Autoriciclaggio per chi investe i profitti di reato per acquistare criptovalute

Ranieri Razzante
14 Novembre 2022

È integrato il reato di autoriciclaggio di cui all'art. art. 648-ter1 c.p. qualora siano state acquistate criptovalute per il tramite di proventi di attività illegale?
Massima

Integra il delitto di autoriciclaggio la condotta di chi, in qualità di autore del delitto presupposto di truffa, impieghi le somme accreditategli dalla vittima trasferendole, con disposizione online, su un conto intestato alla piattaforma di scambio di bitcoin per il successivo acquisto di tale valuta, così realizzando l'investimento di profitti illeciti in operazioni finanziarie a fini speculativi, idonee ad ostacolare la tracciabilità dell'origine delittuosa del denaro.

Il caso

Il Tribunale di merito, in funzione di giudice del riesame cautelare, rigettava l'impugnazione proposta avverso l'ordinanza del GIP applicativa della misura della custodia carceraria, in relazione ai reati di truffa nonché del delitto di autoriciclaggio. Il Tribunale ribadiva la propria competenza territoriale; la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 5, c.p. per le particolari condizioni del luogo non fisico (piattaforma online) che avevano favorito l'agente a discapito delle vittime; i gravi indizi di colpevolezza in relazione all'ipotesi di autoriciclaggio, atteso il reinvestimento dei proventi illeciti in operazioni finanziarie (acquisto di valuta virtuale, bitcoin); l'attualità e la concretezza delle esigenze cautelari con conseguente pericolo di recidiva.

Avverso il provvedimento collegiale proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'indagato, lamentando, in particolare, la non violazione dell'art. 648-ter 1 c.p.

In primis, veniva asserito – a sostegno del ricorso – che acquistare bitcoin per il tramite di contante proveniente da attività criminali da parte del soggetto che commetteva un reato presupposto – che alla luce della riforma del 2021 può essere costituito da qualsiasi reato – non potesse integrare il reato di cui all'art. 648-ter 1 c.p., atteso che risultava assente l'impiego del denaro in attività tale da determinare un guadagno. Invero, la difesa sosteneva – a differenza dell'accusa – che non erano stati realizzati atti ai fini di lucro; detto altrimenti, era stata acquistata moneta virtuale non per sfruttare l'oscillazione del suo valore.

In secundis, la condotta non era idonea ad ostacolare l'individuazione dell'origine non lecita dei beni: i bitcoin venivano acquistati sulla piattaforma digitale, in modo trasparente; le attività traslative divenivano una catena, detta blockchain, con registrazione sul c.d. distribuited ledger, consultabile dall'esterno.

Inoltre, a detta della difesa, per integrare il reato di autoriciclaggio, era necessario ostacolare l'origine dei beni – oggetto dei reati presupposto – e non del soggetto, ossia di cui a cui era associato il bitcoin: l'account avrebbe consentito l'individuazione della moneta virtuale che era stata acquistata.

La questione

Il caso de quo ha posto l'attenzione sull'integrazione o meno del reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter1 c.p. qualora siano state acquistate criptovalute per il tramite di proventi di attività illegale.

Le soluzioni giuridiche

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla questione di cui trattasi, affermava che la condotta dell'autore del delitto presupposto di truffa, il quale impieghi le somme accreditategli dalla vittima, trasferendole online su un conto intestato alla piattaforma di scambio di bitcoin, per il successivo acquisto di tale valuta virtuale, integrasse il reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter1 c.p. Invero, questa modalità consentirebbe di realizzare un investimento di profitti illeciti in operazioni finanziarie a fini speculativi, idonee ad ostacolare la tracciabilità dell'origine delittuosa del denaro per gli organi inquirenti: detto altrimenti, il bitcoin rientra tra gli strumenti finanziari e speculativi di cui parla la disposizione ex art.648-ter1 c.p. In particolare, i Giudici di legittimità precisavano che il reato de quo ha natura istantanea e, pertanto, si consuma nel momento in cui vengono realizzate le condotte di impiego, sostituzione o trasformazione dei beni che costituiscono l'oggetto materiale del delitto presupposto (Cass. pen., sez. II, 4 luglio 2019, n. 38838, depositata il 20 settembre 2019).

