Il compenso degli amministratori di società di capitali

15 Novembre 2022

In tema di determinazione del compenso degli amministratori, la Cassazione ribadisce che non è sufficiente la delibera di approvazione del bilancio, ma occorre una delibera ad hoc.
Massima

Qualora l'entità del compenso degli amministratori di società di capitali non sia stabilita nello statuto, per la sua determinazione è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio.

Il caso

Una società a responsabilità limitata conveniva in giudizio i propri amministratori e sindaci per ottenere il risarcimento dei danni cagionati, da un lato, dalla liquidazione, in favore degli amministratori, di compensi sproporzionati e, dall'alto lato, da finanziamenti contrari a quanto previsto dallo statuto, nonché dalla vendita a prezzi inferiori a quelli di mercato di numerosi immobili appartenenti alla società.

Il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda e condannava i convenuti in via solidale.

La sentenza veniva impugnata e parzialmente riformata in appello (ove si costituiva in giudizio, per la società attrice nel frattempo dichiarata fallita, la curatela), con pronuncia che veniva, a propria volta, gravata con ricorso per cassazione.

Per quanto interessa specificamente in questa sede, con uno dei ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte d'appello di Salerno era censurata la violazione dell'art. 2389 c.c., in quanto, secondo la tesi patrocinata dal ricorrente, l'approvazione, da parte dell'assemblea dei soci, del bilancio di esercizio in cui risultava iscritta la voce relativa al compenso percepito dagli amministratori, valeva quale manifestazione di volontà diretta all'approvazione e alla ratifica di tale attribuzione, sicché la società non era legittimata a dolersi dell'eccessività del compenso.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo di censura in questione.

La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi: 1) in virtù di quanto stabilito dall'art. 2389 c.c., qualora la misura del compenso degli amministratori non sia stabilita dallo statuto, occorre un'esplicita delibera assembleare che la determini; 2) data la natura imperativa e inderogabile della norma, tale delibera non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio contenente la posta relativa al compenso degli amministratori, atteso che l'art. 2364 c.c. considera l'una delibera distintamente dall'altra; 3) l'unica ipotesi in cui può ravvisarsi una delibera implicita è quella dell'assemblea totalitaria che, convocata per la sola approvazione del bilancio, abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

Osservazioni

L'ordinanza che si annota, intervenendo in una controversia in cui venivano mosse plurime contestazioni ad amministratori e sindaci di una società a responsabilità limitata (poi dichiarata fallita), ribadisce alcuni principi inerenti alla determinazione del compenso degli amministratori consolidatisi nel corso del tempo.

Una volta superato il dubbio circa la persistente presunzione di onerosità dell'incarico di amministratore di società a responsabilità limitata (perplessità ingenerate dalla soppressione, ascrivibile alla riforma del 2003, del rinvio all'art. 2389 c.c. prima contenuto nell'art. 2487, comma 2, c.c. e dalla mancata introduzione di una disciplina ad hoc), la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che il diritto al compenso origina direttamente dall'accettazione della carica, quale diritto soggettivo perfetto (e disponibile, come tale derogabile ovvero rinunciabile) alla remunerazione dell'attività svolta.

A questo riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha sempre fatto leva sull'esistenza di un rapporto, avente lato sensu natura contrattuale, che lega l'amministratore alla società: in tale prospettiva, il diritto al compenso, pur originando nel contesto di un rapporto di immedesimazione organica (per effetto del quale gli atti compiuti dall'amministratore sono direttamente imputabili alla società, in forza della rappresentanza generale attribuitagli dall'art. 2475-bis c.c.), ha titolo in una relazione di tipo contrattuale, in seno alla quale è ravvisabile un nesso sinallagmatico di corrispettività con gli obblighi che l'amministratore deve osservare.

