Registrazione di conversazioni tra presenti e rilevanza disciplinare

Teresa Zappia
21 Novembre 2022

Il quesito affronta la questione delle registrazioni di conversazioni con i colleghi effettuate dal lavoratore per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova.

Se effettuate al fine di precostituirsi una prova a difesa, le registrazioni di conversazioni tra un dipendente ed i suoi colleghi (senza il consenso di questi) possono determinare un licenziamento disciplinare?

La Corte di Cassazione ha chiarito che l'art. 24 D.lgs. n. 196/2003 permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Ne consegue che l'utilizzo, a fini difensivi, di registrazioni di colloqui tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza, da una parte, e della tutela giurisdizionale del diritto, dall'altra.

Si è affermata, quindi, la legittimità – ossia l'inidoneità all'integrazione di un illecito disciplinare - della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto che non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso.

Pertanto, la condotta di registrazione d'una conversazione tra presenti, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa e, quindi, coperta dall'efficacia scriminante dell'art. 51 c.p. (avente portata generale nell'ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico), non può di per sé integrare un illecito disciplinare, dovendosi procedere al bilanciamento tra la tutela di diritti fondamentali, come sopra già esposto.