Riforma processo civile: prime riflessioni in tema di impugnativa dei licenziamenti

Antonio Lombardi
01 Dicembre 2022

Il d.lgs. n. 149/2022, recante, tra l'altro, una profonda riforma del processo civile, introduce, nel corpo normativo del rito laburistico, tre fondamentali disposizioni (artt. 441-bis, ter e quater c.p.c.), che disciplinano l'impugnativa dei licenziamenti.
Inquadramento

Il d.lgs. 149/2022 interviene, tra l'altro, sulla materia della impugnativa dei licenziamenti, introducendo nel codice di rito tre norme, rispettivamente gli artt. 441 bis, ter e quater c.p.c., applicabili alle impugnative dei licenziamenti proposte successivamente al 28 febbraio 2023. Le disposizioni di nuova introduzione regolamentano la fattispecie generale della impugnativa dei licenziamenti con richiesta di reintegrazione, i licenziamenti di soci delle cooperative ed i licenziamenti discriminatori, affidando le esigenze di celerità a modelli organizzativi ed alla abbreviazione dei termini processuali, unificando la competenza funzionale sulle questioni connesse all'impugnativa del licenziamento di socio della cooperativa in capo al giudice del lavoro, e facendo salvi i procedimenti speciali in tema di impugnativa del licenziamento discriminatorio.

Cenni sull'evoluzione della disciplina processuale dei licenziamenti

Il d.lgs. 149/2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2022 recante, tra l'altro, una profonda riforma del processo civile, introduce, nel corpo normativo del rito laburistico, tre fondamentali disposizioni (artt. 441 bis, ter e quater c.p.c.), che disciplinano l'impugnativa dei licenziamenti.

Il trittico di norme in commento entra in vigore, ai sensi dell'art. 35 del decreto, il 28 febbraio 2023, e troverà applicazione ai procedimenti giudiziali instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti instaurati o pendenti prima di tale data continueranno a trovare applicazione le norme processuali anteriormente vigenti, ivi incluso il procedimento disciplinato dall'art. 1 commi 47 e ss. l. 92/2012.

Gli artt. da 441 bis a 441 ter c.p.c. non modificano il regime sostanziale dell'impugnativa del licenziamento, intervenendo a disciplinare in senso innovativo, ancora una volta, le sole questioni processuali.

L'originario sistema bipartito di tutele sostanziali, articolato nell'art. 18 della l. 300/1970 (cd tutela reale), disciplinante la richiesta di reintegrazione del lavoratore, in ragione della sussistenza di determinati requisiti dimensionali in capo all'impresa, ovvero della gravità del vizio del provvedimento dismissivo, e quello di cui alla legge 604/1966 (cd tutela obbligatoria), non prevedeva alcuna distinzione sotto il profilo processuale, essendo sino all'intervento della cd riforma Fornero (l. 92/2012), ambedue le forme di tutela assoggettate alla disciplina del rito ordinario di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c.. Per fronteggiare le intuibili esigenze di urgenza dei lavoratori licenziati, interessati ad un celere ripristino del rapporto di lavoro, non vi era alternativa al ricorso al procedimento cautelare di cui all'art. 700 c.p.c., nell'ambito del quale potevano azionare la richiesta di reintegrazione ed il pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate.

Con l'intervento della legge Fornero (l. 92/2012), la disciplina sostanziale e processuale dei licenziamenti ha subito significative innovazioni.

Accanto, difatti, ad una modifica delle tutele sostanziali di cui all'art. 18 l. 300/1970, prevedente la declinazione multipla ed alternativa, in caso di illegittimità del licenziamento (tutela reintegratoria, indennitaria forte, indennitaria debole o attenuata), si è inteso introdurre un rito semplificato ed accelerato (rito speciale cd Fornero), disciplinato dall'art. 1 commi 47 e ss., prevedente una fase a cognizione deformalizzata, conclusa con un provvedimento ordinatorio, un'eventuale fase a cognizione piena (cd opposizione), ed un'ulteriore fase, di natura impugnatoria, dinanzi al giudice d'appello (cd reclamo), tutte caratterizzate dalla riduzione dei termini di notifica, comparizione e difesa, e dalla previsione dello svolgimento degli atti di istruzione ritenuti ammissibili e rilevanti.