Osservazioni

Mentre in passato la finanza è stata protetta dal controllo e dalla regolamentazione di Governi e di Banche Centrali, attualmente, la trasformazione digitale delle imprese ha portato a nuovi modelli di businessbasati su piattaforme ed economie in condivisione, che richiedono una fornitura più rapida, trasparente ed efficiente di servizi.

Tecnologie finanziarie – c.d. FinTech – come la blockchain hanno il potenziale di ridurre i costi delle transazioni in un sistema finanziario; tuttavia, allo stesso tempo, possono comportare rischi per i consumatori, gli investitori e, più in generale, per la stabilità e l'integrità finanziaria.

In questo scenario, può osservarsi come l'impiego delle criptovalute stia crescendo velocemente, come mai prima d'ora, anche in considerazione della diffusione di una delle tipologie, il bitcoin, che ha generato un giro d'affari di milioni di euro.

Orbene, tra tutte le criptovalute monitorate, il volume totale delle transazioni è cresciuto a 15,8 trilioni di dollari nel 2021, con un aumento del 567% rispetto al totale del 2020. Data la consistente diffusione, non è una sorpresa che sempre più criminali informatici stiano utilizzando le criptovalute.

Il fatto che l'aumento del volume delle transazioni illecite sia stato solo del 79% - quasi un ordine di grandezza inferiore rispetto all'adozione generale - potrebbe essere il dato più sorprendente. Invero, con la crescita dell'uso legittimo delle criptovalute, di gran lunga maggiore dell'incremento nell'utilizzo criminale, la quota di attività illecita in merito alle transazioni di criptovaluta non è mai stata così bassa.

I criminali informatici che si occupano di criptovalute hanno un obiettivo comune: trasferire i loro fondi in un servizio dove possono essere tenuti al sicuro dalle autorità e, successivamente, convertirli in contanti. Ecco perché il riciclaggio di denaro è alla base di tutte le altre forme di crimine incentrato sulle monete virtuali: se non è agevole accedere ai fondi, non c'è incentivo a commettere crimini che coinvolgono le criptovalute.

Il riciclaggio è in crescita proprio grazie alla globalizzazione, accompagnata dalla possibilità di avvalersi di transazioni anonime e dematerializzate. Difatti, nonostante, a livello teorico, le operazioni effettuate siano sempre riconducibili a wallet a cui si può risalire nella blockchain, è ben più complesso identificare la persona fisica o giuridica dietro le operazioni.

L'attività di riciclaggio di denaro nelle monete virtuali è anche fortemente concentrata. Mentre miliardi di dollari di criptovalute si muovono da indirizzi illeciti ogni anno, la maggior parte finisce ad un gruppo sorprendentemente piccolo di servizi, molti dei quali sembrano fatti apposta per il riciclaggio di denaro.

Ad ogni modo, i dati Eurojust, confermano che oltre il 60% delle organizzazioni criminali europee utilizzi criptovalute nelle sue attività. Per questo motivo, l'esigenza di una regolamentazione esaustiva delle criptovalute – come già segnalato – è stata sostenuta da esperti sia a livello nazionale che internazionale, temendo la creazione di bolle finanziarie anche più problematiche del disastro dei mutui subprime del 2008. Ad oggi, tuttavia, è ancora assente una disciplina efficace del settore crypto, la cui trattazione è relegata alle discussioni accademiche e a provvedimenti o raccomandazioni di autorità di vigilanza

Un'apposita normativa potrebbe sferrare un duro colpo ai reati basati sulle criptovalute e ostacolare significativamente la capacità dei criminali di accedere ai loro beni digitali, ad esempio inasprendo i controlli sui servizi utilizzati per riciclare denaro.

Riferimenti
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