Al contratto tra amministratore e condominio si applica il codice del consumo?

17 Novembre 2022

Il testo che segue analizza il contratto di amministrazione di condominio nella prospettiva dell'applicazione della disciplina consumeristica, alla luce della circostanza per cui questo è l'unico contratto che non vede il condominio rappresentato dall'amministratore.
Il quadro normativo

Il contratto che lega il condominio all'amministratore viene definito “contratto di amministrazione di condominio”.

Come è stato recentemente precisato dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2021, n. 7874), tale contratto è un “contratto tipico […] il cui contenuto è essenzialmente dettato negli artt. 1129,1130 e 1131 c.c.”.

Esso “non costituisce prestazione d'opera intellettuale, e non è perciò soggetto alle norme che il Codice civile prevede per il relativo contratto”. Ciò deve affermarsi - è stato sottolineato - alla luce della considerazione “che l'esercizio di tale attività non è subordinato - come richiesto dall'art. 2229 c.c. - all'iscrizione in apposito albo o elenco”, ma è invece condizionato - in base a quanto prevede l'art. 71-bis disp. att. c.c. - “al possesso di determinati requisiti di professionalità e onorabilità, e rientra, piuttosto, nell'ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla l. 14 gennaio 2013, n. 4” (da ricordare - per inciso - che a proposito dell'attività dell'amministratore di condominio è intervenuta nel passato la Corte Costituzionale che, con sentenza 2 marzo 2007, n. 57, ha dichiarato incostituzionali, in relazione all'art. 117, comma 3, Cost., gli artt. 2, comma 1, e 3, commi 1 e 3, della l. 9 dicembre 2005, n. 28 della Regione Marche, istituente il registro degli amministratori di condominio, poiché l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, nonché la disciplina dei titoli necessari per l'esercizio delle professioni e l'istituzione di nuovi albi rientra nella competenza esclusiva dello Stato).

Quanto alla disciplina che deve applicarsi al contratto in questione, la sentenza ricordata della Cassazione ha sottolineato - allineandosi a numerosi precedenti (Cass. civ., sez. II, 17 agosto 2017, n. 20137; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2014, n. 9082; Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2011, n. 14197) - che “stando alla giurisprudenza del tutto prevalente e poi anche all'indicazione normativa dettata nel penultimo comma dell'art. 1129 c.c., al contratto di amministrazione di condominio, al di là dello statuto dei poteri e degli obblighi esplicitamente dettato negli artt. 1129,1130 e 1131 c.c., può trovare residuale applicazione la disciplina in tema di contratto di mandato”.

E' appunto in relazione alla circostanza che il contratto in questione viene ad essere disciplinato in via principale e prioritaria dalle disposizioni degli specifici articoli sopra ricordati del Codice civile e solo in via residuale dalle norme dettate dal Codice civile in tema di mandato - sì che esso viene ad essere soggetto principalmente ed in parte maggiore ad un insieme di regole dettate da disposizioni specifiche ed esclusive e solo in via residuale da disposizioni volte a disciplinare altro contratto - che il contratto in questione viene definito contratto “tipico”.

Interferenze con il problema della natura dell'ente condominiale

Anche con riguardo al contratto oggetto di esame emerge il problema - sulla cui soluzione a tutt'oggi non vi è generale convergenza di opinioni - relativo alla natura dell'ente condominiale, problema che impegna la dottrina e la giurisprudenza e che vede contrapposti i due orientamenti che - con accenti differenziati - si rifanno l'uno alla tesi individualistica (secondo cui il condominio dovrebbe essere considerato istituto sfornito di autonoma soggettività giuridica essendo composto da una pluralità di soggetti distinti, unici titolari delle posizioni giuridiche inerenti alla comproprietà) e l'altro alla tesi collettivista (per cui il condominio dovrebbe essere invece considerato quale ente dotato di propria soggettività e pertanto formalmente titolare di proprie posizioni giuridiche).