L'esigenza di non appesantire le controversie nelle quali vi fosse richiesta di applicazione dell'assetto di tutele di cui all'art. 18 l. 300/1970, come riformato nei suoi aspetti sostanziali, viene affrontata, dal legislatore del 2012, con la previsione di ammissibilità, nell'ambito di tale rito speciale, delle sole ulteriori questioni relative all'accertamento della qualificazione del rapporto di lavoro ovvero fondate su identici fatti costitutivi. Così, l'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato non formalizzato, o formalizzato alla stregua di rapporto di lavoro autonomo, cui sia accompagnata la richiesta di tutela di cui all'art. 18 cit., potrà essere trattato con le formalità del rito ex art. 1, comma 47 e ss. l. 92/2012.

Per le restanti fattispecie di impugnativa dei licenziamenti, rispetto alle quali, stanti i ridotti requisiti dimensionali dell'impresa, era esclusa la possibilità di avanzare domanda ai sensi dell'art. 18, il rito applicabile era quello ordinario ai sensi degli artt. 409 e ss. c.p.c..

L'anno 2015 ha registrato l'intervento dell'ulteriore riforma di disciplina dei rapporti di lavoro nota al secolo come Jobs Act. Il d.lgs. 23/2015 ha introdotto, per i rapporti di lavoro subordinato, instaurati (o convertiti) dopo la data di entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015), un nuovo assetto di tutele sostanziali, con significativa riduzione dell'ambito di applicazione della tutela reale o reintegratoria, nella direzione dell'incremento delle tutele indennitarie. L'art. 11 del decreto prevede espressamente l'inapplicabilità, a tale nuovo sistema di tutele sostanziali, delle disposizioni dei commi da 48 e 68 art. 1 l. 92/2012 (rito Fornero), che saranno devolute pertanto alla cognizione del giudice con le ordinarie formalità di cui agli artt. 409 e ss c.p.c..

Riassuntivamente, a partire dal 2015 e sino all'entrata in vigore della riforma Cartabia, le controversie relative ai licenziamenti in tutela cd obbligatoria (l. 604/1966) per assunzioni precedenti al marzo del 2015 e tutte le controversie relative ai licenziamenti per assunzioni avvenute dopo tale data erano assoggettate al rito laburistico ordinario, residuando il rito cd Fornero (art. 1, comma 47 e ss. l. 92/2012), nella bipartizione del primo grado, ed in sede di reclamo in appello, per le sole controversie nelle quali si facesse richiesta di applicazione dell'art. 18 l. 300/1970, relative ad assunzioni precedenti all'entrata in vigore del d.lgs. 23/2015, ricorrendo i requisiti dimensionali dell'impresa o di tipologia di tutela (es: richiesta di accertamento della nullità del licenziamento).

Le nuove regole di impugnativa dei licenziamenti

Il primo e secondo alinea dell'art. 441 bis evidenziano l'intento legislativo di devolvere le istanze di celerità di trattazione delle controversie, nelle quali vi sia richiesta di reintegrazione del lavoratore a moduli organizzativi e facoltà procedimentali, ma non più ad un procedimento speciale, come quello di cui all'art. 1 comma 47 e ss. l. 92/2012 (cd rito Fornero) che, pertanto, pure in assenza di espressa previsione da parte del legislatore, alla data di entrata in vigore del nuovo assetto normativo, deve ritenersi abrogato per incompatibilità, non potendosi interpretare diversamente l'assoggettamento di tale tipologia di controversie alle norme del capo primo, di cui al 2° co. art. 441 bis.