Così, nell'ambito del rapporto associativo che origina dal contratto di società ex art. 2247 c.c., se ne innesta uno di tipo contrattuale, a prestazioni corrispettive, che lega l'amministratore alla società e che è caratterizzato dall'obbligo del primo (inteso quale persona fisica investita delle funzioni proprie dell'organo amministrativo cui è preposto) di rispettare i doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo in materia di amministrazione della società e dal corrispondente diritto (disponibile e rinunciabile) di conseguire il compenso per l'attività svolta, che, se non riconosciutogli dalla società o attribuitogli in misura ritenuta non adeguata e non consona rispetto alle attività svolte, può essere liquidato in via equitativa dal giudice.

L'art. 2389 c.c. stabilisce che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea e possono essere costituiti, in tutto o in parte, da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione; il comma 3 prevede, infine, che la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche – per tali dovendosi intendere, secondo l'interpretazione più accreditata, quelle che, al di là dei concetti di amministrazione ordinaria e straordinaria, esulano dal normale potere di gestione della società in relazione al suo oggetto sociale, involgendo un impegno che, per quantità e qualità, si discosta nettamente da quello normalmente richiesto per l'esercizio delle funzioni amministrative – è stabilita dal consiglio di amministrazione, una volta acquisito il parere (obbligatorio ma non vincolante) del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, resta, in ogni caso, ferma la possibilità per l'assemblea di determinare una remunerazione complessiva di tutti gli amministratori, compresi quelli investiti di particolari cariche.

La norma, dettata in materia di società per azioni e da leggere in combinato disposto con l'art. 2364, comma 1, n. 3), c.c. (nel senso che la determinazione del compenso è rimessa, in prima battuta, allo statuto e, solamente qualora quest'ultimo nulla disponga, all'assemblea ordinaria), non è reputata senz'altro applicabile alle società a responsabilità limitata, posto che, come già detto, la riforma del 2003 ha espunto ogni rinvio esplicito a essa, contenuto nel previgente art. 2487 c.c. Ciononostante, in virtù di un'interpretazione estensiva (piuttosto che analogica) volta a evitare che dall'autodeterminazione del compenso da parte degli amministratori possano scaturire abusi o conflitti d'interessi, prevale l'orientamento secondo cui la competenza a stabilirne l'entità, anche nelle società a responsabilità limitata, appartiene allo statuto o all'assemblea dei soci, al momento della nomina degli amministratori o con successiva e autonoma decisione, ai sensi dell'art. 2479, comma 2, c.c.

Peraltro, mentre deve predicarsi la nullità della clausola dello statuto di una società per azioni che attribuisca agli amministratori il potere di determinare il proprio compenso, stante la natura imperativa dell'art. 2389 c.c. (dettato anche in funzione di tutelare l'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività commerciale e industriale in forma societaria, tant'è vero che l'abrogato art. 2630 c.c. prevedeva una sanzione penale per gli amministratori che avessero percepito compensi non previamente deliberati dall'assemblea, sanzione che tuttora permane in capo agli amministratori di società quotate, ai sensi dell'art. 178 d.lgs. 58/1998), non altrettanto è a dirsi per quanto riguarda le società a responsabilità limitata, perlomeno per quelle di stampo personalistico, considerata l'ampia autonomia statutaria che le caratterizza e ferma restando la sindacabilità dell'eccessività o della sproporzione della misura del compenso concretamente determinata.

In effetti, poiché l'art. 2479 c.c. – nell'individuare le materie necessariamente riservate alla competenza dei soci – non contiene alcun riferimento al compenso degli amministratori, se ne fa discendere la più ampia libertà e autonomia nell'individuare l'organo competente a determinarlo (ferma restando la facoltà di predeterminare i criteri che andranno osservati al riguardo).

Dall'indiscutibile natura imperativa e dalla conseguente inderogabilità della norma recata dall'art. 2389 c.c., ovvero delle competenze attribuite dalla legge agli organi sociali a tutela dei diritti di informazione dei soci e dei terzi, la giurisprudenza ha dedotto l'impossibilità di convalida degli atti di autodeterminazione dei compensi riconducibili agli amministratori.