Dal problema ricordato deriva - quanto al contratto che lega il condominio all'amministratore - il quesito se deve considerarsi che il ruolo di soggetto mandante rispetto a tale contratto sia rivestito da ciascuno dei singoli condòmini o invece dall'insieme (id est dalla collettività) dei condòmini.

La soluzione che la giurisprudenza dà al quesito non è univoca: se da un lato si segnalano pronunce che - affermando che l'amministratore, “non costituendo il condominio un ente giuridico, ha dello stesso non una rappresentanza organica ma piuttosto una rappresentanza volontaria, effetto di un mandato collettivo conferitogli dai condòmini da cui scaturiscono poteri analoghi a quelli di un comune mandatario” (così Cass. civ., sez. II, 28 agosto 2002, n. 12588) - paiono propendere per l'attribuzione del ruolo di mandante all'insieme dei condòmini, d'altro lato vi sono anche pronunce che paiono affermare che il ruolo di mandante sia svolto dai singoli condomini (Cass. civ., sez. II, 16 agosto 2000, n. 10815). In questo senso, è stato affermato recentemente che il rapporto di amministrazione intercorre “pur sempre con i singoli condòmini mandanti del mandato collettivo, e non con il condominio inteso quale soggetto distinto ed unitariamente considerato” (così Cass. civ., sez. II, 24 giugno 2021, n. 18185).

Pare, però, che elemento chiave per inquadrare la fattispecie e per dare risposta al quesito debba essere la considerazione che la posizione del condominio rispetto al contratto è il risultato di una deliberazione dell'assemblea dei condòmini, deliberazione che - assunta secondo il criterio maggioritario - vincola tutti i condòmini (non solo coloro i quali abbiano dato voto favorevole ma anche coloro i quali siano stati assenti o addirittura abbiano dato voto contrario) e che l'amministratore rappresenta tutti i condòmini, anche quelli che abbiano dato voto contrario alla sua nomina. Osservazione - questa - alla luce della quale sembrerebbe doversi preferire l'opinione secondo cui il ruolo di mandante nei confronti dell'amministratore sarebbe rivestito dall'insieme dei condomini.

Il momento e le modalità di nascita del rapporto di amministrazione

Considerando, poi, il tema nella diversa prospettiva della nascita del rapporto contrattuale, va notato che anche nel caso del contratto di amministrazione del condominio deve trovare applicazione il principio di carattere generale secondo cui il contratto deve considerarsi concluso nel momento in cui l'accettazione della proposta giunga a conoscenza del proponente (art. 1326 c.c.).

Meccanismo che, però, nel caso del contratto di amministrazione del condominio può dare luogo a problemi sul piano operativo.

Si noti che, considerando le cose in concreto, ciò che deve verificarsi è che da parte del condominio vi sia una delibera di nomina dell'amministratore (delibera che - rispetto al meccanismo di portata generale di formazione dei contratti - si prospetterebbe quale atto avente la funzione della proposta contrattuale) e che dall'altra parte vi sia l'accettazione di tale nomina da parte dell'amministratore: gli aspetti così sintetizzati hanno grande importanza anche perché è necessario che al momento dell'accettazione dell'incarico da parte dell'amministratore vi sia l'indicazione degli importi relativi ai suoi compensi (si tratta di un adempimento che l'art. 1129, comma 14, c.c. pone addirittura quale condizione per la nomina dell'amministratore a pena di nullità di questa: v., in argomento, recentemente Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2022, n. 12927 e, tra i giudici di merito, App. Catanzaro 12 settembre 2022; Trib. Roma 24 settembre 2019; Trib. Udine 19 agosto 2019; Trib. Palermo 9 febbraio 2018; Trib. Udine 12 novembre 2018; Trib. Massa 6 novembre 2017; Trib. Roma 15 giugno 2016; Trib. Milano 3 aprile 2016).

