Il verbale di conciliazione è titolo esecutivo per l'esecuzione degli obblighi di fare e di non fare

25 Novembre 2022

Nell'ordinanza oggetto di commento viene affrontata la questione - ormai a dire il vero pacifica - dell'idoneità del verbale di conciliazione a costituire titolo esecutivo non solo per l'espropriazione forzata ma anche per l'esecuzione ex art. 612 c.p.c.
Massima

Il verbale di conciliazione giudiziale costituisce titolo esecutivo idoneo alla esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, perché - come già statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 336 del 2002 - si deve ritenere che i presupposti di fungibilità e coercibilità in forma specifica dell'obbligo dedotto nel titolo siano stati considerati al momento della formazione dell'accordo conciliativo dal giudice che lo ha promosso e sotto la cui vigilanza esso è stato concluso.

Il caso

Nell'ambito di una procedura esecutiva ex art. 612 c.p.c. il debitore proponeva opposizione deducendo che il verbale di conciliazione giudiziale ex art. 185 c.p.c. non potesse costituire titolo esecutivo per l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare; il Tribunale negava la fondatezza dell'opposizione ma la decisione di primo grado veniva riformata dalla Corte d'appello che, al contrario, accoglieva l'opposizione. Il creditore impugnava quindi la sentenza di appello innanzi alla Suprema Corte, sostenendo che la pronuncia fosse erronea.

La questione

Nell'ordinanza oggetto di commento viene affrontata la questione - ormai a dire il vero pacifica - dell'idoneità del verbale di conciliazione a costituire titolo esecutivo non solo per l'espropriazione forzata ma anche per l'esecuzione ex art. 612 c.p.c. In passato la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 258/1997; Cass. civ. n. 10713/1994 (Cass. civ. n. 1531/1955; Cass. civ. n. 3637/1954) così come la prevalente dottrina escludevano che il verbale di conciliazione giudiziale potesse fondare l'esecuzione in forma specifica relativa ad obblighi di fare e non fare. Invero gli argomenti a sostegno della tesi non erano particolarmente convincenti. Si faceva, infatti, riferimento al tenore letterale dell'art. 612 c.p.c. (il quale, com'è noto, fa espressamente riferimento solo alla sentenza di condanna) nonché alla necessità di preventive valutazioni, di competenza solo del giudice del merito, relative alla eseguibilità dell'obbligo ed in particolare alla sua fungibilità e coercibilità. Secondo le citate e ormai risalenti pronunce, infatti, “ll verbale di conciliazione giudiziale, pur essendo titolo esecutivo ai sensi dell'art. 185 c.p.c., idoneo all'esecuzione per le obbligazioni pecuniarie, alla esecuzione specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c. e alla esecuzione per consegna e rilascio, non legittima alla esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, poiché l'art. 612 c.p.c. menziona quale unico titolo valido per l'esecuzione la sentenza di condanna (dovendosi intendere estensivamente con tale espressione ogni provvedimento giudiziale di condanna), in considerazione della esigenza di un previo accertamento della fungibilità e quindi della coercibilità dell'obbligo di fare o di non fare”.

La tesi in questione, invero, era avversata da una parte minoritaria della dottrina che sottolineava appunto la debolezza degli argomenti in questione; in questo contesto si inserisce la pronuncia della Corte costituzionale n. 336/2002 sulla quale, peraltro, si fonda l'ordinanza della Suprema Corte in commento e che affronta specificamente – per superarli - gli argomenti a sostegno della tesi restrittiva. Pur trattandosi di una pronuncia interpretativa di rigetto, detta decisione offre spunti indubbiamente determinanti per l'accoglimento della interpretazione più elastica dell'art. 185 c.p.c. che, a livello letterale, peraltro non pone alcuna limitazione, facendo riferimento alla nozione di “titolo esecutivo” e rimandando quindi al disposto dell'art. 474 c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

Col provvedimento in commento la Suprema Corte rileva che la sentenza impugnata si fonda su un orientamento giurisprudenziale che deve, da tempo, ritenersi superato. La Corte costituzionale ha, nella richiamata sentenza del 2002, affermato che l'argomento letterale fondato sul tenore dell'art. 612 c.p.c. “è debole, tanto che la norma viene generalmente intesa come idonea a disciplinare l'esecuzione non soltanto delle sentenze, ma anche di altri provvedimenti che di queste non hanno forma e contenuto, quali, ad esempio, le ordinanze emesse in sede di procedimenti per denuncia di nuova opera o di danno temuto, nonché, secondo un indirizzo giurisprudenziale, dei provvedimenti concernenti l'affidamento dei minori (Cass. n. 292 del 1979; Cass. n. 5374 del 1980)”. Inoltre, lo stesso legislatore, secondo la Corte costituzionale, ha manifestato favore nei confronti dello strumento conciliativo, come dimostrato dalle introduzioni apportate agli artt. 183 e 185 c.p.c. con gli artt. 17 e 89 della l. n. 353/1990, ed in particolare delle disposizioni che prevedono la possibilità di rinnovare il tentativo di conciliazione in qualunque momento dell'istruzione. Quanto all'argomento sistematico, secondo la Corte “le eventuali ragioni ostative devono essere valutate non ex post, e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse preesistono, in sede di formazione dell'accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza può concludersi soltanto se la natura della causa lo consente”. Deve presumersi, insomma, che le eventuali ragioni di ineseguibilità in forma specifica dell'obbligo siano state già considerate ed escluse, ferma restando la possibilità di far valere quelle sopravvenute.

Sulla scorta di tali argomentazione, pienamente condivise dai giudici di legittimità, la Suprema Corte cassa dunque la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello.

Osservazioni

Non vi è dubbio che la posizione espressa dalla Corte di cassazione sia condivisibile, essendo peraltro fondata su evidenti ragioni di economia processuale, peraltro già individuate dalla dottrina e dalla stessa Corte costituzionale. Non riconoscere il verbale di conciliazione come titolo per l'esecuzione degli obblighi di fare o non fare significherebbe, infatti, da un lato non valorizzare il ruolo del Giudice di merito e dall'altro costringere le parti a coltivare il giudizio al solo fine di formalizzare in seno ad un provvedimento giudiziale l'accordo di fatto già raggiunto. A ciò si aggiunga che la negazione dell'efficacia di titolo esecutivo al verbale di conciliazione ai fini dell'esecuzione degli obblighi di fare o non fare, renderebbe certamente inutile lo strumento poiché, in caso di inadempimento, alle parti non resterebbe che iniziare una nuova fase contenziosa per ottenere un titolo condannatorio. E' evidente che l'interpretazione restrittiva scoraggerebbe del tutto le parti rispetto alla soluzione conciliativa prevalendo, in ogni caso, l'interesse alla definizione del giudizio con l'emanazione della sentenza, con evidente sacrificio della finalità deflattiva.

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