Attualità delle esigenze cautelari: occorre una valutazione in concreto nella motivazione dei provvedimenti
11 Novembre 2022
Massima
In tema di custodia cautelare in carcere, l'art. 275, comma 3, c.p.p. pone una presunzione relativa di pericolosità sociale che determina, quanto alla motivazione del provvedimento cautelare, la necessità, non già di dar conto della ricorrenza dei "pericula libertatis", ma solo di apprezzarne le ragioni di esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, può rilevare il c.d. “tempo silente”, che deve essere parametrato alla gravità della condotta ed alla rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, che ha comunque valore risolutivo nella esclusione della sussistenza delle esigenze cautelari (C. cost. n. 136/2017). Il caso
Il Tribunale del riesame di Bari respingeva la richiesta di riesame presentata dal ricorrente per cassazione avverso l'ordinanza del Gip della stessa città che gli aveva applicato la misura della custodia in carcere ritenendolo gravemente indiziato del reato di cui all'art. 416-bis c.p. quale partecipe della cosca Romito–Ricucci-Lombardi, operante anche nel territorio di Vieste.
La particolarità del caso e delle questioni proposte è rappresentata dalla circostanza, allegata dalla difesa, secondo la quale il clan mafioso richiamato, a seguito dell'uccisione di uno dei suoi esponenti di vertice, si era rimodulato in una nuova associazione e dunque tale elemento doveva essere considerato in stridente contraddizione con la ritenuta gravità indiziaria quanto alla partecipazione alla associazione mafiosa. Si è in sostanza affermato da parte della difesa che era stata confusa la natura neofita del sodalizio mafioso con quella di mafia derivata dal precedente sodalizio, con la conseguenza che l'ordinanza avrebbe dovuto essere annullata per il periodo precedente all'anno 2017.
Anche in tema di esigenze cautelari è stata denunciata la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, il tentativo di evasione insieme ad altri soggetti si collocherebbe in un'epoca antecedente alla nascita del sodalizio e la materiale affiliazione senza altri elementi non può costituire grave indizio di partecipazione, in mancanza dunque di un'attivazione fattiva in favore della associazione; le esigenze cautelari sono state modulate con riferimento ad una mafia storica non ricorrente in questo caso. La questione
La questione, in realtà affrontata in un ampio obiter dalla Corte, involge il tema dei poteri decisori devoluti al giudice cautelare nel valutare e motivare la ricorrenza delle esigenze cautelari, con particolare riferimento al profilo dell'attualità delle stesse, tenuto conto della disciplina di cui all'art. 274, comma 1, lett. c) e dell'art. 275, comma 3, c.p.p.
Può il giudice della cautela superare, in ragione del decorso di un apprezzabile periodo di tempo rispetto ai fatti oggetto di contestazione, il regime presuntivo previsto dalla normativa di riferimento? Le soluzioni giuridiche
In via preliminare si deve ricordare che a seguito dell'intervento riformatore di cui alla legge n. 47/2015, a fronte della contestazione dei reati di associazione sovversiva, con finalità di terrorismo o di stampo mafioso, l'art. 275, comma 3, c.p.p. continua a prevedere una doppia presunzione, relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed assoluta con riguardo all'adeguatezza della misura carceraria. Pertanto, qualora sussistano i gravi indizi di colpevolezza del menzionato delitto e non ci si trovi in presenza di una situazione nella quale fa difetto una qualunque esigenza cautelare, deve trovare applicazione in via obbligatoria la misura della custodia in carcere. Sotto il primo profilo, vi è una presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova circa l'affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare. Quanto al secondo aspetto, la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere può essere superata soltanto quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, non essendo idonea la mera allegazione del tempo trascorso e della durata della restrizione sofferta.
