Assistenza a familiare disabile: limiti al divieto di trasferimento del lavoratore e preclusione di diverso apprezzamento di prove in sede di legittimità

Giulia Passaquindici
Alessandro Tonelli
17 Novembre 2022

Il divieto di trasferimento del lavoratore ex art. 33 L. 104/1992 opera anche in caso di handicap non grave a meno che non vi siano esigenze aziendali insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte. Tali evidenze in fatto devono essere valutate dal giudice del merito e non possono essere oggetto di apprezzamento in sede di legittimità.
Massime

Il trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile è vietato anche quando la disabilità non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

È inammissibile il motivo di ricorso che, sotto l'apparente denuncia di violazione di legge, critica nella sostanza la valutazione degli elementi fattuali compiuta dalla Corte di rinvio, sollecitando una revisione dell'apprezzamento delle prove e del ragionamento decisorio svolto da quest'ultima.

Il caso

La lavoratrice ha, prima, impugnato il trasferimento disposto dal datore di lavoro, cui aveva fatto seguito il licenziamento per non avere ella preso servizio presso la nuova sede e per aver goduto di ferie e permessi non autorizzati e, a seguito della sentenza di cassazione con rinvio, ha impugnato anche la pronuncia della Corte territoriale, adottata in applicazione del principio di diritto sancito in sede di legittimità, invocando una revisione dell'apprezzamento delle prove e del ragionamento logico-giuridico svolto dalla Corte di rinvio con riguardo alla valutazione della serietà e della rilevanza della menomazione della parente assistita.

Le questioni

Le questioni giuridiche considerate riguardano, sotto il profilo sostanziale, i limiti al divieto di trasferimento del lavoratore che assiste il parente disabile ex art. 33 L. 104/1992 e, sotto quello processuale, la preclusione di un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie in sede di legittimità.

Le soluzioni giuridiche

Il caso in esame è stato oggetto di due interventi da parte della Corte di Cassazione.

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza della Corte d'Appello di Roma rinviando per l'applicazione del principio di diritto per cui il divieto di trasferimento opera anche quando la disabilità del parente assistito dal lavoratore non sia grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

I giudici di legittimità hanno osservato che la Corte territoriale non avrebbe dovuto fermarsi alla mancanza di documenti sull'invalidità grave della parente assistita dalla ricorrente, ma valutare la serietà e la rilevanza dell'handicap, sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza, a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento.

La Corte di rinvio, dunque, in applicazione di detto principio, ha rigettato le domande della lavoratrice ritenendo che ella non avesse assolto all'onere di dimostrare la serietà e la rilevanza della menomazione sotto il profilo della necessità di assistenza. È stato, pertanto, escluso che la parente della lavoratrice si trovasse in una condizione di riduzione dell'autonomia personale tale da rendere necessario un intervento assistenziale continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione; è stata, invece, accertata la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive sottese al trasferimento e la loro idoneità a dimostrare l'esigenza datoriale di utilizzare la dipendente presso la sede di destinazione. Tanto è stato ritenuto sufficiente a legittimare il trasferimento e conseguentemente il licenziamento per non aver la ricorrente preso servizio nella sede di destinazione e per aver goduto di ferie e permessi non autorizzati.

Anche tale decisione è stata impugnata dalla dipendente che ha affidato l'impugnazione a un unico motivo di ricorso: la pretesa errata valutazione della serietà e della rilevanza dell'handicap della parente assistita risultante dalla documentazione sanitaria prodotta.

La Corte di Cassazione, quindi, è nuovamente intervenuta con la sentenza in commento per respingere il gravame proposto in considerazione del fatto che il motivo di ricorso consisteva sostanzialmente nella critica della valutazione degli elementi fattuali compiuta dalla Corte di rinvio con l'obiettivo – inammissibile - di sollecitare una revisione dell'apprezzamento delle prove e del ragionamento decisorio in sede di legittimità.

Osservazioni

La Corte di Cassazione, seppur formalmente chiamata a pronunciarsi con la sentenza in commento su un unico motivo di impugnazione attinente alla valutazione delle risultanze istruttorie in sede di merito, ha dedicato ampio spazio alla ricostruzione dello svolgimento del processo, dando ulteriore rilievo al principio, già espresso in sede di cassazione con rinvio, per cui il divieto di trasferimento ex art. 33 L. 104/1992 trova applicazione anche nei casi in cui si tratti di menomazione non grave purché siano effettive e non altrimenti soddisfabili le esigenze aziendali poste alla base di esso.

Il lavoratore, pertanto, al fine di far valere detto divieto, è onerato della prova della rilevanza dell'handicap sotto il profilo della necessità di assistenza da parte sua; il datore di lavoro è, invece, gravato dell'onere di dimostrare la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive poste alla base del trasferimento.

La Corte di rinvio, quindi, ha deciso sulla base della valutazione delle prove offerte da ambo le parti, escludendo che quelle della lavoratrice fossero idonee a dimostrare uno stato di riduzione dell'autonomia della parente assistita tale da rendere necessario un intervento assistenziale continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.

Viceversa, i giudici del rinvio hanno ritenuto provata l'esigenza di impiegare la ricorrente presso la sede di destinazione.

Non soddisfatta di detta valutazione probatoria, la lavoratrice ha proposto gravame sotto l'apparente denuncia di violazione di legge ma, in concreto, ha sollecitato una diversa valutazione delle prove e del ragionamento decisorio.

La Corte di Cassazione, ribadendo l'orientamento granitico sul punto, ha rigettato il ricorso in quanto insindacabile in sede di legittimità l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice del merito nell'apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare.

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