IVA su spese legali liquidate in favore della parte vittoriosa

30 Novembre 2022

Sorge sovente controversia circa la debenza o meno dell'aliquota IVA fatta gravare sulle spese legali liquidate in favore della parte vittoriosa a carico del soccombente dal Giudice (che il più delle volte si limita a dire "oltre gli accessori di legge; raramente se dovuta"), allorquando la parte vittoriosa e il suo difensore sono entrambi soggetti IVA al pari di quella soccombente ovvero nel caso in cui la parte vittoriosa e il suo difensore sono entrambi soggetti IVA e la parte soccombente no. La stessa controversia si verifica quando l'avvocato non titolare di partita IVA, facente parte dello studio associato è difeso da un avvocato membro dello stesso studio legale associato, vincitore, mentre la controparte è titolare di partita IVA.In relazione a quanto precede, si vuol conoscere se nei casi sopra esposti l'aliquota IVA è dovuta o meno. Altresì, viene richiesto se l'avvocato dello studio associato per incassare il suo compenso, relativo ad un incarico professionale conferitogli personalmente, debba o meno essere titolare di partita IVA.

Sorge sovente controversia circa la debenza o meno dell'aliquota IVA fatta gravare sulle spese legali liquidate in favore della parte vittoriosa a carico del soccombente dal Giudice (che il più delle volte si limita a dire "oltre gli accessori di legge; raramente se dovuta"), allorquando la parte vittoriosa e il suo difensore sono entrambi soggetti IVA al pari di quella soccombente ovvero nel caso in cui la parte vittoriosa e il suo difensore sono entrambi soggetti IVA e la parte soccombente no. La stessa controversia si verifica quando l'avvocato non titolare di partita IVA, facente parte dello studio associato è difeso da un avvocato membro dello stesso studio legale associato, vincitore, mentre la controparte è titolare di partita IVA.

In relazione a quanto precede, si vuol conoscere se nei casi sopra esposti l'aliquota IVA è dovuta o meno. Altresì, viene richiesto se l'avvocato dello studio associato per incassare il suo compenso, relativo ad un incarico professionale conferitogli personalmente, debba o meno essere titolare di partita IVA.

Il punto di partenza necessario per porre risposta al quesito in esame è il principio stabilito dall'art. 21 del d.P.R. n. 633/1972, il quale prescrive che l'adempimento formale correlato alla prestazione del servizio reso, riguarda l'obbligo del prestatore del servizio (nel caso di specie il difensore vittorioso) di emettere la fattura (parcella) al proprio cliente (parte vittoriosa) per l'importo dovuto a titolo di onorario, con indicazione dell'Iva addebitata in via di rivalsa.

Ciò detto, è da subito evincibile come in capo al soggetto vittorioso sorga l'onere del pagamento dell'Iva esposta in parcella dal professionista, essendo la medesima a carico del soggetto verso il quale è stata prestata l'attività professionale (appunto la parte vittoriosa).

Quanto affermato nel pieno rispetto della disposizione normativa di cui all'art. 18 del d.P.R. n. 633/72, che prevede l'obbligo del soggetto che effettua la prestazione del servizio (imponibile Iva ovviamente) di addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario/committente.

È bene ricordare poi che, ai fini Iva, qualsiasi professionista che abbia prestato la propria opera al cliente deve corrispondere all'erario l'imposta sul proprio onorario ed è obbligato a rivalersene nei confronti dello stesso cliente (v. articoli 17 e art. 18 del d.P.R. n. 633/72).

Più specificatamente, l'avvocato deve “emettere fattura al proprio cliente vittorioso, in cui deve essere evidenziato che la solutio avviene (sia per ciò che riguarda l'onorario sia per ciò che concerne l'imposta che vi accede) con danaro fornito dal soccombente” e deve addebitare al cliente l'Iva a titolo di rivalsa, anche se la suddetta fattura, di fatto, viene pagata dalla parte soccombente (cfr. Circolare 203/1994 e Risoluzione 106/2006).

In realtà, possono verificarsi due ipotesi:

  1. ove il cliente vittorioso sia titolare di partita Iva e la vertenza sia inerente all'esercizio della propria attività d'impresa, arte o professione, il soccombente non dovrà pagare alla controparte vittoriosa l'importo addebitato a titolo di Iva dal legale alla propria cliente;
  2. ove, invece, il cliente vittorioso non sia titolare di partita Iva o la sentenza non sia inerente all'esercizio della propria impresa, arte o professione, il soccombente dovrà pagare alla controparte anche l'importo addebitato dal legale al suo cliente a titolo di Iva.

Invero, qualora la parte vittoriosa sia soggetto non titolare di partita Iva (operando in qualità di privato consumatore), da un lato sorge in capo alla stessa l'obbligo al pagamento dell'Iva esposta nella parcella del professionista e, dall'altro, è impossibilitata a recuperare l'Iva addebitatagli, non potendo avvalersi del meccanismo della rivalsa-detrazione previsto dall'art. 18 del più volte citato d.P.R. n. 633/72.