Il tema proposto dalla decisione in commento, già affrontato in senso analogo in alcune precedenti motivazioni (in particolare Cass. pen., sez. VI, n. 19787/2019, Cass. pen., sez. V, n. 36891/2020; Cass. pen., sez. II, n. 7837/2021) è quello della ricerca, a livello motivazionale quanto alle esigenze cautelari in caso di imputazioni ai sensi dell'art. 416-bis c.p., di una soluzione interpretativa di mediazione e intermedia che tenga conto del regime normativo, ma anche di una serie di rilevanti problematiche incidenti su tale regime presuntivo che nel corso del tempo sono state poste dalle difese con argomenti approfonditi e chiari.
Ciò posto, quanto al tema del c.d. tempo silente, occorre ricordare i due diversi orientamenti interpretativi, apparentemente in contrasto e non allineati, che caratterizzano la giurisprudenza della Corte di cassazione.
Un primo orientamento afferma che la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, prevista dall'art. 275, comma 3, c.p.p. può essere superata ove si registri il decorso di un rilevante lasso temporale tra le condotte ascritte ed il momento applicativo della misura cautelare, dovendo il fattore tempo entrare nella valutazione cui è chiamato il giudice della cautela nel riscontrare, in concreto, l'attualità del pericolo di recidiva (Cass. pen., sez. V, n. 31614/2020; Cass. pen., sez. I, n. 28991/2020; Cass. pen., sez. I, n. 42714/2019; Cass. pen., sez. III, n. 6284/2019; Cass. pen., sez. VI, n. 16867/2018; Cass. pen., sez. V, n. 25670/2018; Cass. pen., sez. VI, n. 25517/2017; Cass. pen., sez. VI, n. 29807/2017; Cass. pen., sez. VI, n. 20304/2017; Cass. pen., sez. V, n. 52628/2016; Cass. pen., sez. V, n. 36569/2016).
Un secondo orientamento afferma invece che la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all'attuale dettato dell'art. 275, comma 3, c.p.p., per il partecipe ad associazione mafiosa può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice (presenti agli atti o addotti dalla parte interessata) emerga che l'associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa; pertanto, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze (Cass. pen., sez. V, n. 26371/2020; Cass. pen., sez. V, n. 91/2021; Cass. pen., sez. I, n. 23113/2018; Cass. pen., sez. V, n. 35847/2018; Cass. pen., sez. V, n. 47401/2017; Cass. pen., sez. II, n. 19283/2017; Cass. pen., sez. V, n. 52303/2016; Cass. pen., sez. V, n. 44644/2016). Tale principio è stato affermato anche quando la gravità indiziaria concerna un reato con l'aggravante del metodo mafioso, ora prevista dall'art. 416-bis.1 c.p.; la presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva è superabile solo dalla prova circa l'affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, in difetto della quale l'onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell'art. 274 c.p.p. deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un'attenuazione delle esigenze di prevenzione (Cass. pen., sez. V, n. 35848/2018; Cass. pen., sez. II, n. 3105/2016; Cass. pen., sez. III, n. 33051/2016). Anche in tema di reato associativo, si è statuito che la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. opera allo stesso modo con riferimento alle associazioni mafiose cosiddette “nuove” e può essere superata solo con il recesso dell'indagato dall'associazione o con l'esaurimento dell'attività associativa, mentre il cosiddetto “tempo silente” (ossia il decorso di un tempo considerevole tra l'emissione della misura e i fatti contestati) può essere valutato solo in via residuale, facendo stretto riferimento alla natura non stabile dell'associazione e alla sua scarsa forza attrattiva e intimidatrice (Cass. pen., sez. II, n. 7260/2019). Si deve in concreto osservare come, specialmente per le mafie storiche (che caratterizzano il caso di specie, essendo la nuova mafia nella considerazione della Corte una derivazione immediata e diretta della mafia originaria del territorio di Vieste), non possa essere attribuita valenza esclusiva effettivamente idonea a superare le presunzioni sopra richiamate al c.d. tempo silente.
