Le ferie non godute per causa non imputabile al dirigente sono “monetizzabili”?

Teresa Zappia
22 Novembre 2022

L'indennità sostitutiva delle ferie spetta anche al dirigente pubblico se il datore non prova di aver posto lo stesso nella condizione di poter godere del periodo di riposo.
Massima

Il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all'indennità sostitutiva se il datore non dimostra di avere formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere, altresì, assicurato che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio, cui il dirigente era preposto, non fossero tali da impedire il loro godimento.

Fatto

La Corte d'Appello di Bari, confermando la pronuncia del Tribunale di Trani, rigettava la domanda con la quale la lavoratrice, dirigente di primo livello, aveva domandato la corresponsione dell'indennità sostitutiva per i giorni di ferie maturati, ma non fruiti, negli ultimi mesi del rapporto, essendo state le sue istanze respinte con la motivazione “per necessità di servizio”. La Corte di merito riteneva che la lavoratrice non avesse provato che il mancato godimento delle ferie fosse dovuto ad esigenze di servizio, né quali fossero state le specifiche motivazioni che avevano determinato l'accumulo delle giornate.

La lavoratrice proponeva ricorso per cassazione fondato su un unico motivo, lamentando che la Corte territoriale non aveva correttamente ripartito l'onere probatorio in relazione al mancato godimento del periodo di ferie prima della cessazione del rapporto.

La questione sottoposta alla Corte

Come deve essere ripartito l'onere della prova qualora il lavoratore asserisca che il mancato godimento delle ferie sia da imputare al datore?

La soluzione della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, rammentando l'influenza decisiva della normativa eurounitaria e della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (da ultimo sent. 6 novembre 2018, Max-Planck) secondo la quale l'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE e l'art. 31, § 2, della CDFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale in applicazione della quale il diritto alla ferie annuali retribuite venga automaticamente meno ove il lavoratore-titolare non ne abbia chiesto il godimento, senza la previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore, con un'informazione adeguata, nella condizione di esercitare suddetto diritto.

Tale posizione ermeneutica, hanno evidenziato i giudici di legittimità, si pone in linea con l'orientamento interpretativo della Corte Costituzionale secondo il quale, con riferimento all'art. 5, co. 8, D.l. 95/2012 (L. conv. n. 135/2012), la perdita del diritto alla monetizzazione non può verificarsi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili, indipendenti dalla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la capacità organizzativa del datore che non assicuri l'effettivo godimento delle ferie nel corso del rapporto. Conseguentemente non potrebbe essere vanificato, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso da una causa non imputabile al lavoratore, quale l'inadempimento del datore ai propri obblighi organizzativi in materia (C. Cost., n. 95/2016). Infondate, pertanto, sono state ritenute le difese dell'ASL-datrice basate sull'art. 5, co. 8, prefato.

Richiamando un proprio precedente, la Corte ha rammentato l'irrinunciabilità del diritto alle ferie annuali retribuite, in quanto finalizzato all'effettivo godimento di un periodo di riposo e di svago dall'attività lavorativa (nel quadro dei principi di cui agli artt. 36 Cost. e 7, par. 2, Direttiva 2003/88/CE), ragion per cui il mancato godimento da parte del dirigente, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, determina il riconoscimento di una indennità sostitutiva, salvo che il datore dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione mediante un'adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo.

A tale conclusione la Corte ha aggiunto che il potere del dirigente di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all'indennità sostitutiva se il datore non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, non solo formalmente invitato l'interessato a fruire del riposo, ma anche di avere assicurato che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio, cui il dirigente era preposto, non fossero tali da impedirne il godimento.

La perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può, dunque, verificarsi soltanto nel caso in cui sia stata fornita, dalla parte datoriale, la prova di avere invitato il lavoratore a goderne e di averlo, nel contempo, avvisato delle conseguenze connesse alla mancata fruizione, in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo cui esse sono dirette.

Quanto sopra, ha concluso la Corte, ha giustificato l'accoglimento del ricorso, dovendosi ritenere erronea l'argomentazione del giudice di appello fondata sui comportamenti asseritamente inerti del lavoratore, in difetto di un esame anche della condotta datoriale, con conseguente scorretta applicazione della regola sulla ripartizione dell'onere della prova in subiecta materia.

Osservazioni

L'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE prevede che «Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro». Il divieto di monetizzazione - ripreso dall'art. 10, comma 2 D.lgs. n. 66/2003 attuativo della suddetta direttiva - è finalizzato a garantire il godimento effettivo delle ferie, che sarebbe vanificato qualora se ne consentisse la sostituzione con un'indennità. L'erogazione di quest'ultima, infatti, non potrebbe ritenersi equivalente rispetto alla necessaria tutela della sicurezza e della salute, non permettendo al lavoratore di reintegrare le proprie energie psico-fisiche. La CdgUE ha interpretato l'art. 7 prefato nel senso che esso non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che preveda la perdita del diritto alle ferie annuali allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitarlo.

In materia si è distinto, fondamentalmente, tra due fattispecie: quella in cui la mancata fruizione delle ferie sia da ricondurre alla volontà del medesimo titolare del diritto e quella in cui tale situazione sia, invece, da imputare alla parte datoriale, recte dipenda da una causa esterna rispetto alla sfera giuridica del lavoratore. In tale ultima ipotesi, come anche precisato dal giudice delle Leggi, non potrebbe negarsi un'indennità sostitutiva delle ferie non godute, dovendosi tale esito essere imputato all'inadempimento del datore in ordine all'obbligo di vigilanza (art. 2087 c.c.).