In chiave concreta, peraltro, tutto lo svolgimento delle operazioni dirette alla conclusione del contratto di amministrazione si presenta - nella pratica - articolato e molte e differenti sono le possibilità di svolgimento. Con riguardo al momento - ed all'atto - proprio della conclusione del contratto destinato a legare l'amministratore al condominio le ipotesi di conduzione delle cose sono certamente differenti nell'ipotesi in cui l'amministratore - nel presentare la sua candidatura all'amministrazione del condominio - precisi già che nel caso di nomina da parte dell'assemblea il contratto di amministrazione dovrà intendersi concluso (in questo caso, dunque, egli preventivamente dichiarerà di accettare la nomina ove sulle condizioni da lui indicate l'assemblea manifesti il consenso) ed il caso in cui invece l'accettazione da parte dell'amministratore segua la delibera assembleare di nomina (in questo caso, il contratto si concluderebbe nel momento in cui al condominio giungesse la comunicazione di accettazione della nomina - da intendersi pertanto quale proposta contrattuale - da parte dell'amministratore secondo lo schema disegnato dall'art. 1326 c.c.).

Il contenuto del contratto di amministrazione

Il contenuto del contratto è costituito, dunque, dalle prestazioni che devono essere fornite da una parte e dall'altra.

Quanto alla prestazione a carico del condominio - fermo che il condominio dovrà fornire tutti gli elementi e le prestazioni necessarie affinché l'attività dell'amministratore possa avere svolgimento - ciò che esso dovrà dare all'amministratore sarà il compenso per l'attività che da lui dovrà essere svolta.

Quanto invece all'amministratore, l'oggetto delle sue prestazioni sarà costituito dalle attività relative ai compiti (alle “attribuzioni”) elencate nell'art. 1130 c.c. (salva comunque la possibilità che le parti raggiungano accordi che non coincidano con tali previsioni, aggiungendo, integrando riducendo o modificando i compiti elencati dalla norma in questione: si ricordi infatti che l'art. 1130 c.c. non è compreso tra le norme in materia condominiale dichiarate inderogabili dall'art. 1138 c.c.) con la possibilità in ogni caso appunto dell'aggiunta di prestazioni ulteriori o di modalità diverse di svolgimento delle prestazioni sulla base di quanto venisse fissato dall'assemblea e concordato con l'amministratore.

E' chiaro, in ogni caso, che il rapporto derivante dal contratto di amministrazione dovrà essere considerato e valutato sulla base dei criteri e dei principi fissati dalle norme comuni e di portata generale relative ai contratti.

Ciò che va fin d'ora sottolineato (ed è proprio l'aspetto da cui derivano le questioni che qui interessano) è che il caso del contratto che lega l'amministratore al condominio presenta un aspetto specifico diverso rispetto a tutti gli altri contratti che vengano stipulati dal condominio: infatti con riguardo a questo contratto non vi è - come vi è invece per tutti gli altri contratti che vedano il condominio quale parte contraente - la presenza dell'amministratore quale rappresentante del condominio. In questo caso, il rapporto contrattuale viene ad instaurarsi direttamente tra il condominio e l'amministratore, senza la presenza di un soggetto che abbia il ruolo di rappresentante del condominio.

Nel caso del contratto di amministrazione, dunque, non trova applicazione il principio - che anche recentemente è stato sottolineato dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 13 maggio 2022, n. 15302) - secondo cui di norma “l'assemblea non conclude contratti, ma autorizza, quando occorra, l'amministratore a concluderli ed approva le spese conseguenti”. Si tratta di una situazione davvero unica nel campo della vita e della gestione del condominio.

Il rapporto tra consumatore e professionista

Le osservazioni che fino ad ora si sono svolte conducono ad interrogarci circa la possibilità dell'inquadramento del contratto di amministrazione nella prospettiva del rapporto tra consumatore e professionista disciplinato dal Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, come aggiornato, da ultimo, con le modifiche apportate dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120).