Ma ciò che rappresenta un'evoluzione interpretativa nella decisione in commento, congiuntamente ai precedenti richiamati, è la necessità di un'interpretazione rigorosa, ma effettuata in concreto e realizzata mediante una considerazione d'insieme degli altri elementi allegati, che dovranno essere ritenuti rilevanti in quanto effettivamente indicativi di un'eventuale intraneità del ricorrente ad un'organizzazione mafiosa a carattere radicato e fortemente attrattivo.
Dove tali elementi in concreto ricorrano e siano effettivamente emersi nella considerazione del giudice della cautela, ne deriverà logicamente l'irrilevanza del tempo trascorso, c.d. silente, a prescindere dall'ampiezza del periodo oggetto di considerazione o dalla particolare connotazione dello stesso. In senso contrario l'effettiva ricorrenza di un lasso temporale ampio, o magari specificamente connotato, da poter essere ritenuto, a tutti gli effetti tempo silente, rileverà quando emergano indici oggettivi ed espliciti di allontanamento dalla associazione.
L'approdo interpretativo di queste decisioni è dunque quello di giungere ad una considerazione evolutiva del secondo orientamento citato per giungere ad una soluzione definita dalla stessa decisione in commento come intermedia.
In altri termini, ciò che è stato ritenuto rilevante è che, «pur in mancanza della prova positiva della rescissione del vincolo associativo, si dimostri - in modo obiettivo e concreto - l'effettivo e irreversibile allontanamento dell'indagato dal gruppo criminale e la conseguente mancanza delle esigenze cautelari» (Cass. pen., sez. VI, n. 28821/2020), sicché occorre giungere, comunque, ad una considerazione circa la sussistenza di esigenze cautelari sulla base di prova logica e basata su elementi riscontrabili circa la ricorrenza di un irreversibile allontanamento, che rappresenta in fatto un elemento obiettivo di frattura rispetto all'inserimento nell'associazione mafiosa di riferimento, seppure diversamente declinato.
Tenuto conto, quindi, dell'excursus interpretativo e giurisprudenziale riportato anche dalla decisione in commento sembra potersi osservare, che in via di mediazione tra i due diversi orientamenti, ciò che occorre effettivamente realizzare in fase di valutazione delle esigenze cautelari in questi casi è una attenta verifica del presupposto negativo perché possa scattare l'automatismo ex lege, ovvero l'assenza di elementi, dedotti dalla parte, o comunque emergenti dagli atti, suscettibili di superare la presunzione di pericolosità sociale, che rende appunto inderogabile l'applicazione della misura intramuraria.
In tal senso dalla decisione in commento e dai precedenti citati emerge un dato assai significativo, che rappresenta una concreta soluzione interpretativa e di mediazione anche tenuto conto delle istanze difensive, tra i due contrapposti orientamenti, ovvero che spetta al giudice riempire di contenuto tale espressione, valutando nell'ambito del proprio prudente apprezzamento, quali eventuali dati sintomatici, se non di una formale rescissione del factum sceleris, di un serio, oggettivo ed irreversibile allontanamento e distacco dal gruppo di appartenenza.
Quindi, un'ottica interpretativa orientata a realizzare una valutazione attualizzata e in concreto anche sulla base delle allegazioni difensive, oltre che delle emergenze di indagine, «la presunzione di pericolosità sociale può, dunque, essere superata non solo quando sia dimostrato che l'associato ha stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa, ma anche quando dagli elementi a disposizione del giudice, prodotti o evidenziati dalla parte o direttamente evincibili dagli atti, emerga una situazione che dimostri in modo obiettivo e concreto, comprovata da circostanze di elevato spessore, l'effettivo allontanamento dell'indagato/imputato dal gruppo criminale, così che, pur in mancanza di una rescissione – formale o per facta concludentia – del vincolo associativo, si possa affermare che – come previsto dalla stessa disposizione - non sussistano esigenze cautelari», sicché «è ovvio che, proprio tenuto conto della specifica struttura e delle connotazioni criminologiche di tale figura criminosa, nonché delle logiche stringenti di accesso e di appartenenza alla consorteria, siffatta presunzione potrà ritenersi superata soltanto qualora gli elementi emergenti dagli atti processuali o dedotti dalla parte, consentano di ritenere serio, effettivo ed irreversibile l'allontanamento dal gruppo così da poter affermare – pur in mancanza di una rescissione del pactum sceleris – la radicale mancanza nell'attualità di esigenze cautelari» (Cass. pen., sez. VI, n. 19787/2019).