Questo argomento, unito al fatto che l'ammissibilità di delibere implicite (ossia nelle quali la volontà dell'assemblea si manifesta non direttamente, bensì per fatti concludenti) si pone in contrasto con le regole di formazione della volontà della società (in particolare, con l'art. 2366 c.c., che afferma la necessità della previa indicazione, nell'ordine del giorno, degli argomenti sui quali andrà deliberato, onde consentire la partecipazione consapevole all'assemblea ed evitare l'effetto sorpresa per gli assenti), ha indotto a escludere che dall'approvazione del bilancio in cui compaia la voce relativa ai compensi attribuiti agli amministratori possa essere fatta discendere, per implicito, una deliberazione dell'assemblea in ordine alla determinazione di detti compensi, ovvero un'appropriazione, da parte dell'organo assembleare, di una decisione presa da quello amministrativo.

Perché si possa parlare di volontà espressa dall'assemblea e, come tale, imputabile alla società, occorre, infatti, che essa discenda da una deliberazione assunta secondo il procedimento formale disciplinato dalla legge, che fa leva sull'esplicitazione delle materie da trattare e sull'adeguata informazione ai soci.

Tale regola, peraltro, deve considerarsi applicabile anche alle società a responsabilità limitata, ogni volta che la determinazione del compenso degli amministratori spetti all'assemblea (vuoi per scelta statutaria, vuoi per l'assenza di una previsione che affidi tale compito a un diverso organo o soggetto).

Ciò deve valere, a maggior ragione, quando la società rediga il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell'art. 2435-bis c.c., omettendo ogni indicazione relativa al compenso degli amministratori, dal momento che non sarebbe concepibile che la delibera di approvazione del bilancio comporti implicitamente anche l'approvazione del compenso degli amministratori che non vi trovi una specifica e ben identificabile evidenza, così che sia – di fatto – impedito di percepirne l'entità.

Conclusioni

La sentenza annotata conferma e ribadisce un orientamento che, a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 21933 del 29 agosto 2008, si è affermato e definitivamente consolidato, superando quello – patrocinato da alcune pronunce di legittimità – secondo cui l'approvazione, da parte dell'assemblea, del bilancio d'esercizio in cui risulti iscritta la voce relativa al compenso percepito dagli amministratori costituiva manifestazione di volontà specificamente diretta all'approvazione e alla ratifica di tale attribuzione.

Fermo restando che l'assemblea convocata per la nomina degli amministratori può validamente deliberare anche sul loro compenso, sebbene l'ordine del giorno non lo preveda espressamente (perché si tratta di argomento connesso alla nomina, attesa la naturale onerosità della carica), l'unica ipotesi in cui deve ancora reputarsi ammissibile una delibera implicita è quella in cui l'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

La configurabilità e la legittimità di una delibera implicita, infatti, passa pur sempre per la verifica del rispetto delle disposizioni dettate in materia di formazione della volontà della società, onde garantire che l'assunzione di una decisione avvenga attraverso il percorso delineato dal legislatore e con le garanzie dallo stesso apprestate.

D'altro canto, sostenere che l'approvazione del bilancio implichi sempre e comunque ratifica dell'ivi esposto compenso degli amministratori, solo perché quest'ultimo risulta iscritto nel documento contabile, sebbene non vi sia stata sul punto alcuna discussione, né espressione di un giudizio, significherebbe attribuire alla volontà di approvare il rendiconto della gestione di un determinato esercizio sociale un contenuto che essa non ha in sé, non sussistendo alcun collegamento in termini di continenza o di consequenzialità tra le due delibere (nel senso che l'una non presuppone necessariamente l'altra).

Di converso, può discutersi se il mancato inserimento, nel bilancio d'esercizio, della posta relativa al compenso degli amministratori possa valere quale rinuncia degli stessi a percepirlo, visto che la legge attribuisce in via esclusiva all'organo gestorio la competenza a predisporre il bilancio, che, sempre in virtù di quanto positivamente previsto, dev'essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società; sicché la mancata indicazione di una voce che, in questo senso, può avere anche un'incidenza significativa, ben potrebbe assumere i connotati di una tacita ovvero implicita rinuncia alla percezione del compenso per l'attività svolta.

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