Il riferimento alla richiesta di applicazione della tutela reale rimanda non soltanto alle declinazioni dell'art. 18 nelle quali si faccia questione di nullità o invalidità del licenziamento (così 1°, 4° e 5° comma, fatto salvo quanto si dirà in merito ai licenziamenti discriminatori, disciplinati dal nuovo art. 441 ter), ma anche, per gli assunti successivamente al 7 marzo 2015, alle richieste avanzate ai sensi dell'art. 2 comma 1 (licenziamenti nulli, fatta eccezione per quelli discriminatori), nonché ai sensi dell'art. 3 comma 2 (licenziamenti soggettivi nei quali sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore). Restano, dunque, fuori, le residue controversie in tutela obbligatoria, ai sensi della l. 604/1966, nonché le controversie soggette al regime di cui all'art. 18 l. 300/1970 e d.lgs. 23/2015 (Jobs Act), nelle quali non si avanzi richiesta di reintegrazione ma esclusivamente domanda di condanna al pagamento delle indennità risarcitorie previste dalle relative disposizioni.

Analogamente a quanto previsto in seno all'art. 1 comma 47, le regole procedurali contemplate dalla disposizione troveranno applicazione anche laddove vi sia necessità di risolvere questioni relative alla qualificazione del rapporto, come nel caso del rapporto di lavoro cd in nero o formalizzato quale rapporto autonomo o parasubordinato, nel quale la parte chieda, in via prioritaria, l'accertamento della subordinazione, funzionale alla richiesta ripristinatoria. Non risulta, di converso, reiterata la previsione di cui all'art. 1 comma 48, che consentiva la proposizione, nell'ambito del rito Fornero, anche delle domande fondate su identici fatti costitutivi.

Le esigenze di celerità, in precedenza demandate al procedimento Fornero, per altro con limitazione alle controversie con richiesta di applicazione dell'art. 18 (ed esclusione, dunque, delle istanze di tutela reale di cui al d.lgs. 23/2015) sono, come detto, soddisfatte mediante la combinazione di moduli organizzativi e facoltà procedimentali.

Da un lato, difatti, è prevista la natura prioritaria della trattazione e decisione di tali tipologie di controversie, affidata a determinazioni organizzative interne all'ufficio, che dovranno tradursi nella scelta di dare precedenza temporale alla trattazione di tali controversie, rispetto ad altre controversie non connotate da analoghe esigenze di celerità e concentrazione. La norma indica, quale specifica modalità organizzativa, tra quelle possibili, la riserva di specifici giorni di udienza nel calendario delle udienze. A tal fine il giudice riserva particolari giorni, possibilmente ravvicinati, nel calendario delle udienze, in applicazione dei precetti di celerità e concentrazione, cui la norma appare in evidenza ispirata. Quale misura atta a garantire l'effettività della previsione, ai sensi del nuovo art. 144 quinques disp. att. c.p.c., il presidente di sezione ed il dirigente dell'ufficio giudiziario dovranno favorire e verificare la trattazione prioritaria dei procedimenti in questione, effettuando estrazioni statistiche trimestrali al fine di valutare la durata media di tali processi, in confronto con la durata media degli altri processi in materia di lavoro.

Sotto altro e concorrente profilo, è prevista la facoltà in capo al giudice, dinanzi al quale pende la causa, di ridurre i termini del procedimento ordinario sino alla metà. Il rinvio, in seno al 3° comma art. 441 bis, ai termini procedimentali ordinari, di cui all'art. 415 c.p.c. 3°, 4° e 5° comma, deve intendersi al termine intercorrente tra la data del deposito del ricorso e l'udienza di discussione, a quello per la notifica del ricorso, al cd termine a difesa nonché a quello di costituzione del convenuto. Tuttavia, a parziale correttivo della facoltà di riduzione, al fine di tutelare la pienezza del diritto di difesa del convenuto, la disposizione precisa che, tra la data di notificazione al convenuto (o del terzo chiamato) e l'udienza di discussione, deve intercorrere un termine non inferiore ai venti giorni e che, in tale caso, il termine per la costituzione del convenuto sarà ridotto alla metà, ovvero a 5 giorni prima dell'udienza di discussione della causa. Le scansioni procedimentali, delineate dal legislatore, appaiono, dunque, sostanzialmente in linea con le previsioni contenute in seno all'art. 1 comma 48 l. 92/2012, che prevede l'assegnazione di un termine per la notifica del ricorso e del decreto non inferiore a venticinque giorni prima dell'udienza, nonché un termine, non inferiore a cinque giorni prima della stessa udienza, per la costituzione del resistente. La nuova disposizione appare, rispetto al sistema processuale antevigente, maggiormente flessibile nella misura in cui consente di calibrare l'entità della riduzione, sino alla metà dei termini ordinari.