Occorre dunque che nella valutazione demandata al giudice della cautela emerga una lettura significativa, approfondita e coerente, sulla base di una considerazione logica degli elementi acquisiti, circa la ricorrenza di facta concludentia talmente significativi da poter ritenere elemento ricorrente quello dell'effettivo allontanamento dalla consorteria criminale in modo da poter riscontrare un'effettiva assenza di esigenze cautelari.
Dunque, al di là delle differenze linguistiche seguite dai due diversi orientamenti, richiedendo il primo la prova della rescissione dalla associazione e il secondo una prova rigorosa dell'effettivo allontanamento dell'indagato dal gruppo criminale, occorre considerare che pur in mancanza di una rescissione formale, il decorso di un tempo, seppur significativo, da solo non può provare l'irreversibile allontanamento, ma occorre, comunque, una dimostrazione in modo obiettivo e concreto di una situazione indicativa della assenza di esigenze cautelari (ad esempio un'attività di collaborazione o di trasferimento in altra zona territoriale).
La necessità di una prova rigorosa, in tal senso richiesta, evidenzia la portata e rilevanza della disposizione introdotta dal legislatore con la previsione della doppia presunzione di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p.
Ricorre dunque a carico del giudice della cautela un rigoroso onere motivazionale per riscontrare l'effettivo allontanamento, non potendo essere centrata la motivazione esclusivamente sul decorso del tempo come evidenzia nella sua soluzione anche la decisione in commento, soprattutto quando questo tempo trascorso non si manifesti e caratterizzi quale elemento circostanziato e puntualmente incidente rispetto al caso concreto, anche tenuto conto della portata devolutiva del giudizio di riesame.
In tal senso la Corte di cassazione ha chiarito, in una decisione che si avvicina nella soluzione a quella in commento, che in tema di custodia in carcere disposta per il reato di cui all'art. 416-bis c.p., la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall'art. 275, comma 3, c.p.p. non è superata per effetto del decorso di un tempo considerevole tra l'emissione della misura e i fatti contestati qualora risultino accertate la consolidata esistenza dell'associazione, la pregressa partecipazione alla stessa dell'indagato e la sua perdurante adesione ai valori del sodalizio (Cass. pen., sez. VI, n. 19787/2019).
Nel caso oggetto di considerazione la Corte, premessa la scelta interpretativa sopra richiamata - caratterizzata dalla volontà di «comporre i vari indicatori normativi e di operare una valutazione bilanciata che da una parte tenga conto della presunzione – ancorché relativa – di sussistenza delle esigenze cautelari e dell'altra non paralizzi la valutazione giudiziaria rispetto alla singola vicenda cautelare, quando sia trascorso un considerevole lasso di tempo dai fatti e il detenuto non abbia fatto registrare ulteriori comportamenti indicativi della sua appartenenza alla compagine malavitosa» – ha sottolineato che le caratteristiche di persistenza del vincolo associativo ex art. 416-bis c.p. sono state nuovamente riconosciute dalla Corte costituzionale quanto alla presunzione di adeguatezza della della sola custodia in carcere (C. cost. n. 136/2017).
Nella considerazione della Corte costituzionale emerge ancora una volta, nonostante il tentativo di rendere la valutazione più concreta possibile e vicina alle allegazioni delle parti, il dato imprescindibile caratterizzante sodalizi mafiosi, ovvero la permanenza inalterata degli stessi “nonostante le vicende personali dell'associato” e la viva pericolosità dello stesso.