Con riferimento alla ripartizione dell'onere probatorio – costituente la questione centrale della decisione in commento – si è ritenuto, in linea generale, che il lavoratore, il quale agisca al fine di ottenere l'indennità di cui sopra, debba fornire la prova dell'avvenuta prestazione delle proprie mansioni nei giorni destinati al riposo - rectius l'eccedenza della prestazione svolta rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale – essendo ciò qualificato quale fatto costitutivo dell'indennità suddetta. Taluna giurisprudenza ritiene, però, che il lavoratore debba provare solo di non aver potuto usufruire delle ferie per fatto a lui non imputabile, non dovendo egli anche dimostrare di aver prestato la propria attività, sicché spetterebbe al datore, l'unico in possesso dei dati relativi, offrire la prova del godimento del riposo annuale da parte del dipendente. Secondo una parte della dottrina il lavoratore avrebbe solo l'onere di provare l'esistenza del rapporto - che è fatto ben diverso dallo svolgimento della prestazione - per il periodo necessario a far sorgere il diritto alle ferie. Tuttavia, qualora debba attribuirsi all'indennità prefata natura risarcitoria, ovvero mista con “prevalenza” del profilo riparatorio, il richiedente dovrebbe dimostrare anche il fatto costitutivo del danno e non soltanto l'esistenza del rapporto.

Nell'ipotesi in cui il dipendente abbia svolto attività dirigenziale, è necessario verificare, in via preliminare, se lo stesso abbia avuto un reale ed effettivo potere di autodeterminazione del periodo di riposo e, successivamente, individuare quali siano stati i motivi del mancato godimento, in particolare se essi siano dovuti ad oggettive ed eccezionali necessità aziendali.

Proprio con riferimento a tale ultimo punto, infatti, la Corte di Cassazione ha rammentato che in capo al datore gravano due obblighi “procedurali” ed uno “sostanziale”: egli è tenuto, infatti, ad invitare il lavoratore a godere delle ferie, nonché ad informarlo delle conseguenze derivanti dalla non fruizione, considerato che la mancata richiesta dei giorni di riposo, prima della cessazione del rapporto di lavoro, non potrebbe determinare ex se la perdita automatica del diritto correlato; sul piano sostanziale, invece, il datore deve garantire che effettivamente il lavoratore-dirigente possa fruire del periodo di riposo, intervenendo sulla organizzazione della propria attività e del servizio assegnato.

Solo la prova dell'adempimento “a monte” dei summenzionati obblighi consentirebbe di attribuire al comportamento inerte del lavoratore il significato di rinuncia alle ferie e, conseguentemente, all'indennità sostitutiva, salvo sia da quest'ultimo dimostrata l'esistenza di ragioni oggettive ed eccezionali di servizio.

Pertanto il dirigente, il quale abbia in concreto goduto di autonomia nello svolgimento della propria attività, qualora domandi l'indennità sostitutiva delle ferie, dovrà dimostrare la ricorrenza di imprevedibili ed indifferibili esigenze aziendali imputabili al datore che "colpevolmente" avrebbe creato i presupposti di una situazione organizzativa in cui le ferie maturate non possono essere fruite per assicurare lo svolgimento dell'attività (scoperture di organico non colmate, ad esempio). In forza della regola generale di cui all'art. 2087 c.c., infatti, il datore deve vigilare sul rispetto delle regole a tutela della salute psico-fisica del dipendente, sicché il fatto che quest'ultimo, per la sua posizione apicale, avesse avuto la possibilità di organizzare la propria prestazione, anche in relazione alle modalità di fruizione delle ferire, non potrebbe costituire un fattore di esclusione automatica della responsabilità del datore, in capo al quale permane un obbligo di vigilanza del rispetto delle misure atte a prevenire conseguenze dannose per il dipendente.

Per approfondire

S. Renzi, Al dirigente che non viene posto dalla P.A. nelle condizioni di godere delle ferie maturate spetta il diritto alla fruizione della relativa indennità sostitutiva, in Labor-Il lavoro nel diritto, 17 agosto 2022.

F. Capurro, Recenti arresti di giurisprudenza sul dialogo tra libertà e diritti, nel rapporto di lavoro dirigenziale, in Labor-Il lavoro nel diritto, 4 giugno 2022.

V. Giannotti, I recenti approdi della magistratura amministrativa e di legittimità sul pagamento sostitutivo delle ferie non godute, in Azienditalia, 2022, 8-9, 1446 ss.

A. Fenoglio, Le ferie: il dialogo fra le Corti si fa intenso, in Labor & Law Issues, 2021, 7, II, 81 ss.

F. Lunardon, Irrinunciabilità del diritto alle ferie, indennità sostitutiva e responsabilità del datore di lavoro, Giur. it., 2020, 2187 ss.

A. Lanzara, Irrinunziabilità del diritto alle ferie annuali retribuite e indennità sostitutiva per quelle non godute al momento della cessazione del rapporto, in IUS Lavoro, 16 giugno 2020.

Di Noia, La Consulta salva il divieto di monetizzazione delle ferie non godute e mitiga il «furore iconoclasta» del d.l. n. 95/2012, in Riv. it. dir. lav., 2016, 2, 881 ss.

G.F. Tempesta, Onere della prova e indennità per ferie non godute, in Riv. it. dir. lav., 2010, 3, 615 ss.

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