Finanziamenti alle imprese: la successione nel contratto di mutuo dell'azienda ceduta

22 Novembre 2022

La Cassazione si è occupata dei finanziamenti alle imprese, chiarendo se il debito di restituzione di una somma finanziata sia inerente all'esercizio dell'azienda e, possa, quindi, essere ammesso al passivo fallimentare.
Massima

Il contratto di mutuo non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché è volto all'acquisizione di essa, e perciò si configura come atto di organizzazione, che, secondo autorevole dottrina, va distinto dall'atto dell'organizzazione, al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata (traccia di questa distinzione v'è in Cass. n. 15769/2004, secondo cui in mancanza di apparato aziendale anche atti preparatori possono segnare l'effettivo esercizio dell'attività d'impresa, purché, però, permettano di individuare l'oggetto dell'attività e il suo carattere commerciale, come nel caso del mercante d'arte che acquisti, per la rivendita, numerose opere d'arte, e svolga attività promozionali).

Nel caso in esame, il contratto di finanziamento, appunto perché funzionale all'acquisto dell'azienda, è da ritenere atto prodromico irrilevante ai fini del fenomeno successorio disciplinato dall'art. 2560 c.c.

Il caso

La vicenda riguarda il rigetto alla domanda di ammissione al passivo, da parte della società che agisce per conto della finanziaria erogatrice di un finanziamento (sia in proprio e sia quale submandataria e sub servicer della titolare del credito), per l'importo di euro 1.806.352,47, contratto per consentire ad un imprenditore di acquistare, contestualmente alla stipulazione del mutuo stesso, una farmacia, da lui poi ceduta nel 2013 alla fallita. L'istanza è stata respinta e l'opposizione della società, alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo del fallimento, non ha avuto buon esito.

Il tribunale di Torino, ha ritenuto non applicabile al caso di specie, sia l'art. 2558 c.c., poiché era stata integralmente eseguita la prestazione, scaturente dal contratto, di corresponsione della somma oggetto del finanziamento; sia , l'art. 2560 c.c., posto che il debito di restituzione della somma finanziata non era inerente all'esercizio dell'azienda, che deve preesistere alla stipulazione del relativo contratto e che comunque mantiene alterità rispetto al titolare di diritti sul complesso di beni che ne costituiscono oggetto. Di contro, nel caso in esame, il contratto di finanziamento, appunto perché funzionale all'acquisto dell'azienda, è da ritenere atto prodromico irrilevante ai fini del fenomeno successorio disciplinato dall'art. 2560 c.c.

Contro il decreto la società che aveva chiesto l'insinuazione al passivo respinta ha proposto ricorso, nella qualità rispettivamente ivi specificata, per ottenerne la cassazione, cui il fallimento ha replicato con controricorso.

La Corte ha rigettato il ricorso e condannato parte ricorrente a pagare le spese.

La questione

ll decisum affronta la disciplina dei finanziamenti alle imprese e nel caso specifico mira a stabilire se il debito di restituzione di una somma finanziata sia, o meno, inerente all'esercizio dell'azienda e, dunque, ammissibile al passivo fallimentare.

La questione viene risolta ritenendo che il contratto di mutuo, finalizzato all'acquisto di azienda, va inteso come contratto non inerente all'esercizio dell'azienda stessa, per cui è estraneo alla sfera di applicazione della successione e nel contratto, e nel debito da esso scaturente

Il provvedimento in commento è, a parere di chi scrive, lineare e condivisibile in ogni sua parte e ciò in relazione alle soluzioni fornite alle questioni più squisitamente sostanziale affrontate in motivazione - la cui risoluzione è in buona sostanza compendiata nella massima indicata in epigrafe - e che ne fa conseguire il risvolto processuale.

In punto di soluzione “processuale”, deve dirsi che risulta ineccepibile la dichiarazione di inammissibilità dell'istanza di insinuazione al passivo della società fallita, da parte del giudice di prime cure Tribunale di Torino, a sua volta confermata con il decreto di rigetto dell'opposizione e convalidata dalla stessa decisione della Cassazione di cui al presente commento.

La I Sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 31313 del 24 ottobre 2022 ha così definitivamente affermato l'inapplicabilità degli artt. 2558 e 2560 c.c. – riguardanti, rispettivamente, la successione nei contratti e i debiti relativi all'azienda ceduta – al contratto di mutuo, in quanto non inerente all'esercizio dell'azienda.

Quindi, per un verso si esclude in radice l'applicabilità dell'art. 2558 c.c., il quale disciplina la successione nei contratti d'azienda, aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale, nonché in quelli d'impresa, i quali, pur non avendo ad oggetto beni aziendali, comunque attengono all'organizzazione dell'impresa, come nei casi, in via esemplificativa, dei contratti di somministrazione, dei contratti di assicurazione e di quelli di appalto (in termini, fra le più recenti, Cass. n. 15065/18).

Dall'altro verso, resta altresì esclusa anche l'applicabilità dell'art. 2560 c.c., che si riferisce ai debiti inerenti pur sempre all'esercizio dell'azienda ceduta.