Va detto sùbito che non risulta che questa prospettiva sia stata fino ad ora approfondita: se è vero - infatti - che la questione della possibilità di ricondurre il condominio alla figura del consumatore è stata ampiamente esaminata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tale possibilità è sempre stata considerata ed approfondita in relazione ai rapporti contrattuali che si instaurino con i fornitori o comunque con i terzi (dunque in relazione ai rapporti nei quali il condominio - sulla base del principio che si è ricordato sopra - sia rappresentato dall'amministratore). Qui invece si tratta di valutare alla luce delle regole fissate dal Codice del consumo il rapporto che viene ad instaurarsi tra il condominio e l'amministratore.

Da notare che la questione presenta rilievo anche perché dalla soluzione che ad essa sia data potrebbero derivare conseguenze anche per tutti gli altri rapporti e le altre vicende proprie della gestione del condominio: dal momento che, in tutti i contratti ed in tutti i rapporti con i terzi il condominio è rappresentato dall'amministratore, la questione dell'applicabilità della disciplina consumeristica al rapporto tra il condominio e l'amministratore (e delle conseguenze che in concreto ne possono derivare - in ordine alla validità delle clausole - e dunque in ordine allo stesso contenuto - del contratto di amministrazione) deve ritenersi che potrebbe venire a riflettersi su tutti i rapporti con i terzi, venendo a riguardare il profilo - di carattere preliminare - relativo alla stessa sussistenza dei poteri dell'amministratore e dei limiti del contratto di mandato tra il condominio ed il suo rappresentante, rapporto che si pone a monte rispetto ad ogni rapporto che venga ad instaurarsi tra il condominio ed i terzi.

Consideriamo, dunque, quanto prevede il Codice del consumo.

Secondo ciò che dispone l'art. 3, comma 1, lett. a), del Codice del consumo, il “consumatore” è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Deve trattarsi dunque di una persona fisica che agisca per soddisfare proprie esigenze personali e non agisca invece per scopi attinenti ad una propria eventuale attività professionale.

Vi è da dire però che la giurisprudenza più recente ha allargato il campo di applicazione delle norme in esame con riguardo ai caratteri propri del consumatore. Si è affermato (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2021, n. 6578) che, ai fini dell'assunzione della veste di consumatore, l'elemento significativo non è il fatto che la persona fisica che ha contrattato con un operatore commerciale non abbia la qualifica di imprenditore commerciale, ma è invece lo scopo (obiettivato o obiettivabile) avuto di mira dall'agente nel momento in cui ha concluso il contratto: con la conseguenza che lo stesso soggetto (che sia persona fisica) che svolga attività imprenditoriale o professionale deve considerarsi consumatore quando conclude un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di detta attività.

Quanto alla figura del “professionista”, questa - secondo quanto prevede lo stesso art. 3 del Codice del consumo - corrisponde alla “persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale”. Nozione - come si vede - assai ampia, inclusiva di tutti quei soggetti che agiscano nell'esercizio di un'attività di carattere economico.

Da segnalare che è stato ritenuto (Cass. civ., sez. VI, 14 gennaio 2021, n. 497) che “in definitiva, ciò che rileva ai fini della tutela del consumatore è la mera conclusione di un contratto tra un professionista, che stipuli nell'esercizio dell'attività imprenditoriale o di professionista intellettuale, ed altro soggetto - il consumatore - che contragga per esigenze estranee all'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale”.

Da ricordare, poi, che l'applicabilità della disciplina del Codice del consumo è stata riconosciuta in tutta una serie di ipotesi e situazioni che concernono la materia degli immobili e del condominio: essa è stata ritenuta applicabile - tra l'altro - “agli appalti per la realizzazione o la manutenzione di immobili … e alle convenzioni tra il costruttore/venditore di immobili in condominio e i singoli acquirenti” e ad essa è stato fatto ricorso anche “con riferimento alle previsioni del regolamento condominiale richiamato nei contratti di acquisto, contenente limitazioni d'uso per le porzioni esclusive o comuni o deroghe ai criteri di riparto delle spese” (così Cass. civ., sez. VI, 14 gennaio 2021, n. 497).

