Patto di non concorrenza: ammissibilità del corrispettivo variabile in rapporto alla durata della prestazione

Simone Zaccaria
29 Novembre 2022

La Corte di Cassazione è stata chiamata a risolvere, ancora una volta, le complessità interpretative che riguardano la corretta applicazione del patto di non concorrenza ex art. 2125 Cod. Civ. Nel caso di specie, il contrasto nasce dalla valutazione di una clausola che limita la corresponsione alla luce della durata del rapporto di lavoro, potendo ritenersi non più determinato/determinabile il tenore economico del patto.
Massima

“.. la variabilità del corrispettivo rispetto alla durata del rapporto di lavoro non significa che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi (tenendo conto, che, a monte, è stato altresì contestato che la cessazione del rapporto effettivamente avesse influenza sull'ammontare del patto di non concorrenza dovuto)”.

Il caso

Nel novembre del 2014 un lavoratore e la propria datrice di lavoro (nel proseguo anche “Società”) stipularono un patto di non concorrenza ai sensi dell'art. 2125 Cod. Civ.; tale patto aveva durata di 3 anni e l'importo previsto era di € 10.000,00 per ogni anno di durata, a fronte di un impegno di non concorrenza di 20 mesi. All'interno di questo accordo, veniva inserita una clausola (ad oggi frequente) che prevedeva, in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio, che al lavoratore spettasse un importo, non pari ad € 30.000,00 ma bensì collegato alla durata del rapporto di lavoro.

Il lavoratore, cessato anticipatamente in rapporto di lavoro, ha impugnato suddetto contratto, contestandone la nullità poiché riteneva che l'importo economico fosse viziato da indeterminabilità. Il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda del lavoratore, ha dichiarato la nullità del patto di non concorrenza, rivenendo un'effettiva violazione degli art. 1346 Cod. Civ. e 2125 Cod. Civ., sentenza poi impugnata dalla Società presso la competente Corte di appello di Milano.

La Corte (rifacendosi anche a giurisprudenza propria) ha ritenuto di dover confermare la pronuncia del Tribunale precedentemente adito; ha infatti questa rilevato che, in esecuzione del contratto di patto di non concorrenza, la determinazione posta in essere da tale clausola provocasse la nullità del patto stesso per motivi di indeterminatezza e indeterminabilità del corrispettivo.

Il Giudice del Gravame ha condiviso la valutazione del Tribunale poiché ha ritenuto il patto non congruo ai limiti imposti dall'art. 2125 Cod. Civ., riferendosi alla corresponsione di un corrispettivo determinato alla durata del rapporto di lavoro, siccome non sufficientemente evidente un minimo garantito e quindi non congruo.

La Società ricorreva in Cassazione lamentando il vizio di nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, nr. 4 per assenza/vizio di motivazione.

La questione

La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a risolvere, ancora una volta, le complessità interpretative che riguardano la corretta applicazione del patto di non concorrenza ex art. 2125 Cod. Civ. In particolare, nel caso di specie, il contrasto nasce dalla valutazione di una clausola che limita la corresponsione alla luce della durata del rapporto di lavoro, potendo ritenersi non più determinato/determinabile il tenore economico del patto.

Hanno dovuto valutare i Supremi Giudici, se, l'indicazione del patto di tale clausola, possa essere considerata legittima, benché la determinazione economica sia rimessa ad ex post, e non indichi effettivamente (alla conclusione del patto) un minimo garantito e che quindi potrebbe essere considerato non congruo ai fini della limitazione di guadagno a carico del lavoratore.

La soluzione giuridica

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso della Società, con rinvio al giudice di appello per procedere a nuovo esame, dovendo valutare distintamente e correttamente alla luce del dispositivo, la questione di nullità del patto di non concorrenza per mancanza del requisito di determinabilità e determinatezza del corrispettivo del patto stesso.

Per gli Ermellini, infatti, i criteri utilizzati dalla Corte di merito per la qualificazione della legittimità del patto di non concorrenza ex art. 2125 Cod. Civ., esulano dai principi già ampiamente condivisi dalla giurisprudenza, sul tema del corrispettivo dovuto.

Come chiarito dalla pronuncia in esame, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento alla determinatezza e determinabilità del corrispettivo, si richiede in primis che questo sia un elemento distintivo dalla retribuzione, e che rispetti i requisiti previsti dall'art. 1346 Cod. Civ per quanto riguarda l'oggetto della prestazione; in questo scenario, se determinato o determinabile, va verificato che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo ovvero sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione di guadagno, conseguendo comunque una nullità dell'intero patto negoziale all'eventuale e manifesta sproporzione economica del regolamento.

Ha quindi evidenziato il Supremo consesso come, nella valutazione di nullità del patto di non concorrenza sono effettivamente due gli indici che devono essere utilizzati dai giudici di merito, e nello specifico: (i) la determinatezza o determinabilità – laddove il corrispettivo “non è pattuito” - così come richiesta e disciplinata dall'art. 1346 c.c.; (ii) e che non risulti manifestamente iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e ad ogni circostanza del caso concreto.

Rispetto a tali premesse, la cassazione della sentenza impugnata è fondata poiché la Corte territoriale è pervenuta in modo improprio nell'affermazione della nullità del patto di non concorrenza, senza accertando se il corrispettivo (che di fatto era determinabile tramite un eventuale calcolo matematico) fosse da considerare simbolico ovvero iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore.

Ancora, secondo la Corte, si è verificata una sovrapposizione tra la questione della determinabilità e la diversa congruità: la variabilità della determinatezza dell'ammontare economico in rapporto alla durata della prestazione è ammissibile, poiché non significa che esso sia determinabile attraverso parametri oggettivi.