La Corte di cassazione ha ritenuto tale indicazione di fondamentale rilevanza nella soluzione del caso oggetto di giudizio.
E, difatti, si è evidenziato come, a prescindere dal tempo trascorso, non è emersa la prova dell'allontanamento definitivo dell'indagato dal soldalizio mafioso indagato, né è stata riscontrata un'effettiva disarticolazione dello stesso. Con riferimento al c.d. tempo silente, la Corte ha ritenuto assolutamente approfondita, chiara e logica, oltre che persuasiva la motivazione del Tribunale del riesame che ha motivato quanto alla “robustezza della partecipazione associativa del ricorrente al sodalizio” nonostante la detenzione subita, durante la quale sono emersi e sono stati conseguentemente valutati come indicativi diversi fattori esplicativi di attività criminale, anche con propositi omicidiari, direttamente indicativi della vitalità criminale dell'indagato, nel contesto mafioso di riferimento, anche considerati i plurimi e rilevanti precedenti penali allo stesso riferibili, tutti elementi ricostruttivi di una «personalità proclive al delinquere ed insensibile anche alle esperienze giudiziarie pregresse». Osservazioni
Sono di particolare rilevanza alcuni aspetti sottesi al ragionamento decisione oggetto di commento: - la sentita necessità di superare un contrasto interpretativo più apparente che reale in considerazione anche di numerose decisioni, che nell'affrontare il caso concreto, richiamano le soluzioni poi esplicitate, nell'ottica di un pieno contemperamento delle esigenze difensive in relazione alla disciplina normativa di riferimento, da Cass. pen., sez. VI, n. 19787/2019; Cass. pen., sez. V, n. 36891/2020; Cass. pen., sez. II, n. 7837/2021; - la portata ricostruttiva ed ampiamente lineare dell'interpretazione della Corte costituzionale, che non solo con riferimento all'ordinanza citata dalla sentenza oggetto di commento, ma anche più di recente in caso diverso (C. cost. 191/2020), ha esplicitato la particolare pregnanza dei legami associativi proprio quanto alla considerazione di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere come misura cautelare, chiarendo come i fenomeni criminali presi in considerazione dalla disciplina di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. si caratterizzino per una potenzialità di danno per la comunità statale e, dunque, richiedano una approfondita considerazione, con una visuale completa ed analitica, di tutti gli elementi caratterizzanti tale tipologia di vincolo, non apparendo quindi sufficiente il mancato contatto per qualche tempo dei singoli associati, proprio per la forza del vincolo che deriva da associazioni sia di stampo mafioso che con finalità di eversione.
In conclusione la decisione in commento mostra, in modo costruttivo, una completa cognizione delle problematiche sul tema dell'adeguata motivazione quanto alla ricorrenza delle esigenze cautelari e si inserisce, proficuamente, nell'ambito di un orientamento c.d. intermedio, ma che vale sostanzialmente a dimostrare la sostanziale apparenza del contrasto spesso richiamato, indicando una strada e un percorso argomentativo e interpretativo in questi casi certamente apprezzabile, nell'ambito del quale potrà assumere rilievo anche il c.d. tempo silente, senza che tuttavia si possa mai prescindere dalle caratteristiche dell'associazione e dalla forza del suo radicamento per poter ritenere insussistenti le esigenze cautelari.
Una valutazione, dunque, in concreto di chiari, significativi ed univoci elementi di allontanamento dalla consorteria criminale, tra i quali può certamente essere considerato il tempo silente, ma che non può rappresentare un elemento solitario e risolutivo di valutazione in presenza di aggregazioni criminali valutate dal legislatore, e dalla Corte costituzionale, in termini univoci quanto alla pregnanza dei legami che ne derivano e alla oggettiva ed estesa pericolosità sociale delle stesse. Riferimenti
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