti della conduttrice, la quale aveva proposto opposizione facendo valere in quella sede le medesime pretese risarcitorie azionate nel presente giudizio. Il Tribunale, disposto il mutamento del rito, dichiarava risolto il contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. e condannato la convenuta al pagamento, in favore dell'attrice, del risarcimento dei danni. Avverso la sentenza la locatrice interponeva appello; contro la decisione del giudice di seconde cure veniva poi proposto ricorso per cassazione. Veniva in particolare eccepita l'inammissibilità del ricorso per cassazione perché proposto dopo il decorso di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata, avvenuta presso la cancelleria della Corte d'appello in data 22 gennaio 2019. Tentata in data 18 gennaio 2019 la notifica della sentenza d'appello alle caselle PEC dei difensori della ricorrente, essa non era andata a buon fine perché la casella di posta elettronica certificata di uno dei difensori era piena, mentre l'altra non si era perfezionata per un errore tecnico presso il gestore ricevente. Non avendo la ricorrente eletto domicilio nel circondario in cui aveva sede l'ufficio giudiziario dinanzi al quale si era svolto il giudizio d'appello, ma presso lo studio dei suoi difensori, in data 22 gennaio 2019 era stata eseguita la notifica della sentenza impugnata presso la cancelleria della Corte d'appello, ai sensi degli artt. 82, r.d. 37/1934 e 16-sexies, d.l. 179/2012, posto che la notifica a mezzo pec aveva avuto esito negativo per cause imputabili ai destinatari delle caselle di posta elettronica. La questione
Viene così sottoposto alla Corte di cassazione il quesito circa la validità della notifica della sentenza effettuata presso la cancelleria del giudice competente, ai fini del decorso del termine breve di impugnazione, nel caso in cui la notifica a mezzo PEC al difensore non sia andata a buon fine per cause non imputabili al notificante ma per cause imputabili al destinatario,come nel casodi casella piena. Le soluzioni giuridiche
La Terza sezione della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso perché tardivamente proposto, ovvero oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, avvenuta presso la cancelleria della Corte di appello in data 22 gennaio 2019. Osservazioni
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha avuto modo di tornare sull'argomento relativo alla validità della notifica a mezzo PEC non perfezionatasi per cause imputabili al destinatario come nel caso de quo ove la mancata notifica è dovuta alla casella piena del difensore. Non è, infatti, la prima volta che la Corte si trova a doversi esprimere sulle questioni legate all'utilizzo degli strumenti telematici e a specificare quali siano le conseguenze processuali per le parti. Tuttavia, occorre sottolineare che non vi è uniformità, nelle pronunce della Corte, sul comportamento che il notificante deve tenere per far si che la notifica sia considerata valida, per cui sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite. Al riguardo, la Corte nella decisione in commento precisa che, secondo l'art. 16-sexies d.l. 179/2012, convertito dalla l. 221/2012, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite ad istanza di parte presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'art. 6-bis del d.lgs. 82/2005, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia. Tale disposizione normativa, nell'ambito della giurisdizione civile, fatto salvo quanto disposto dall'art. 366 c.p.c. per il giudizio di cassazione, impone, quindi, alle parti la notificazione dei propri atti presso l'indirizzo PEC risultante dagli elenchi Inipec di cui al predetto art. 6-bis del Codice dell'amministrazione digitale, ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione. La prescrizione dell'art. 16-sexíes d.l. 179/2012 prescinde dalla stessa indicazione dell'indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell'indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l'indirizzo PEC del difensore, stante l'obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell'ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma depotenzia, dunque, la portata dell'elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente la notificazione dell'atto in cancelleria, ma la impone pur sempre alla pec del difensore domiciliatario, salvo l'impossibilità per causa al medesimo imputabile, e svuota di efficacia anche l'art. 82 r.d. 37/1934, che può assumere rilievo solo in caso di mancata notificazione via pec per causa imputabile al destinatario, quale localizzazione dell'ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria (cfr. Cass. 11 luglio 2017, n. 17048; Cass. 8 giugno 2018, n. 14914; Cass. 23 maggio 2019, n. 14140; Cass. 29 gennaio 2020, n. 1982; Cass. 11 febbraio 2020, n. 3164; Cass. 3 febbraio 2021, n. 2460). Da quanto esposto discende che, nel caso di specie, in applicazione del