Il condominio quale consumatore

Sulla scorta degli elementi ora ricordati, possiamo considerare dunque l'ipotesi del contratto di amministrazione di condominio esaminando i caratteri ed il ruolo dei due soggetti interessati dal rapporto contrattuale al fine di verificare se rispetto a questo il condominio possa essere considerato un “consumatore” e se l'amministratore possa essere considerato invece un professionista.

Con riguardo al primo dei due aspetti, va detto che mentre la dottrina ha assunto posizioni diversificate, la giurisprudenza prevalente è da tempo orientata verso il riconoscimento della qualità di consumatore al condominio.

In questo senso, si segnalano numerose decisioni sia di legittimità sia di merito.

Secondo la Cassazione, “al contratto concluso con un professionista dall'amministratore del condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la normativa a tutela del consumatore, atteso che l'amministratore agisce quale mandatario in rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale” (così Cass. civ., sez. II, 22 maggio 2015, n. 10679).

Nello stesso senso, è stato affermato (Trib. Milano 21 luglio 2016) che il condominio deve essere considerato, rispetto ai contratti che esso stipuli, un consumatore trattandosi di soggetto che agisce per scopi estranei a quelli propri di un'attività commerciale (da questa affermazione si è tratta la conseguenza che per le controversie che riguardino tali contratti operi la competenza funzionale ed inderogabile del foro del consumatore): da segnalare che la decisione ora ricordata ha sottolineato espressamente che non può avere rilevanza in senso contrario all'attribuzione al condominio della natura di consumatore il fatto che i contratti che lo riguardino vengano conclusi dall'amministratore, soggetto che potrebbe ritenersi avere i caratteri propri di un professionista.

A fronte di questa opinione - peraltro ampiamente maggioritaria - va segnalata la diversa opinione secondo cui dovrebbe escludersi che al condominio possa riconoscersi la posizione di consumatore in ragione del fatto che esso agisce a mezzo di un soggetto che lo rappresenta - l'amministratore - che ha caratteristiche e competenze di natura professionale, tali da escludere la necessità della particolare tutela accordata al consumatore nel suo rapporto con i professionisti.

Sull'argomento, è intervenuta recentemente la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sez. I, 2 aprile 2020, cui si era rivolto il Tribunale di Milano con ordinanza 1 aprile 2019) sul quesito se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13 CEE osti alla qualificazione di consumatore di un soggetto (quale il condominio nell'ordinamento italiano) che non sia riconducibile - quantomeno in modo pieno - né alla nozione di “persona fisica” né a quella di “persona giuridica”, e ciò nei casi in cui tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all'attività professionale e versi in una condizione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione.

La Corte di Giustizia ha definito la questione affermando che il condominio (non essendo persona fisica) non dovrebbe essere considerato un consumatore (con la conseguenza che pertanto l'eventuale presenza di clausole abusive incluse nel contratto che fosse da esso stipulato non rientrerebbe nell'ambito di applicazione della direttiva 93/13), ma che ad ogni Stato membro è consentito ampliare, per via legislativa o giurisprudenziale, l'applicazione della direttiva anche a contratti conclusi da un professionista con un soggetto avente i caratteri propri del condominio: ciò deve ritenersi consentito dal momento che tale ampliamento si risolverebbe comunque in una maggiore protezione di soggetti aventi il ruolo di controparte contrattuale nei confronti di professionisti.

Questo dunque - in sintesi - il quadro delle posizioni che sono state espresse sulla questione della applicabilità nei confronti del condominio della normativa consumeristica.

Il condominio quale consumatore nel rapporto con l'amministratore

Possiamo prendere in esame ora la questione della applicabilità della disciplina consumeristica al contratto che lega il condominio e l'amministratore.

Quanto alla figura dell'amministratore, pare evidente che nell'ambito del rapporto derivante dal contratto predetto l'amministratore venga ad avere tutti i caratteri propri del ruolo del professionista: ciò deve affermarsi anche e soprattutto sulla base di quanto dispone l'art. 71-bis disp. att. c.c., la norma che è stata introdotta dalla l. n. 220/2012 che ha imposto per l'esercizio dell'attività di amministrazione del condominio tutta una serie di requisiti di carattere personale e professionale (anche con riguardo alla formazione iniziale ed all'aggiornamento periodico dell'amministratore).