L'abbreviazione dei termini, con il meccanismo correttivo di cui si è detto, non è tuttavia automatica ma condizionata alla valutazione delle circostanze esposte in ricorso. Ferma, dunque, restando la necessità che nel ricorso sia avanzata domanda di reintegrazione, si registra un onere, in capo al ricorrente, di allegare le circostanze a sostegno dell'opportunità di riduzione dei termini. È lecito, ad esempio, immaginare, che lo stato di inoccupazione del ricorrente o, comunque, l'assenza di fonti di sostentamento alternative possa indurre il giudice a procedere all'esercizio della facoltà di riduzione dei termini, Viceversa, il reperimento di occupazione alternativa anteriormente al deposito del ricorso introduttivo potrebbe, astrattamente, indurre il giudice a conservare l'originaria consistenza dei termini processuali di cui all'art. 415 c.p.c., o accedere ad una riduzione marginale, ferma restando l'esigenza di prioritaria trattazione della controversia, secondo i moduli organizzativi interni all'ufficio.

Di particolare rilievo appare altresì la previsione di cui al 4° comma della disposizione, disciplinante la trattazione delle domande connesse, secondo la nozione generale di cui all'art. 40 c.p.c., la cui trattazione congiunta appare suscettibile di determinare un rallentamento della definizione della controversia avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento, nella quale vi sia richiesta di reintegrazione.

L'assicurazione delle esigenze di celerità e concentrazione, sottese alla disciplina in commento, può avere luogo attraverso una duplice opzione. Da un lato, difatti, avuto riguardo alla situazione concreta, il giudice può disporre la separazione delle cause connesse, riservando alla sola causa contenente la domanda reintegratoria le connotazioni procedimentali di celerità e concentrazione, attraverso le modalità esposte. Così, ad esempio, potrebbe accadere che il datore di lavoro, convenuto dal lavoratore che impugna il licenziamento per giusta causa chiedendo la reintegrazione, svolga nei confronti del ricorrente una domanda riconvenzionale risarcitoria, discendente da fatti diversi da quelli valorizzati in chiave espulsiva, la cui definizione richieda l'esperimento di attività istruttoria.

La disposizione di nuova introduzione evoca, tuttavia, una seconda opzione procedimentale, ispirata ad esigenze di economia dei mezzi processuali. In luogo, difatti, di provvedere alla duplicazione di procedimenti, attraverso la separazione delle cause connesse con creazione di autonomi fascicoli, il giudice potrebbe conservare il simultaneus processus sulle cause connesse, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. Ciò, in evidenza, ferma restando la facoltà di dimidiazione dei termini, avrà luogo privilegiando, all'interno della medesima controversia, la trattazione e definizione della causa contenente la domanda di tutela reale, eventualmente giungendo alla decisione sulla stessa mediante sentenza non definitiva, la cui nozione è elaborata sulla base dell'art. 279 c.p.c., proseguendo il giudizio per la trattazione ed eventuale istruzione delle questioni, di non pronta soluzione, diverse dall'impugnativa del licenziamento.

Con disposizione di chiusura, in analogia a quanto disposto dall'art. 1 commi 60 e 62 l. 92/2012, le medesime esigenze di celerità e di concentrazione devono conformare il procedimento di appello e per cassazione, nei quali si faccia questione del ripristino del rapporto di lavoro.