La sentenza della Corte di Appello non tiene quindi ben distinti i due alvei che operano in tema di nullità del patto di non concorrenza; da un lato il vizio sotto l'aspetto della determinabilità o determinatezza oggettiva del compenso e dall'altro un vizio sotto il profilo dell'ammontare del corrispettivo simbolico, iniquo ovvero sproporzionato. Secondo la Cassazione, sono questi profili che operano su piani giuridici differenti; nel caso concreto, si è potuto osservare, come vi sia stata una evidente sovrapposizione dei sue piani, ingenerando incertezza sull'iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudicante precludendo un effettivo riscontro circa la motivazione sulla nullità del patto di non concorrenza, se quindi riferibile al primo ovvero al secondo prospetto, fermo restando che la quantificazione del corrispettivo in rapporto alla durata della prestazione di lavoro è legittima poiché determinabile attraverso un processo oggettivo.

Osservazioni

La pronuncia in commento ci permette di analizzare ancor più nel dettaglio la tematica del patto di non concorrenza prevista dall'art. 2125 Cod. Civ., e in particolare in riferimento alla determinatezza del compenso, come uno degli elementi che devono essere posti sotto la lente di ingrandimento dal giudice di merito al fine di poter stabilire o meno se tale patto possa essere considerato nullo.

La giurisprudenza di legittimità è da tempo conforme nello statuire in via generale che al fine di valutare il patto di non concorrenza, occorre osservare i seguenti criteri: (i) il patto deve avere forma scritta ab substantiam; (ii) il patto non deve limitarsi necessariamente alle mansioni espletate dal lavoratore in costanza di rapporto; (iii) non deve essere di ampiezza tale da comprimere ogni potenzialità reddituale; (iv) quanto al corrispettivo dovuto il patto non deve prevedere dei corrispettivi simbolici o iniqui; (v) durata non superiore a 5 anni per i dirigenti, 3 per gli altri casi.

Tralasciando per ragioni di spazio ogni altro approfondimento, deve essere sommariamente analizzato il punto (iv) poiché di interesse della presente trattazione. Come di certo il lettore avrà potuto osservare, il legislatore nell'applicazione dell'art. 2125 c.c., non indica testualmente particolari requisiti che sono richiesti per la determinazione dell'ammontare, lasciando quindi le Parti libere di poter decidere le modalità di quantificazione e di pagamento. Assumendo poi la forma del contratto, resta tuttavia assoggettato (il patto) ai principi generali del contratto, come per il requisito della determinatezza e determinabilità ai sensi dell'art. 1346 e ss. Cod. Civ.

Nel dettaglio, prima di analizzare l'ordinanza in questione, la Cassazione in materia di determinatezza o determinabilità del corrispettivo ha assunto – ed anche ora non è esente – orientamenti nettamente oscillanti. Invero ferma la restante necessità di una equa ed esatta rappresentazione per il lavorare del corrispettivo in ragione delle sue rinunce, ciò che ha interessa maggiormente è proprio la definizione di “rappresentazione”.

Da una parte la giurisprudenza ha da sempre affermato, sull'art. 2125 Cod. Civ., che “il patto di non concorrenza dovrebbe prevedere, a pena di nullità, un corrispettivo predeterminato nel suo preciso ammontare”. Del pari, tuttavia, la stessa giurisprudenza ha assunto con eguale solidità orientamenti opposti, prevedendo la legittimità alla corresponsione del corrispettivo da erogarsi in forma rateale in costanza di rapporto. Questo orientamento pome quindi su due livelli distinti il requisito della non determinatezza per l'effetto dell'art. 1346 cc e la non indicazione dell'ammontare economico (“non inserito”) quale vizio rientrante nell' alveo dell'art. 2125 Cod. Civ., dovendosi in questo secondo caso ritenere nullo il patto qualora il corrispettivo sia iniquo ovvero simbolico o sproporzionato.

La pronuncia in commento prende una netta posizione, andando a solcare di netto la differenza tra i due orientamenti, manifestando inequivocabilmente come le nullità sancite per il patto di non concorrenza siano poste su due piano differenti, e, nel caso concerto, il patto in questione non poteva ritenersi nullo poiché l'erogazione del corrispettivo in rapporto alla durata della prestazione è legittima visto che rispecchia il principio di determinabilità, ex ante e quindi determinabile, prescritto dall'art. 1346 c.c. e ss.

Conforme sul punto anche la Corte d'Appello di Milano del 13 settembre 2022, che su un caso analogo ha così statuito il meccanismo di quantificazione richiede quindi il compimento di una semplice operazione matematica, ed esso risulta coerente rispetto alla ragione economico-giuridica del patto. Risponde infatti alla salvaguardia dei contrapposti interessi delle parti di prevedere che l'entità del corrispettivo aumenti all'aumentare del rapporto di lavoro, e viceversa in caso di recesso in corso di validità del patto, di norma corrisponde ad un maggiore know-how e maggiore interesse aziendale”.

Lo spunto offerto dalla giurisprudenza in esame consolida, a parere dello scrivente, una spinta interpretativa del patto di non concorrenza ove il corrispettivo è basato in relazione alla durata della prestazione lavorativa, considerandolo come un contratto a formazione progressiva le cui obbligazioni e termini economici non rimangono stabili nel tempo, ma evolvono in base alla crescita professionale e intellettuale del dipendente che va di pari passo con la necessità dell'azienda di veder tutelati i suoi interessi concorrenziali. È da ritenersi legittima, dunque, l'apposizione di una clausola che rapporti il valore economico del patto alla durata del rapporto di lavoro, rispondendo ad una visione più strategica e specializzata del lavoro – in relazione alla concorrenza – che parimenti cresca, ovvero diminuisca, il capitale economico con cui la società remunera l'obbligazione negativa del lavoratore della non concorrenza.