principio del tempus regit actum, la notificazione della sentenza di appello doveva essere effettuata presso l'indirizzo PEC dei difensori risultante dagli elenchi/registri indicati dall'art.16-sexies citato e, soltanto ove impossibile, per causa imputabile a detti difensori, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pendeva la lite, così come è realmente avvenuto. La giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che «la notifica a mezzo Pec ex art. 3-bis della l. 53/1994 di un atto del processo ad un legale implica l'onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell'attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l'allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto» (cfr. Cass., Sez. 6-3, 25 settembre 2017 n. 22320). Peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l'onere in questione non può dirsi eccezionale o eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l'esercizio della professione. Infatti, l'avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo pec al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l'onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali (cfr. Cass. 2 luglio 2014, n. 15070; Cass., 20 maggio 2019, n. 13532). La casella di posta elettronica certificata piena non è, infatti, un valido motivo per ottenere la richiesta di rimessione in termini. In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, è stato escluso che essa configuri un impedimento non imputabile al difensore. La Cassazione ha esplicitamente affermato che «il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella della posta elettronica certificata del destinatario, legittima l'effettuazione della comunicazione mediante deposito in cancelleria»(cfr. Cass. 12 novembre 2018, n. 28864; Cass. 20 maggio 2019, n. 13532; Cass. 9 gennaio 2020, n. 3164; Cass. 2 marzo 2021, n. 3164). Tale principio è, in effetti, dettato per le comunicazioni, ma l'ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo: il riferimento è all'art. 149-bis c.p.c. in tema di notificazione a mezzo posta elettronica eseguite dall'ufficiale giudiziario, che, al comma 3, prevede che "la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario". Va, altresì, ricordato che l'art. 20, comma 5, del d.m. n. 44 del 2011 stabilisce che "il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione". Da quanto appena rilevato se ne può allora agevolmente desumere che è onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di PEC. Più precisamente dall'espressione “rendere disponibile” di cui all'art. 149-bis c.p.c., si potrebbe giustificare la conclusione che, qualora il «rendere disponibile» quale azione dell'operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come accade nel caso in cui la casella di posta elettronica sia satura, la si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante potrebbe procedere all'utilizzazione dell'atto come se fosse stato notificato. Dunque, il lasciare la casella di PEC satura potrebbe equivalere a un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite essa; a ciò si aggiunga che, poiché il titolare è direttamente responsabile della sua gestione, tale comportamento potrebbe equivalere alla consegna dell'atto. Questa complessiva ricostruzione potrebbe risultare giustificata anche alla luce dell'art. 138, comma 2, c.p.c., che considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente a una notificazione di tale genere. Va, altresì, evidenziato che, in caso di mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell'avvenuto deposito (cfr. Cass. 18 febbraio 2020, n. 3965). Appare opportuno evidenziare che, con il recentissimo d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 di riforma del processo civile, il legislatore ha modificato in parte la rubrica ed il comma 1 dell'art. 149-bis c.p.c., senza, tuttavia, intervenire sul punto in questione, perdendo così l'occasione di chiarire una volta per tutte se la mancata notifica per causa imputabile al destinatario sia da considerarsi come perfezionata. Non può, però, non tenersi conto della modifica apportata, con il predetto decreto, alla l. 53/1994 in materia di notificazioni effettuate dagli avvocati. In particolare, viene aggiunto l'art. 3-ter che sembra prevedere una soluzione al problema in questione, seppur facendo riferimento ad una norma del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. L'articolo citato prevede, infatti, che se l'avvocato procede alla notificadi un atto a mezzo di posta elettronica certificata nei confronti di un destinatario obbligato per legge a munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi oppure che ha eletto domicilio digitale ai sensi dell'art. 3-bis, comma 1-bis, del codice dell'amministrazione digitale, quando per causa imputabile al destinatario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata non è possibile o non ha esito positivo, se il destinatario è un'impresa o un