Il licenziamento del socio di cooperativa

La seconda disposizione introdotta, di cui all'art. 441 ter c.p.c., mira a riordinare la materia dell'impugnativa dei licenziamenti dei soci di cooperativa, oggetto di articolata e non sempre lineare ricostruzione normativa e giurisprudenziale, sia sotto il profilo dell'individuazione della competenza funzionale che delle tutele sostanziali.

La complessità delle questioni origina dalla normale coesistenza, accanto al rapporto associativo del socio di cooperativa, del rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma, ai sensi dell'art. 1 comma 3° l. 142/2001.

Ciò ha storicamente posto un tema di ripartizione di affari (in questo senso Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19982), tra Tribunale delle imprese, competente sulle controversie in tema di cooperative ai sensi dell'art. 3 comma 2 l. 27/2012, ivi incluse, ai sensi del comma 3, le cause e i procedimenti che presentino ragioni di connessione, e giudice del lavoro, cui sono devolute le questioni relative al rapporto di lavoro, ivi inclusi diritti sostanziali e previdenziali, esecuzione ed estinzione del rapporto.

Il collegamento negoziale tra rapporto associativo e rapporto di lavoro assume, nella fase estintiva, carattere unidirezionale: la cessazione del rapporto di lavoro non determina la cessazione del rapporto associativo ma la cessazione del rapporto associativo, mediante delibera di esclusione del socio, determina la caducazione di quello di lavoro (art. 5 comma 2 l. 142/2001).

Può, innanzitutto, verificarsi il caso in cui si provveda al licenziamento del socio lavoratore in assenza di delibera di esclusione del socio o di comunicazione della stessa. In questo semplice caso, si è ritenuto che l'impugnativa del licenziamento fosse devoluta alla cognizione del giudice del lavoro, trovando applicazione la tutela rimediale ratione temporis applicabile, ivi incluso, ricorrendone i presupposti, l'art. 18 l. 300/1970, nell'ambito del rito speciale cd Fornero (Cass. civ., sez. lav., 5 dicembre 2016, n. 24795), ciò in ragione del fatto che la fattispecie estintiva non è riconducibile alla previsione di cui all'art. 5 comma 2 l. 142/2001, non sussistendo o essendo tamquam non esset la delibera di esclusione del socio.

Nel diverso caso in cui esclusione del socio e recesso dal rapporto di lavoro risultino congiuntamente adottati, mediante una delibera degli organi societari che configurano la cessazione del rapporto di lavoro quale conseguenza del fatto oggettivo dell'espulsione dalla compagine sociale della cooperativa, a fronte di violazioni dei principi che regolano la mutualità, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. lav., 18 novembre 2021, n. 35341) ha ritenuto necessaria la previa impugnazione, nei termini di legge, della delibera di esclusione dinanzi al Tribunale delle imprese con la conseguenza che, in caso di omessa impugnazione o di rigetto della stessa, il lavoratore può, dinanzi al giudice del lavoro, al più ambire ad una tutela risarcitoria e non a quella restitutoria, preclusa dalla definitiva cessazione del rapporto associativo. Ad analoghe conclusioni si è ritenuto di addivenire nella circostanza in cui delibera di esclusione e licenziamento costituiscano oggetto di separati provvedimenti, fondati sui medesimi fatti costitutivi (Cass. civ., Sez. Un., 20 novembre 2017, n. 27436) o anche su diversi fatti costitutivi, risultando in questo caso necessaria la previa rimozione della delibera di esclusione in sede di giudizio ordinario dinanzi al Tribunale delle imprese, per poter aspirare ad una tutela restitutoria o ripristinatoria (Cass. civ., sez. lav., 16 novembre 2021, n. 34721).