Il ragionamento coinvolge la nozione stessa di esaurimento del rapporto contrattuale, talora riferito alla fonte del credito, di modo che la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto, e rimaste inadempiute, non implicherebbe che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o a una di esse, delle ragioni di credito (Cass. n. 20154/2011), e in altri casi correlato alla completa definizione anche nella fase contenziosa, in relazione a domande di esatto adempimento, di garanzia per vizi o di risoluzione per inadempimento (Cass. n. 8219/1990; n. 8055/2018; n. 26808/2019).

Il contratto di mutuo non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché è volto all'acquisizione di essa, e perciò si configura come atto di organizzazione, che, secondo autorevole dottrina, va distinto dall'atto dell'organizzazione, al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata.

Il finanziamento all'impresa, dunque, quando è volto all'acquisizione dell'azienda stessa, si configura come «atto di organizzazione», che va distinto «dall'atto dell'organizzazione», al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata. Questa distinzione viene ulteriormente rimarcata poiché si ha riguardo a un imprenditore individuale, che assume la qualifica, ai fini civilistici, solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività, anche di là dalla mera titolarità del compendio aziendale e del numero di partita iva.

Il tutto è una conseguenza derivante dalla distinzione tra la titolarità statica dell'azienda e l'esercizio dinamico dell'impresa, la quale trova una propria estrinsecazione (anche) nella differenza dell'atto di organizzazione da quello dell'organizzazione.

Nello specifico, muovendo dall'assunto secondo il quale il contratto di finanziamento è da ritenersi atto prodromico irrilevante ai fini del fenomeno successorio disciplinato dall'art. 2560 c.c., è stato rilevato come la disposizione di cui al comma 2 della predetta norma si applichi ai debiti in sé soli considerati e non anche quando, viceversa, essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c. (ex plurimis, Cass. civ. n. 11318/2004 e n. 8539/2018).

Ne consegue che per il contratto di mutuo, non avendo ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale né quelli d'impresa, comunque attinenti all'organizzazione della stessa, si esclude in radice l'applicabilità dell'art. 2558 c.c. e, quindi, anche quella dell'art. 2560 c.c., che si riferisce ai debiti inerenti pur sempre all'esercizio dell'azienda ceduta.

Attenzione, dunque, a non seguire l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata, la quale potrebbe comportare il rischio per cui, in assenza di un adeguato apparato aziendale, anche atti preparatori possono segnare l'effettivo esercizio dell'attività d'impresa (Cass. civ. n. 15769/2004); per cui il contratto di mutuo non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché volto all'acquisizione di essa, configurandosi, pertanto, quale atto di organizzazione e non già come atto dell'organizzazione.

Sul punto si evidenzia che questa distinzione è ancor più chiara se si ha riguardo a un imprenditore individuale, che assume tale qualifica, ai fini civilistici, solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività (Cass. civ. n. 23157/2018; n. 6968/2019), anche di là della mera titolarità del compendio aziendale e del numero di partita iva.

Orbene risulta disvelato il principio secondo cui la titolarità statica dell'azienda è concetto ben distinto dall'esercizio dinamico dell'impresa, al punto che, dinanzi ad una pluralità di contitolari, non è esclusa la possibilità che uno solo tra essi ne assuma l'effettiva gestione dell'attività commerciale e, di conseguenza, la veste imprenditoriale, lasciando aperta la possibilità che un altro ne resti privo, limitandosi a conservare il diritto dominicale a esso spettante pro quota sui beni aziendali (Cass. civ. n. 4986/1997).

Va da sé, per quanto esposto, che gli obblighi che si trasferiscono in capo all'acquirente siano quelli che il venditore si è assunto in quanto imprenditore (Cass. civ. n. 5495/2001).

Allora, ritenuto che, sia l'art. 2558 c.c. che l'art. 2560 c.c., riguardano l'esercizio dinamico dell'impresa, da entrambe le norme evocato, il contratto di mutuo, che esula da quest'ambito, risulta estraneo alla sfera di applicazione della successione – e nel contratto e nel debito da esso scaturente – essendo, così, preservata la ratio sottesa alle norme in commento, volta ad assicurare il subentro dell'acquirente dell'azienda nei contratti stipulati per l'esercizio della stessa, purché non abbiano carattere personale.

Osservazioni

Ciò posto, è da ritenersi integralmente condivisibile la soluzione fornita giudici della Prima sezione civile, con l'ordinanza in commento, che hanno confermato un orientamento già consolidato secondo cui il contratto di mutuo non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché è volto all'acquisizione di essa, e perciò si configura come «atto di organizzazione», che va distinto «dall'atto dell'organizzazione», al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata.

Il regime fissato dall'art. 2560, comma 2, c.c., si applica ai debiti in sé soli considerati, e non anche quando questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558, c.c. (ex multis, Cass. n. 11318/2004).

Conclusioni

In definitiva, posto che sia l'art. 2558, sia l'art. 2560 c.c. riguardano l'esercizio dinamico dell'impresa, il contratto di finanziamento, che esula da quest'ambito e funzionale al mero acquisto dell'azienda è estraneo alla sfera di applicazione della successione sia nel contratto, sia nel debito da esso scaturente.

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