professionista iscritto nell'indice Inipec, di cui all'art. 6-bis del d.lgs. 82/2005, l'avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell'area web riservata prevista dall'art. 359 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l'inserimento; la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l'inserimento. Tuttavia, l'art. 359 CCII prevede che per la realizzazione dell'area web riservata appena citata sia necessaria l'adozione di un apposito regolamento da parte del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro per la pubblica amministrazione, sentito il Garante per la protezione dei dati personali; nonostante il termine prescritto al 1° marzo 2020, il Ministero dello sviluppo economico non ha però ancora provveduto all'adozione del prescritto regolamento, per cui, allo stato attuale, la soluzione (limitata peraltro al solo ambiente delle procedure concorsuali) non risulta ancora concretamente applicabile. Il problema resta dunque aperto; l'assenza di un'esplicita indicazione normativa, in relazione alle conseguenze derivanti dal mancato perfezionamento della notifica a mezzo PEC per causa imputabile al destinatario, ha peraltro generato una certa instabilità nella giurisprudenza di legittimità. Per alcune decisione della S.C., infatti, la notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella pec del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi (Cass. 2 marzo 2021, n. 5646; Cass. 11 febbraio 2020, n. 3164; in termini anche Tar Lazio 21 aprile 2022, n. 4900). Per altre, invece, il mancato perfezionamento della notifica telematica effettuata dall'avvocato per non avere il destinatario reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella PEC impone alla parte notificante di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e ss. c.p.c., e non mediante deposito dell'atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui all'art. 16, comma 6, ultima parte, del d.l. 179/2012, prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo PEC dal difensore si perfeziona al momento della generazione di avvenuta consegna (Cass. 20 dicembre 2021, n. 40758; Cass. 26 maggio 2021, n.14446; Cass. 30 dicembre 2019, n. 34736; Cass. 20 luglio 2018, n. 19397; analogamente Tar Cagliari 14 febbraio 2022, n. 99), valorizzando, in tal caso, le esigenze di tutela del diritto di difesa connesse all'effettiva conoscibilità degli atti e la sussistenza di uno specifico obbligo di diligenza in capo al mittente. Tuttavia, la Corte rileva che, nella fattispecie in esame, si può prescindere da ogni valutazione sulla questione prospettata dalle pronunce sopra richiamate, in quanto, a fronte del mancato perfezionamento della notifica a causa del riempimento della casella PEC, e dunque per una ragione non imputabile al notificante, ma al contrario addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi, il difensore ha comunque proceduto, anche in un tempo adeguatamente contenuto, in conformità ai principi espressi da Cass., Sez. Un., 15 luglio 2016, n. 14594, alla notificazione della sentenza d'appello mediante deposito dell'atto presso la cancelleria della Corte di appello presso la quale pendeva la lite, considerato che entrambi i difensori della odierna ricorrente erano domiciliati extra discrictum, cosicché da tale momento è sicuramente iniziato a decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c. per l'impugnazione della sentenza d'appello. Pertanto, più che giustamente, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso perché proposto oltre la scadenza del termine breve per l'impugnazione. Chi scrive, tuttavia, auspica che la Corte aderisca ad un orientamento univoco circa le conseguenze derivanti dalla mancata notifica a mezzo pec per causa imputabile al destinatario in modo da consentire agli operatori del diritto di poter fare affidamento sull'orientamento della giurisprudenza ed avere, quindi, maggiori certezze circa il comportamento da tenere. A tal fine, si attende che sul punto si pronuncino le Sezioni Unite, in modo da eliminare ogni dubbio. In particolare, in linea con le esigenze attuali – basta pensare alla semplificazione dell'attività amministrativa, alla digitalizzazione, all'evoluzione tecnologica – si auspica che prevalga l'orientamento che consenta al notificante di considerare come avvenuta la notifica anche nel caso in cui la ricevuta generata dal sistema riporti come esito la mancata consegna a causa della casella piena, essendo onere del destinatario verificare la perfetta funzionalità della propria casella di posta elettronica certificata. In caso contrario, si ritiene, infatti, che porre in capo al notificante l'onere di ripetere il procedimento di notifica secondo le modalità tradizionali non solo sia eccessivo, ma comporti anche una disparità di trattamento rispetto al destinatario che non subirebbe alcuna conseguenza negativa nonostante il suo comportamento negligente. Riferimenti
|