Il farraginoso sistema testé riassunto, oggetto di non sempre convergente ricostruzione giurisprudenziale, ha determinato una condizione di cronica frustrazione delle esigenze di celere ripristino del rapporto di lavoro del socio escluso dalla compagine e licenziato, in ragione della necessità di attendere l'esito del giudizio di impugnazione della delibera assembleare dinanzi al Tribunale delle imprese, in ragione del carattere pregiudiziale della stessa rispetto alla richiesta di ripristino del rapporto di lavoro, alla stregua di pronuncia avente diretti effetti restitutori.

Il legislatore della riforma, mediante l'introduzione dell'art. 441 ter c.p.c., ha inteso superare la dualità di competenze funzionali tra giudice del lavoro e Tribunale delle imprese, assegnando alla competenza funzionale del giudice del lavoro anche le questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte nell'ambito del giudizio di impugnativa del licenziamento.

Il primo problema, originante dalla previsione normativa, sembra essere la genericità della previsione, non limitata all'impugnativa della delibera di esclusione ma estesa alle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte, vale a dire al coacervo di diritti e doveri che insorgono in capo alle parti dalla stipula del patto sociale.

Per altro, l'assegnazione al giudice del lavoro della competenza funzionale su tali questioni sembra essere oggetto di una previsione cd mobile, condizionata, cioè, alla proposizione di un'impugnativa del licenziamento, in assenza della quale la competenza funzionale sulle questioni relative al rapporto associativo permane innanzi al Tribunale delle imprese. L'inciso finale della disposizione, secondo cui il giudice del lavoro decide sia sul rapporto di lavoro che sul rapporto associativo anche nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro derivi, quale effetto automatico ai sensi dell'art. 5 comma 2 l. 142/2001, dalla cessazione del rapporto associativo consente, ragionevolmente, di limitare il riferimento alle questioni relative al rapporto associativo alle sole vicende terminative dello stesso, mediante delibera di esclusione, che contenga o si accompagni ad un separato provvedimento di licenziamento, oggetto di impugnativa, ovvero costituisca ragione di risoluzione del rapporto di lavoro cd ulteriore. L'onere di impugnare, dinanzi al giudice del lavoro, anche la delibera di esclusione, sarà disciplinato dalle medesime norme, anche di ordine sostanziale, innanzi osservate, ivi inclusa la fattispecie decadenziale di cui all'art. 2527, comma 3, c.c..

La trattazione e decisione della controversia avente ad oggetto sia l'impugnativa del licenziamento che della delibera di esclusione del socio saranno assoggettate alle modalità accelerate di trattazione laddove si registri una richiesta di reintegrazione del socio illegittimamente estromesso o, comunque, di ripristino del rapporto di lavoro.

Licenziamenti nulli e discriminatori

La disciplina dei licenziamenti discriminatori è contenuta nell'art. 4 l. 604/1966, nell'art. 15 l. 300/1970. Tale è il licenziamento comminato per ragioni di credo politico o di fede religiosa, per l'appartenenza ad un sindacato o giustificato dalla partecipazione all'attività sindacale, tra cui è compresa la partecipazione del lavoratore ad uno sciopero, nonché da ragioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali del dipendente.

Ai sensi dell'art. 3 l. 108/1990, il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'art. 18 l. 300/1970, estese anche al rapporto di lavoro dirigenziale.

A seguito dell'approvazione del d.lgs. 23/2015, il regime sostanziale di tutele va distinto a seconda che il lavoratore risulti assunto prima del 7 marzo 2015, con applicazione dell'art. 18, dovendosi viceversa far riferimento all'art. 2 d.lgs. 23/2015, in caso di lavoratori assunti successivamente. I due sistemi di tutela divergono sotto il profilo processuale, essendo la domanda ai sensi dell'art. 18 devoluta alla cognizione del giudice attraverso il procedimento speciale cd rito Fornero, introdotto dall'art. 1 commi 47 e ss. l. 92/2012.

