Con la sentenza del 28 aprile 2022, la Corte di Giustizia UE ha (ri)affermato che il trasferimento d'azienda di un'impresa in stato di crisi in fase liquidatoria può avvenire sacrificando i diritti dei lavoratori stabiliti dalla Direttiva 2001/23/CE: questa, in sostanza, dispone (artt. 3 e 4) una serie di tutele in loro favore (tra cui il passaggio del rapporto senza soluzione di continuità da cedente a cessionario, la responsabilità solidale tra questi ultimi per i crediti risultanti alla data del trasferimento, il mantenimento delle condizioni di lavoro stabilite dal contratto collettivo applicato dal cedente, il divieto di licenziamento giustificato dal trasferimento d'azienda) che l'art. 5 consente di disapplicare nel caso in cui il cedente sia (i) oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura analoga (ii) aperta in vista della liquidazione dei suoi beni e (iii) sottoposta al controllo di un'autorità pubblica.
La Corte di Giustizia ha ravvisato la sussistenza dei presupposti richiesti per la deroga nel caso riguardante un'azione giudiziale promossa da un sindacato olandese contro due società neocostituite (iscritte nel registro delle imprese il 21 gennaio 2014) che avevano rilevato da un'impresa cedente in stato di insolvenza due terzi dei dipendenti sottoponendoli a condizioni di lavoro meno favorevoli.
Il passaggio era avvenuto nell'ambito di una procedura attivata su istanza dell'impresa che versava in gravi difficoltà finanziarie e denominata pre-pack, che trova fondamento nella prassi nazionale di origine giurisprudenziale, il cui scopo è quello di approntare attività di analisi preparatorie volte poi a consentire nella successiva procedura di fallimento una modalità di liquidazione con la quale il patrimonio della cedente viene trasferito per ottenere il rendimento più elevato possibile per l'insieme dei creditori e mantenere al tempo stesso il più possibile l'occupazione.
La fase preliminare pre-pack (aperta il 16 gennaio 2014) aveva quindi visto la designazione di un curatore e di un giudice delegato, con l'incarico di “osservare, informarsi ed essere informati, nonché esprimere il loro parere e, all'occorrenza, dare consigli”, confermati poi nei rispettivi ruoli con la sentenza di fallimento dell'impresa insolvente del 27 gennaio 2014.
L'accordo di cessione di quest'ultima era stato concluso con le nuove società il 29 gennaio 2014.
L'organizzazione sindacale lamentava che nella procedura di pre-pack fossero assenti la finalità liquidatoria ed il controllo di un'autorità pubblica richiesti dall'art. 5 Direttiva n. 2001/23 per l'operatività della deroga ai diritti dei lavoratori.
La Corte di Giustizia ha invece ritenuto che l'ambito di applicazione di tale norma non è limitato alle imprese la cui attività sia stata definitivamente interrotta prima della cessione o successivamente a quest'ultima, affermando che “l'art. 5, paragrafo 1 implica che un'impresa o una parte di impresa ancora in attività debba poter essere ceduta beneficiando al contempo della deroga prevista in detta disposizione. Così facendo, la direttiva 2001/23 previene il rischio che l'impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o stabilimento si svaluti prima che il cessionario rilevi, nell'ambito della procedura fallimentare aperta ai fini della liquidazione dei beni del cedente, una parte del patrimonio e/o delle attività del cedente ritenute redditizie”. La deroga – ha quindi stabilito la Corte – “mira ad evitare il grave rischio di un complessivo deterioramento del valore dell'impresa ceduta o delle condizioni di vita e di lavoro della mano d'opera, che sarebbe in contrasto con le finalità del trattato”.