Quanto, invece, alla posizione del condominio (o meglio dei condòmini, comunque siano intesi: singolarmente o anche nel loro insieme), va notato come il condominio operi - nell'ambito del rapporto che stiamo considerando - per soddisfare esigenze diverse ed estranee a scopi attinenti ad attività professionale o commerciale, e dunque venga a trovarsi in una specifica condizione corrispondente a quella in presenza della quale il Codice del consumo attribuisce al soggetto interessato la speciale tutela prevista in favore del consumatore.

Da notare, poi, come proprio le ragioni che, come abbiamo visto, conducono alcuni degli interpreti ad escludere che al condominio possa riconoscersi la natura di consumatore - ragioni fondate sulla considerazione che il condominio nei rapporti con i terzi è rappresentato dall'amministratore, il quale è un professionista - assumano nella prospettiva del rapporto tra amministratore e condomino un significato particolare ed opposto rispetto a quello valorizzato dall'opinione seguita dagli interpreti anzidetti: proprio l'elemento su cui tale opinione fa leva per negare la natura di consumatore del condominio nei suoi rapporti con i professionisti (elemento che è dato dall'essere l'amministratore un professionista) verrebbe a costituire la ragione per cui il rapporto del condominio con il suo amministratore dovrebbe rientrare nell'àmbito di applicazione della disciplina consumeristica.

In conclusione

Pare corretto concludere, dunque, che tanto alla luce dell'opinione maggioritaria nella dottrina e nella giurisprudenza - opinione che riconosce al condominio la natura di consumatore in tutti i suoi rapporti con i professionisti - quanto anche alla luce dell'opposta opinione minoritaria - che dubita che al condominio possa riconoscersi la natura di consumatore nei suoi rapporti con i professionisti per il fatto che il condominio in tali rapporti è rappresentato da un professionista (appunto l'amministratore) - non può essere dubbio che il condominio, nel rapporto specifico interno tra condominio ed amministratore, debba considerarsi consumatore.

A tale rapporto, pertanto, dovranno applicarsi, in favore dei condomini, le disposizioni dettate dalla normativa speciale a tutela della posizione dei consumatori, tra queste comprese le norme in tema di nullità di protezione volte a porre rimedio alla condizione di squilibrio ravvisabile in via generale nel rapporto tra professionista e consumatore.

Guida all'approfondimento

Torrisi, Tratti e disciplina del contratto di amministrazione condominiale, in Giur. it., 2021, I, 2586;

Chiesi, Il contratto “tipico” di amministrazione di condominio, in Riv. giur. edil., 2021, I, 1219;

Scapellato, Per la Corte di Giustizia UE la tutela del consumatore può estendersi al condominio, in Giur. it., 2021, I, 1587;

Scalettaris, La nomina dell'amministratore del condominio è nulla senza l'indicazione del suo compenso, in Condominioelocazione.it, 3 gennaio 2019;

Caterina, Il condominio come ente di gestione e come soggetto: percorsi giurisprudenziali, in Giur. it., 2022, I, 244;

Minervini, Condominio e consumatore, in Giur. it., 2022, I, 250;

Terzago, Regolamento di condominio: clausole e Codice del consumatore, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 9, 7;

Calvo, Complessità personificata o individualità complessa del condominio-consumatore, in Giur. it., 2020, I, 1320;

Spoto, Il condominio non è un consumatore ma ha le stesse tutele, in Corr. giur., 2020, 893;

De Cristofaro, Diritto dei consumatori e rapporti contrattuali del condominio: la soluzione della Corte di Giustizia UE, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 842;

Cerri, Il condominio è qualificabile come consumatore? La questione rimessa alla Corte di giustizia, in Corr. giur., 2020, 199.

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