Con la conseguenza che, in tal modo, l'IVA rappresenta a tutti gli effetti parte degli oneri processuali per i quali il soggetto vittorioso ha diritto ad ottenere il rimborso dal terzo soccombente: assume cioè la natura di “onere accessorio” strettamente correlato al concetto di oneri di difesa rifusi dal giudice nella sentenza di condanna.

Questo in quanto tra gli oneri processuali da cui deve essere tenuta indenne la parte vittoriosa deve trovare spazio anche il rimborso dell'Iva versata, in via di rivalsa, al proprio legale, rappresentando una delle componenti del costo del processo che non può ricadere sul vincitore della lite. D'altro canto, qualora la parte vittoriosa sia soggetto titolare di partita Iva, avrà diritto di portare in detrazione, nelle liquidazioni periodiche, l'Iva corrisposta al proprio difensore e, perciò, non rimanere in tal modo inciso di alcun “onere accessorio” all'onorario di difesa.

L'Iva, non costituendo, così, una componente di costo per il soggetto vittorioso, non potrà dallo stesso essere chiesta a rimborso al terzo soccombente in esecuzione della sentenza di condanna, perché non rappresenta una spesa rimasta a suo carico.

La condizione soggettiva in cui opera la parte vittoriosa risulta pertanto determinante per la quantificazione degli oneri processuali effettivamente a carico del terzo soccombente.

Per quest'ultimo, al contrario, a nulla conta che intervenga come soggetto passivo Iva o privato consumatore in quanto non corrisponde il tributo a titolo di rivalsa (ex art. 18 del d.P.R. n. 633/72) ma a titolo di condanna, cioè come componente di costo di cui deve rendere indenne la controparte per effetto della sentenza; pertanto, quand'anche la parte soccombente agisse in qualità di soggetto Iva, non potrebbe portare in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche l'Iva corrisposta sugli onorari di difesa individuati nella sentenza (sia che questi vengano corrisposti alla parte vittoriosa, ex art. 91 del c.p.c., sia, come vedremo, che questi vengano corrisposti direttamente al professionista, ex art. 93 del c.p.c.).

Ne consegue che come evidenziato nel quesito sopra formulato, laddove l'avvocato non titolare di partita IVA, sia difeso da un avvocato membro dello stesso studio legale associato, il soccombente dovrà pagare alla controparte anche l'importo addebitato dal legale al suo cliente a titolo di Iva.

Oggetto del secondo quesito verte nell'accertare se l'avvocato dello studio associato per incassare il suo compenso, relativo ad un incarico professionale conferitogli personalmente, debba o meno essere titolare di partita IVA.

Tanto detto, in caso di esercizio della professione in forma associata, la legge ribadisce la salvezza del principio di prestazione personale della professione, così che l'incarico conferito alla società può essere svolto solo dai soci professionisti con le competenze richieste dalla natura della prestazione, assicurandone indipendenza e imparzialità per tutta la durata dell'incarico.

Infatti, fermo restando che lo studio professionale associato non può legittimamente sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si tratti di prestazioni per l'espletamento delle quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso, il rispetto del principio di personalità della prestazione, che connota i rapporti di cui agli art. 2229 e ss. c.c., ben può contemperarsi con l'autonomia riconosciuta allo studio associato.

In breve, pur potendosi attribuire la titolarità dei diritti di credito derivanti dallo svolgimento dell'attività professionale degli associati allo studio, resta obbligatorio che lo svolgimento della prestazione sia resa personalmente dal singolo associato, munito dei requisiti che la legge impone per la prestazione richiesta, non rientrando il diritto di credito a titolo di compenso per l'attività svolta tra quelli per i quali sussiste un divieto assoluto di cessione.

Tali principi sono stati poi ribaditi più volte dai Giudici di Legittimità che hanno confermato che, di norma, il cliente che conferisca l'incarico a un legale che fa parte di uno studio associato è tenuto a versare l'onorario al professionista e non allo studio di cui quest'ultimo fa parte, data la natura personale dell'attività oggetto del mandato professionale, a meno che l'associazione sia regolata da appositi accordi, che possono attribuire all'associazione medesima la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità dei rapporti.

Ovviamente trattandosi di incarico conferito personalmente al singolo professionista, il compenso andrà attribuito a questi, e da questi fatturato con propria partita Iva, necessariamente differente rispetto a quella dello studio associato.

Pertanto, al fine di fornire risposta al secondo quesito, ove il professionista abbia ricevuto un incarico a titolo personale, al fine di incassare e fatturare i dovuti compensi, dovrà essere titolare di autonoma partita Iva.

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