L'avvocato omette di eccepire una nullità rilevabile d'ufficio: esclusa la responsabilità professionale
18 Novembre 2022
In un recente intervento, la Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità professionale di due avvocati che, dovendo proporre impugnazione avvero il licenziamento disciplinare di un loro cliente, hanno omesso, nel ricorso ex art. 414 c.p.c., di eccepire la mancata preventiva contestazione dell'addebito, eccezione che avrebbe comportato la declaratoria di illegittimità per difetto di forma. Ciò accadeva sia in primo grado, quando il ricorrente era assistito da un avvocato, che in secondo grado, quando a seguito di rinuncia al mandato del primo, ne era stato nominato un secondo. In entrambi i gradi il ricorso veniva rigettato per tardività dell'eccezione.
Il cliente licenziato conveniva in giudizio i due professionisti chiedendo il risarcimento del danno previo accertamento della loro responsabilità professionale: il Tribunale rigettava la domanda e la Corte d'appello respingeva l'impugnazione, entrambi concordi nell'affermare che il licenziato avrebbe potuto adire la Cassazione facendo anche in quella sede valere la nullità del licenziamento; ciò in ragione della sentenza della Cass. civ., sez. unite, n 26242/2014, la quale ha stabilito che la rilevabilità d'ufficio delle nullità negoziali si estende anche alle nullità di protezione e che tra queste vi rientra anche quella per mancato rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 7, l. n. 300/1970.
In ossequio a tale principio, la nullità del licenziamento avrebbe potuto essere rilevata anche in terzo grado e, pertanto, l'errore degli avvocati non avrebbe avuto efficienza causale rispetto al mancato accoglimento della domanda di nullità.
La Suprema Corte premette che in tema di rilevabilità officiosa delle nullità non dedotte dalla parte nell'ambito di un giudizio di licenziamento, i precedenti della stessa non sono univoci: da un lato vi è chi sostiene che la nullità rientri, appunto, tra quelle di protezione e sia rilevabile d'ufficio, dall'altro non mancano pronunce che sottopongono tale azione a un termine di decadenza e ne escludono la rilevabilità d'ufficio (Cass. civ., sez. lav., 7687/2017).
Secondo quest'ultimo orientamento, l'impugnativa del licenziamento resta delimitata dalle ragioni di nullità dell'atto quali introdotte nel proporre il giudizio, per cui le parti non possono introdurre ulteriori ragioni nel corso del processo, né può il giudice procedere a rilevare d'ufficio nullità diverse da quelle eccepite (si veda anche Cass. civ., sez. lav., 40896/2021 in tema di contratto di collaborazione autonoma).
A seguito di queste premesse, la Corte di Cassazione rileva che il giudice non può comunque prescindere dal materiale processuale acquisito al giudizio e dal quale emergano fatti che siano idonei ad integrare il profilo a rilievo officioso; ritiene pertanto di aderire all'orientamento espresso dalla Cass. civ., sez. unite, n 26242/2014 e Cass. civ., sez. unite, n 26243/2014.
Nel caso in esame, dalla lettera di licenziamento riprodotta dalle parti nel ricorso e in controricorso, emerge che la contestazione del fatto sia stata contestuale al licenziamento e non preventiva e che vi sia stata violazione dell'iter di cui all'art. 7, l. n. 300/1970; il fatto, già acquisito agli atti, poteva portare a un rilievo d'ufficio della nullità sia in primo, che secondo grado e anche da parte della Cassazione, nonostante tale eccezione non fosse stata formulata. Da ciò ne deriva un'irrilevanza dell'errore professionale degli avvocati, non avendo alcuna efficacia causale nel mancato accoglimento della domanda.
La Corte di Cassazione, non ravvedendo nel – pur pacifico – errore dei professionisti alcuna responsabilità, rigetta il ricorso.
(Fonte: dirittoegiustizia.it)
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