L'art. 441 quater c.p.c., norma di chiusura del trittico di norme dedicato al regime processuale dell'impugnativa dei licenziamenti, prevede un doppio binario di trattazione, con la possibilità di agire con ricorso ai sensi dell'art. 414 c.p.c., ricadente nell'alveo di applicazione dell'art. 441 bis c.p.c., essendo la tutela sostanziale della fattispecie articolata, in via privilegiata, nella reintegrazione del lavoratore discriminato, ovvero, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali.

Il criptico riferimento ai riti speciali rimanda, innanzitutto, al rito speciale antidiscriminatorio contemplato dall'art. 38 d.lgs. 198/2006, che consente al lavoratore (oltre che a soggetti dallo stesso delegato), di agire dinanzi al giudice del lavoro per conseguire, all'esito del procedimento, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. L'art. 28 del d. lgs. 150/2011, ha incluso le “controversie in materia di discriminazione” tra quelle del Capo III, ovvero quelle “regolate dal rito sommario di cognizione” (Capo III bis, Titolo I del Libro IV del c.p.c.).

In considerazione dell'esistenza di un regime speciale, articolato in tutele sostanziali e, limitatamente all'art. 18, di un procedimento speciale ad hoc (cd rito Fornero),il procedimento antidiscriminatorio di cui all'art. 38 non ha avuto significativa utilizzazione per l'impugnativa dei licenziamenti. Non registrandosi, anche alla luce della lettura della Relazione di accompagnamento alla riforma, dubbi in ordine alla abrogazione del rito Fornero, per incompatibilità con la previsione di cui all'art. 441 bis c.p.c., non si ritiene che il riferimento ai procedimenti speciali in seno all'art. 441 quater possa essere al rito di cui all'art. 1 commi 47 e ss. l. 92/2012, ritenendo la permanenza in vigore di tale rito limitatamente alla richiesta di applicazione della tutela di cui all'art. 18 1° comma – per i soli dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015 in alternativa al ricorso ordinario, ai sensi dell'art. 414 c.p.c., assoggettato ai moduli organizzativi e procedimentali di cui al nuovo art. 441 bis c.p.c..

Né, del resto, alla luce della pleonastica disposizione di chiusura, secondo cui, in applicazione del principio electa una via non datur recursus ad alteram, la proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell'una o nell'altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda, appare verosimile che il riferimento ai procedimenti speciali possa estendersi all'art. 700 c.p.c., posto che, in ragione della tipica strumentalità tra il procedimento cautelare ed il successivo giudizio di merito, la richiesta di reintegrazione, eventualmente proposta in ambito cautelare potrebbe essere certamente seguita dalla successiva richiesta avanzata nel giudizio di merito.

In conclusione

Le tre norme in commento si propongono, in evidenza, di riordinare la disciplina processuale della impugnativa dei licenziamenti, provvedendo all'individuazione di moduli organizzativi e procedimentali improntati alla celerità, nell'ambito del rito ordinario del lavoro, ai sensi dell'art. 414 e ss. c.p.c., soltanto nel caso in cui il lavoratore faccia richiesta di reintegrazione, e provvedendo alla definitiva eliminazione del rito speciale cd Fornero, le cui alterne fortune applicative e complessità interpretative avevano, da tempo, suggerito la sua abrogazione.

Al contempo viene unificata la competenza funzionale del giudice del lavoro in tema di impugnazione dei licenziamenti di soci delle cooperative, affidando allo stesso anche la delibazione sull'impugnazione della delibera di esclusione, avente carattere pregiudiziale, in precedenza devoluta alla competenza funzionale del Tribunale per le imprese, così risolvendo una dei principali ostacoli alla celere definizione delle questioni relative ai licenziamenti dei soci della cooperativa.

Di complessa interpretazione ed applicazione appare, viceversa, la disposizione dettata in tema di impugnativa dei licenziamenti nella quale sia fatta questione della natura discriminatoria dello stesso, atteso che la salvezza dei riti speciali appare far riferimento a tipologie procedimentali che, per loro natura e struttura, ed anche in ragione dell'esistenza di procedimenti speciali alternativi, non si prestano alla definizione delle impugnative di licenziamenti.

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